Appello del Papa a pregare ogni giorno, nel mese di ottobre, il Rosario per la pace

“Non c’è passato così rovinato, non c’è storia così compromessa che non possa essere toccata dalla misericordia”. Perché gli inferi “non sono soltanto la condizione di chi è morto”, ma anche “l’inferno quotidiano della solitudine, della vergogna, dell’abbandono, della fatica di vivere”, da cui Gesù, con la sua discesa dopo la Pasqua, ci libera. Per lui, non ci sono “anime prigioniere”, ma un popolo fatto “di persone rialzate, di cuori perdonati, di lacrime asciugate”. Nella catechesi dell’udienza di mercoledì scorso, Leone XIV si è soffermato ancora una volta, come aveva fatto la settimana prima, sul Sabato Santo, che nella concezione biblica “è non tanto un luogo, quanto una condizione esistenziale: quella condizione in cui la vita è depotenziata e regnano il dolore, la solitudine, la colpa e la separazione da Dio e dagli altri”. Al termine della catechesi, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana, l’appello a pregare ogni giorno il Rosario per la pace, nel mese di ottobre, e l’annuncio a sorpresa ai fedeli: “La sera di sabato 11 ottobre, alle ore 18, lo faremo insieme, qui, in piazza San Pietro, nella Veglia del Giubileo della spiritualità mariana, ricordando anche l’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II”.“Cristo ci raggiunge anche in questo abisso, varcando le porte di questo regno di tenebra”, ha assicurato il Papa nella catechesi: “Entra, per così dire, nella casa stessa della morte, per svuotarla, per liberarne gli abitanti, prendendoli per mano ad uno ad uno”. Il Figlio di Dio si è addentrato nelle tenebre più fitte per raggiungere anche l’ultimo dei suoi fratelli e sorelle, per portare anche laggiù la sua luce, ha spiegato Leone citando un testo apocrifo, il Vangelo di Nicodemo, che manifesta “l’umiltà di un Dio che non si ferma davanti al nostro peccato, che non si spaventa di fronte all’estremo rifiuto dell’essere umano”. L’apostolo Pietro ci dice che Gesù, reso vivo nello Spirito Santo, andò a portare l’annuncio di salvezza “anche alle anime prigioniere”. Per Leone, “è una delle immagini più commoventi”: “In questo gesto ci sono tutta la forza e la tenerezza dell’annuncio pasquale: la morte non è mai l’ultima parola”. La discesa agli inferi “non riguarda solo il passato, ma tocca la vita di ciascuno di noi”, ha sintetizzato il Papa: Cristo entra nel nostro inferno quotidiano per testimoniarci l’amore del Padre: “Non per giudicare, ma per liberare. Non per colpevolizzare, ma per salvare. Lo fa senza clamore, in punta di piedi, come chi entra in una stanza d’ospedale per offrire conforto e aiuto”. “I Padri della Chiesa, in pagine di straordinaria bellezza, hanno descritto questo momento come un incontro: quello tra Cristo e Adamo”, ha ricordato il Pontefice: “Il Signore scende là dove l’uomo si è nascosto per paura, e lo chiama per nome, lo prende per mano, lo rialza, lo riporta alla luce. Lo fa con piena autorità, ma anche con infinita dolcezza, come un padre con il figlio che teme di non essere più amato. Non salva solo se stesso, non torna alla vita da solo, ma trascina con sé tutta l’umanità”, ha commentato: “Questa è la vera gloria del Risorto: è potenza d’amore, è solidarietà di un Dio che non vuole salvarsi senza di noi, ma solo con noi”.

(M.Michela Nicolais)