Questa mattina, 26 giugno, memoria liturgica del beato Andrea Giacinto Longhin, il vescovo Michele ha presieduto la celebrazione eucaristica in cattedrale, concelebrata dal vescovo emerito, mons. Paolo Magnani, dai canonici del Capitolo e da numerosi altri sacerdoti.
Nell’omelia il Vescovo ha messo in luce, del vescovo beato, le caratteristiche dell’uomo di Dio, del profeta, della sentinella, a partire dalla lettura del libro di Ezechiele che la liturgia ha proposto. “È molto bella e suggestiva l’immagine della sentinella. Per la Bibbia la sentinella è anche il custode della città. E la stessa parola viene usata da “Caino quando non rispondendo alla domanda di Dio («dov’è tuo fratello») si auto-dichiarò non custode di Abele suo fratello”. Mons. Tomasi ha proposto l’aspetto profetico di Longhin anche alla luce del libro “L’esilio e la promessa – commento al libro di Ezechiele” del prof. Luigino Bruni, ospite nei giorni scorsi del Festival biblico a Treviso. “Il profeta è l’anti-Caino, è colui che custodisce Abele, che allarga il territorio della fraternità per farlo coincidere con l’intera città, e sulla torre di vedetta guarda oltre questa, verso l’orizzonte della terra fraterna di tutti – scrive Bruni -. È nel suo posto di guardia, sospeso tra cielo e terra, abitatore solitario delle mura di cinta. Non è lì per avvistare nemici, ma per intercettare una voce parlante diversa, e poi trasmetterla a ogni costo”.
“Mi sembra che queste caratteristiche dell’uomo di Dio, del profeta, della sentinella possano applicarsi bene al ministero episcopale del beato Longhin – ha sottolineato il Vescovo -, ascoltatore fedele della Parola di Dio nella Chiesa, religioso attento alle mozioni dello Spirito, capace di cogliere i segni della chiamata di Dio nella sua vita, come in quella delle persone da lui accompagnate spiritualmente, o di tutti coloro per la cui formazione si era speso con dedizione totale, prima e dopo la consacrazione vescovile. Nel contesto dei suoi giorni, nei modi legati ai suoi tempi egli si è preso cura della comunione nella Chiesa, dei sacerdoti, dei laici, del popolo intero di Dio. Nelle condizioni difficili della prima guerra mondiale, nelle contrapposizioni e nei pericoli e nelle contraddizioni del periodo tra le due guerre, il Vescovo beato è stato «con» e «per» la sua Chiesa. Sentinella, capace di guardare agli orizzonti della storia del suo tempo, affinché non vi fosse un povero, un oppresso, una persona dimenticata nei suoi bisogni materiali e spirituali. Davvero “agnello in mezzo ai lupi”, secondo il mandato del Signore Gesù, custode della Parola di Dio, dei Sacramenti, della vita intera di ciascuno e di tutti”.
“Abitatore solitario delle mura di cinta”, in una relazione costante, fedele e feconda di preghiera, attento davvero alla voce dello Spirito – ha sottolineato il Vescovo -, egli poteva porsi a servizio coraggioso dei bisogni dei fedeli proprio perché era capace di stare al cospetto di Dio e a Lui affidare le sue preoccupazioni, a Lui donare la sua vita”.
“In tempi difficili egli ha continuato a richiamare – come il profeta, come questa sentinella antica – alla conversione, ad una vita coerente con il Vangelo e con le esigenze della fede. Al centro stava per il Longhin la presenza del Signore nell’Eucaristia, alla cui centralità era richiamo e segno forte la celebrazione del Congresso Eucaristico Diocesano, proprio cento anni fa”. Dopo quel congresso, celebrato nell’agosto del 1921, “in una lettera rivolta al clero ed ai fedeli della Diocesi – come ci ha ricordato di recente nel numero appena uscito del periodico Maestro e Padre don Lino Cusinato, che ringrazio – il Vescovo Longhin concluse con tale indicazione di programma:
“Avvicinare l’anima nostra a Gesù Eucaristia, fonte di ogni santità, e poi sforzarci di avvicinarvi anche gli altri […] Portare Gesù alla società perché gli uomini si ricordino che sono fratelli, e cessino le lotte fratricide, e torni la pace a regnare nel mondo”.
“Ecco il richiamo, chiaro, forte, netto, alla fraternità. Ecco il beato Longhin. Ecco papa Francesco – ha sottolineato il vescovo Michele -. Ecco, soprattutto, Gesù Cristo e la voce della coscienza, che possiamo forse tacitare, ma mai del tutto spegnere, e difficilmente ignorare: fratelli, sorelle, tutti, senza condizioni, senza riserve, senza eccezioni”. Il frutto immediato del congresso è stato l’inizio dell’adorazione eucaristica quotidiana nella chiesetta delle Carmelitane dell’istituto Zanotti.
“Ogni nostro atto di adorazione, ogni visita al Santissimo – ha ricordato mons. Tomasi -, soprattutto ogni celebrazione dell’Eucaristia siano davvero ciò che ci dona questo respiro ampio dell’anima, questa necessità a non cedere all’egoismo, all’individualismo, alla ricerca del bene solo per se stessi”.
Oggi, proprio oggi c’è bisogno di tutto un popolo di Dio che sia profetico: tutti insieme uomini e donne, giovani e vecchi, tutti insieme all’ascolto della voce di Dio nella coscienza, nel cuore, nella mente. Un popolo attento a ciò che il presente – questa nostra storia così difficile, così faticosa, spesso così smemorata – ci chiede”.
“Se c’è un mandato che ci viene dall’esperienza lontana eppure vicina del beato Longhin – la riflessione del Vescovo -, non è quello di replicare o di rianimare a tutti i costi forme di vita di Chiesa passate e non più attuali, ma di essere, oggi come allora, autenticamente sentinelle. Tutti insieme, sospesi tra cielo e terra. Un popolo-sentinella, che “non è lì per avvistare nemici, ma per intercettare una voce parlante diversa, e poi trasmetterla a ogni costo”. Ascoltiamo questa voce parlante diversa. Voce capace di risvegliare i desideri più profondi, l’amore più nascosto, la disponibilità all’accoglienza e al cambiamento di stili di vita più netta, gioiosa e radicale possibile. Quella voce che è voce di Dio, che è lo splendore semplice e necessario della sua Parola, per poi “trasmetterla ad ogni costo”, con le parole, con le opere, con la vita. Beato Andrea Giacinto Longhin, prega per noi”.