“Questo decennio trevigiano è stato per me un grande dono. Ho imparato molto, soprattutto a riconoscere maggiormente la bontà, la tenerezza e i tanti doni di Dio. Moltissimi dei quali, devo dire, mi hanno raggiunto attraverso questa chiesa, ovvero grazie alle persone che in essa ho avuto la grazia di incontrare, conoscere e amare”: è con queste parole che il vescovo Gianfranco Agostino si è congedato, venerdì 20 settembre, dalla nostra diocesi, salutando e ringraziando, chiedendo perdono e augurando un fecondo cammino alla chiesa trevigiana. Un’omelia intensa, la sua, pronunciata a tratti con commozione, durante la celebrazione eucaristica nel tempio di San Nicolò gremito.
Molti i sacerdoti che hanno concelebrato, oltre a mons. Paolo Magnani e a mons. Bottari De Castello. All’inizio della celebrazione il saluto, a nome della Diocesi, da parte di mons. Adriano Cevolotto, che ha riconosciuto a mons. Gardin lo stile semplice e l’animo sereno con il quale si sta congedando dalla Diocesi, a sottolineare il fatto che ” nessun servizio, nessuna responsabilità deve in alcun modo porre se stessi al centro, ma far risaltare il primato del Signore Gesù”.
“Il tratto di strada che abbiamo condiviso – ha detto il vicario generale – possiamo dire è stata grazia, e continua ad esserlo. E lo affermiamo riconoscendo che questo nostro ‘oggi’, il nostro volto di Chiesa sorpassa ogni previsione che si poteva fare dieci anni fa. Nessuna tappa raggiunta, a livello personale o ecclesiale, è frutto di pura strategia e di programmazione. E’ piuttosto il risultato dell’intreccio di sollecitudine e di docilità, trama dentro la quale opera lo Spirito del Signore Risorto”.
“In questa Eucaristia – ha poi concluso, dopo aver ricordato l’importante proposta del Cammino Sinodale, sul quale la nostra Chiesa è impegnata – la nostra gratitudine riconoscente si fa preghiera perché lei, p. Agostino, continui a testimoniare la gioia e la bellezza del Vangelo. Perché il Signore le doni, come cita con piacere mons. Battisti, di poter vivere “occupato ma non preoccupato”. Di sicuro il Signore continua a chiederle di occuparsi “delle cose del Padre”, tra le quali c’è anche questa Chiesa che ha amato. Il suo modo di occuparsi sarà sicuramente nella preghiera che continuiamo a chiederle. Da parte nostra intercediamo presso il Signore perché continui a sostenerla con la sua Pace e con ogni Bene”.
Al termine della celebrazione Stefano Zoccarato, in rappresentanza del Consiglio pastorale diocesano, ha a sua volta ringraziato mons. Gardin perché “abbiamo sentito che lei si è dedicato completamente a noi; ci ha indicato la necessità di affrontare le sfide che la storia pone alla nostra Chiesa “rimanendo insieme”, e questo lo ha fatto prima di tutto facendosi veramente e sinceramente nostro compagno di viaggio. Vogliamo allora conservare con gratitudine questa immagine del suo saio da frate che non abbiamo mai visto, del saio rimasto nell’armadio del Vescovo, per ricordarci con grande affetto e tenerezza di come lei abbia voluto e saputo essere in questi anni fratello e compagno di tutti noi. Così profondamente coinvolto dalla vita della nostra chiesa diocesana, da cambiare anche il suo modo di vestire. E’ anche grazie a questo suo stile che le abbiamo voluto bene”. Zoccarato ha poi ringraziato il Vescovo Gardin per “aver insistito sulla necessità di riscoprire la nostra relazione con la persona viva di Gesù: “conoscere Gesù”: quanto volte ce lo ha ripetuto. Ma non in modo astratto: ma, partendo dalla Parola di Dio e confrontandosi con la storia, ed in particolare con la storia dei poveri. L’incontro con i poveri, il confronto con la storia concreta del tempo di oggi, con le sue difficoltà e i suoi drammi, ci porta alla quota degli occhi di Gesù. In questo, oltre che compagno di viaggio, lei è stato anche vero Padre e guida, perché ci ha indicato la meta”.
Prima della conclusione, a nome di tutti, alcune persone rappresentative della nostra Chiesa hanno porto un saluto a padre Gianfranco Agostino, accompagnate dal canto dell’assemblea.
Al termine, a tutti i presenti, è stato fatto dono di un libretto, presentato da mons. Mario Salviato, che raccoglie alcune delle molte preghiere che mons. Gardin ha composto in questi dieci anni, per diverse occasioni.
Ecco l’omelia integrale pronunciata dal Vescovo:
Carissimi tutti,
permettetemi di dire subito con schiettezza che questo momento mi mette un po’ in confusione. Anzitutto perché avverto un certo imbarazzo nell’aver scomodato tante, troppe, persone, e nel sentirmi al centro di un’attenzione che considero eccessiva. Dicevo a me stesso in questi giorni che, se è vero, come siamo soliti ripetere, che il ministero episcopale non è che un servizio, non dovrebbe risultare strano che, nel concluderlo, si esca senza clamore e, per così dire, “dalla porta di servizio”.
E sono in confusione anche perché – non è falsa umiltà, che oltretutto rende ridicoli – ho la convinzione di non aver poi dato così tanto in questi anni trevigiani. Sfogliando le varie pagine del numero in uscita oggi del nostro settimanale diocesano mi è parso che in molti interventi, troppo generosi nei miei confronti, si descriva più quanto avrei dovuto fare che quanto ho realmente fatto. A qualcuno ho detto: ho portato a Treviso gli ultimi anni della mia vita attiva; forse quelli di una persona ormai un po’affaticata, priva della vivacità degli anni in cui disponevo di maggiori energie. Mi è stato osservato che questa poteva essere però la stagione della maturità e della sapienza. In verità la maturità cristiana e la sapienza evangelica non vengono automaticamente dal passare degli anni, ma hanno bisogno della impegnativa disponibilità a lasciarsi continuamente plasmare e riplasmare dal vangelo. Dubito di esserci riuscito.
Ecco dunque le ragioni della mia confusione e del mio imbarazzo. Il quale mi fa arrossire ancora di più se mi metto – come devo mettermi – di fronte al Signore che mi ha chiamato e mi ha inviato. E le indicazioni che mi ha dato, inviandomi, sono quelle assai esigenti date ai primi inviati: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone… Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (cf. Mt 10,8-10). Insomma, mi è stato detto: vai spoglio di tutto e ricco solo della disponibilità a donare te stesso; come ha fatto Lui. E qui non dubito ma sono certo di non esserci riuscito.
Pensando a questi dieci anni mi veniva alla mente una scena frequente fino a 30 o 35 anni fa, quando si usava la macchina da scrivere, poi felicemente rimpiazzata dal computer. Dopo un certo numero di errori si strappava con disappunto il foglio dalla macchina, se ne infilava un altro e si scriveva tutto da capo. Certo, constatando errori e insufficienze, non ho chiesto di rifare il mio decennio a Treviso; ho usato per me con rassegnazione le celebri parole di Pilato: Quod scripsi, scripsi: Quel che ho scritto, ho scritto (Gv 19,22), accettando le mie varie sgrammaticature evangeliche o il mio mancato rispetto della sintassi cristiana.
Sento però il bisogno di chiedere perdono a questa chiesa. Come papa Francesco subito dopo la sua elezione a vescovo di Roma ha invocato su di sé la preghiera benedicente della sua chiesa, io ora chiedo su di me l’assoluzione dalle mie colpe da parte della chiesa di Treviso. Sapendo di non poter dire: la prossima volta farò meglio.
Ad una mia certa ritrosia di fronte alla proposta di questa celebrazione, mi è stato detto, forse con santa astuzia, che era per ringraziare il Signore. Questo mi ha preso in contropiede: a ringraziare il Signore, sì, proprio sì, ci sto. Sento il bisogno di farlo. Perché al di là di tutto e nonostante qualche rammarico, questo decennio trevigiano è stato per me un grande dono. Ho imparato molto, soprattutto a riconoscere maggiormente la bontà, la tenerezza e i tanti doni di Dio. Moltissimi dei quali, devo dire, mi hanno raggiunto attraverso questa chiesa, ovvero grazie alle persone che in essa ho avuto la grazia di incontrare, conoscere e amare.
Entrando in diocesi, il 7 febbraio 2010, avevo detto (non è bello citarsi, ma concedètemelo): «Considero questo essere e operare con voi, che per me oggi inizia e che avverrà per il tempo che il Signore disporrà, una nuova grazia che Egli mi dona, che si aggiunge ai molti altri doni che Egli ha elargito alla mia esistenza». Avevo previsto bene. Il tempo disposto dal Signore ora lo conosciamo, si sta concludendo, e io posso e devo dire che riconosco la grazia di essere stato e di aver operato con voi, non solo, in qualche misura, per voi.
Ho cercato di esprimere in sintesi i doni ricevuti dal Signore in e attraverso questa chiesa di Treviso nell’intervista che mi è stato fatta dal settimanale diocesano. Lo dico non per chiedervi di leggerla (è anche un po’ lunga), ma per non prolungare questo momento.
Ho chiesto invece che si leggesse il brano della lettera di Paolo ai Colossesi che ha costituito la prima lettura (Col 1,3-14). Paolo dice: ho conosciuto la vostra fede in Cristo Gesù e la vostra carità; l’annuncio del Vangelo ha portato in voi frutto; e io prego che continuiate a portare frutto in ogni opera buona, crescendo nella conoscenza di Dio. Ecco, la chiesa di Treviso è per me come la comunità di Colossi per Paolo, per la quale anch’io rendo grazie a Dio. Si dirà: e problemi? nessuno? Qualcosa c’è anche su questo nell’intervista citata. Ma ora è il momento della gratitudine.
Quanti grazie dovrei dire! E quante persone mi vengono in mente, amabili, umili, davvero credenti, generose, dalle quali emanava bontà e profumo di vangelo; compresi i vari «Èpafra – scrive Paolo – nostro compagno nel ministero». Mi riferisco ai preti e ai diaconi di questa diocesi. Da molti di loro ho imparato. Grazie carissimi fratelli, ministri ordinati, appartenenti a varie generazioni; vi porto nel cuore.
Permettetemi allora, per restare tra i preti, con una sorta di operazione sintetica, di dire un grazie tutto particolare almeno a chi mi ha aiutato da vicino: ai due vicari generali, mons. Rizzo e mons. Cevolotto; ai tre vicari per il coordinamento della pastorale, mons. Buso, mons. Bonomo, mons. Salviato; ai tre rettori dei Seminari: mons. Carnio, don Guidolin, mons. Brugnotto. E poi lasciatemi dire grazie ai tre preti che hanno maggiormente portato il peso delle mie piccole o grandi manie e delle mie impazienze: mi riferisco i miei tre segretari, don Paolo, don Alessandro e don Matteo. Grazie della vostra laboriosa pazienza. Ma vi avevo scelti bene.
Un grazie desidero esprimerlo anche ai vescovi emeriti, e non solo per aver voluto essere presenti questa sera: mons. Magnani e mons. Bottari; e il pensiero va anche a mons. Daniel. E già che ci sono, invio anche un saluto cordialissimo e un augurio affettuoso a mons. Michele Tomasi, che tra sedici giorni prenderà il mio posto. E anche lui è un altro dono.
Ho potuto scegliere anche il brano evangelico che è stato proclamato (Gv 14,1-9a). Qualcuno avrà intuito perché.
Anzitutto perché Gesù ci dice che egli ci prepara un posto nella casa del Padre, per poter essere anche noi dove è lui. Io mi sento sempre più interessato a questo tema e si fa sempre più viva per me la preoccupazione di non perdere quel posto.
In secondo luogo perché Gesù si dichiara la via, la verità, la vita; chi vede lui vede il Padre; e chi incontra davvero lui incontrerà davvero per sempre il Padre. E possiamo aggiungere: incontra anche la verità di se stesso.
Più di qualcuno, scrivendo su di me in questi giorni, ha richiamato il mio motto episcopale: Domini pulchritudine correpti: avvinti, conquistati dalla bellezza del Signore. Mi sarebbe piaciuto aiutare di più a conoscere, a gustare e a farsi illuminare e affascinare da tale bellezza. Ma forse vi sono riuscito poco a causa della mia insufficiente o troppo flebile testimonianza. Ma lasciatemi dirlo per l’ultima volta: Gesù è la salvezza, è lui la vita, è il maestro, è il compimento di ogni promessa veramente affidabile, è il passaggio decisivo per ogni autentica esperienza cristiana. E lo dico con le parole, che spesso ho citato, di papa Francesco: «Non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni» (Evangelii gaudium 266).
Questo è anche il mio augurio: quello di camminare con Lui, e camminare insieme tra voi, nella comunione. Ci sarò anch’io, in disparte, nella preghiera.
Ancora grazie e che il Signore vi accompagni.
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