Animare e abitare, ascoltare e accompagnare, festeggiare e celebrare: sono i sei verbi che accompagneranno per tutto il 2023 le iniziative messe in campo per ricordare i 50 anni dalla nascita della Caritas Tarvisina. Cinquant’anni di storia, “una storia segnata e guidata dalla grazia di Dio” sottolinea il vescovo Michele in una lettera inviata ai sacerdoti, per invitare le comunità parrocchiali a fare memoria di questi 50 anni. “È storia non di un ufficio di pastorale, ma della nostra Chiesa intera, che, attraverso l’espressione dell’amore che si fa prossimità, desidera condividere la gioia e la bellezza del Vangelo” aggiunge mons. Tomasi.
Era il 25 gennaio 1973 quando, nell’ambito dell’aggiornamento postconciliare, veniva istituita nella nostra diocesi la Caritas. Sono molte le iniziative e i momenti di incontro che faranno memoria, durante tutto l’anno, di questa storia. A cominciare da domenica 26 marzo quando, alle 16, alla presenza del Vescovo Michele, negli spazi della Casa della Carità, a Treviso, sarà inaugurata “Casa Jawo”, luogo di condivisione per giovani e persone in fatica. Una realtà intitolata a Jawo Muhammed, 47enne originario del Gambia, che in Casa della Carità svolgeva il servizio di custode. Jawo è morto all’improvviso per un malore il 2 settembre 2021. Il pomeriggio sarà dedicato alla condivisione tra coloro che hanno vissuto in Caritas l’esperienza di un anno di servizio con i più fragili.
Lontani dal voler celebrare un evento, un “traguardo”, l’occasione di questo anniversario, piuttosto, può aiutare a “mettere al centro dell’attenzione la testimonianza della carità che come comunità cristiana siamo chiamati a dare, interrogarci su come renderla sempre «consona ai tempi e ai bisogni», ma soprattutto prendere consapevolezza di come la carità ci pungoli a mettere in discussione le forme del nostro essere Chiesa, così come ci spinge a fare il Papa con il percorso del Sinodo”, spiega don Davide Schiavon, direttore di Caritas Tarvisina. E’ anche il Vescovo a esprimere il desiderio che questa sia “una tappa del nostro cammino sinodale, del nostro camminare insieme”.
Un cammino che nasce da lontano, “sui solchi tracciati da migliaia di operatori volontari delle Caritas parrocchiali, da don Davide Schiavon e dai suoi predecessori, mons. Umberto Crozzolin, mons. Fernando Pavanello, don Giuseppe Pettenuzzo e don Bruno Cavarzan – scrive mons. Tomasi -. Su questi solchi veramente il Signore continua a far sperimentare la forza generativa e trasfigurante del Suo Amore”.
Il punto di partenza della dinamica della carità, e quindi dell’azione pastorale che punta a incarnarla, non può che essere l’ascolto. Non è un caso che la struttura di base della Caritas, quella diffusa a livello più capillare sul territorio, si chiami “centro d’ascolto”.
“L’ascolto della realtà, sociale ed ecclesiale, e la luce che proviene dalla contemplazione del mistero possono aprire processi di discernimento in vista di scelte concrete – spiega don Davide -. Solo una carità capace di discernimento può mantenere costantemente l’equilibrio tra l’urgenza dell’azione in risposta ai bisogni e la spinta a cercare la maggior efficacia, incidendo sulle cause e non solo sui sintomi”. E’ lo Statuto della Caritas a evidenziarne la «funzione pedagogica», che deve essere «prevalente» su quella puramente operativa. “Oggi è stimolante provare a interpretare questa indicazione – sottolinea don Davide – ricorrendo alla categoria dell’accompagnamento. Nell’ambito della testimonianza della carità, si evidenziano tre direttrici su cui si gioca la dimensione dell’accompagnamento. La prima è quella della “presa in carico” di coloro che bussano alla porta cercando sostegno. Nei loro confronti siamo invitati ad agire nella logica dei quattro verbi che papa Francesco ci propone di vivere riguardo ai migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Per farlo servono capacità di ascolto, competenza, finezza di intuito e creatività, in modo da strutturare percorsi che facciano leva sulle capacità delle persone,per renderle sempre più autonome. Soprattutto è fondamentale che quanti portano avanti questo accompagnamento siano consapevoli di farlo in nome della comunità, di cui percepiscono il sostegno e che rendono presente con la loro azione a fianco dei poveri e degli emarginati”. Al sostegno nel cammino personale di crescita nell’autonomia si affianca “la seconda direttrice, quella dell’accompagnamento verso il riconoscimento pubblico delle istanze dei più poveri – aggiunge il direttore -, e quindi della loro dignità di cittadini e della loro capacità di dare un contributo al bene comune attraverso la domanda di giustizia che smaschera la «inequità» delle strutture sociali. Si tratta di fare da cassa di risonanza, non di parlare al loro posto! L’ultima direttrice è l’accompagnamento della comunità all’incontro con i poveri. Nessuna comunità ecclesiale può farne a meno, poiché solo i poveri possono svelare un volto di Cristo che altrimenti resta sconosciuto. Papa Francesco è molto chiaro a riguardo: «Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (Evangelii gaudium, n. 198)”.
Il prossimo appuntamento importante sarà il 30 aprile, quando tutti i post obiettori, i giovani che hanno svolto Servizio civile e l’anno di volontariato sociale si incontreranno in palestra della chiesa Votiva.
Articolo in uscita nella Vita del popolo del 26 marzo 2023