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L’omelia del Vescovo nella messa di Pasqua: “Se Cristo è davvero risorto, allora possiamo sperare”

Omelia del vescovo Michele Tomasi nella messa del giorno di Pasqua – cattedrale di Treviso – 17 aprile 2022:

Cari fratelli e sorelle in Cristo: «Buona Pasqua»!

Anche oggi siamo riuniti insieme per celebrare la vittoria sulla morte, la Risurrezione di Cristo, il Vangelo di una tomba vuota che sconvolge tutto ciò che siamo pronti ad accogliere e a credere.

È alla durezza e all’inevitabilità apparente del male, infatti, che nel concreto siamo abituati e disposti a credere. Vediamo il male, ne percepiamo la forza brutale, l’inesorabile presenza nella nostra vita.

Soprattutto in questi nostri tempi inquieti e dolorosi, non reggono più le sicurezze che ci eravamo costruiti, la fede ingenua in una bontà conquistata dall’umanità, nell’impossibilità del ritorno, anche nella nostra pacifica Europa, alla barbarie della guerra. Invece, ecco di nuovo irrompere la ragione irragionevole della forza bruta che porta all’arbitrio del più forte, la lotta di tutti contro tutti, e ancora risuonare la triste profezia come unica parola di apparente saggezza: «homo homini lupus»: l’uomo è lupo per l’altro uomo.

È doloroso, ma non ci sorprende: la guerra in Europa è solo l’ultima di una serie che continua ad insanguinare ogni parte del mondo; la violenza e la sopraffazione sono all’ordine del giorno a tantissimi livelli, la precarietà e la fragilità della vita ci sono ormai quotidianamente presenti attraverso le vicende della pandemia, la diseguaglianza sembra essere inevitabile corollario di ogni attività umana.

Niente di nuovo sotto il sole, dunque.

Ma ecco, ancora una volta, si ripresenta l’annuncio di una tomba vuota. Anche i tentativi di darsi una spiegazione plausibile, come il trafugamento del corpo, una prima teoria del complotto. E ci sono corse avanti e indietro tra il sepolcro ed il cenacolo, annunci non creduti, testimonianze ritenute poco attendibili, sguardi che non riescono a rendersi conto del senso di quanto stanno vedendo.

Ma quel sepolcro vuoto è lì.

Nulla nella storia sino ad ora è riuscito a cancellarne la presenza.

Il dato di fatto di un sepolcro vuoto.

E la testimonianza delle donne, degli apostoli, dei testimoni. Sono stati costretti ad accogliere l’impossibile, a credere l’incredibile e a darne testimonianza, con le parole e con il cambiamento di vita.

I testimoni hanno rimesso in gioco la loro vita non per un’invenzione, non per una teoria o una riflessione teologica, non perché incapaci di accettare la durezza della vita. Essi testimoniano perché hanno incontrato il Risorto:

E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (At 10, 39-41).

Noi siamo qui ora perché siamo in una tradizione ininterrotta di persone che hanno creduto a questo annuncio, e che vivendo a partire da esso hanno incontrato a loro volta il Signore: nella Parola, nei Sacramenti, nella comunità, nei poveri, nei piccoli e nei fragili, nelle vicende della vita.

Il nostro augurio di “buona Pasqua” diventa, allora, l’atto più forte e rivoluzionario che possiamo compiere, se è animato e mosso dalla fede nella vittoria di Cristo sul male e sulla morte.

Se Cristo è davvero risorto, allora possiamo sperare.

Allora c’è una forza di vita nella nostra esistenza, allora la speranza non è un’illusione. Allora ci si può impegnare a favore del bene, allora vince la vita. Anche se non sembra. Anche al cospetto di chi pensa di costruire, in un delirio di onnipotenza, la vita su lutti e macerie: anche se la violenza sembra forte, essa è sconfitta da se stessa, perché genera solamente atti di morte.

Il vero realismo diventa allora la fede nella vita, il perdono reciproco, la fraternità vissuta come dono e benedizione, l’impegno per prendersi cura gli uni degli altri, la fatica di rimanere fedeli nell’amore, il continuo sforzo di disarmare i cuori, le menti, le coscienze. La fiducia nella costruzione di un’Europa autentica casa di pace.

L’uomo non rimane allora nemico, non più avversario, ma amico, compagno di strada, fratello e sorella da accogliere e da amare.

«Homo homini amicus, frater”.

Conversione dello sguardo, della mente, del cuore, della vita.

Grazie alla forza donata da Dio.

Grazie alla Risurrezione di Cristo.

Grazie alla presenza qui, tra noi, del vivente, amante della vita.

 


Celebrata in cattedrale la solenne Veglia pasquale presieduta dal Vescovo

“Il dono della Pasqua è accettare il dono di Dio: diventare ogni giorno «nuovi», più luminosi e belli, più vivi”

“La proclamazione della Pasqua, che celebriamo in questa santa Notte, nella «madre di tutte le veglie» è davvero il centro di tutta la nostra fede, il fondamento di ogni nostra speranza, ed è il cuore che genera e sostanzia ogni nostro atto di amore”:  nella solenne Veglia pasquale in cattedrale, questa sera, il Vescovo ha iniziato così l’omelia, dopo la benedizione del fuoco e la preparazione del cero pasquale, all’esterno, e dopo la Liturgia della Parola che ha ripercorso e fatto rivivere le tappe della storia della salvezza. Nel corso della celebrazione undici catecumeni hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana.

“Tutta la vita della Chiesa è un continuo celebrare la Pasqua, meditarne il senso e il significato, approfondirne il valore – ha ricordato mons. Tomasi -. Tutta l’esistenza della Chiesa e dei discepoli di Cristo è una celebrazione della vita nuova ricevuta in Cristo, risorto e vivo in mezzo a noi”.

E l’ingresso in questa vita nuova ci è donato nel Battesimo, nel quale siamo immersi in Lui, “nel dono di amore che è la sua morte, e siamo resi capaci di una “novità di vita”. Proclamare oggi la nostra fede nella Risurrezione di Cristo – ha sottolineato il Vescovo -, significa tornare alle sorgenti della vita nuova che ci è stata donata. Il cammino della nostra vita sarà allora un continuo ritorno a questa origine, disponibilità quotidiana a rinunciare al potere della morte, del sospetto, della paura”.

“Cari fratelli e sorelle in Cristo, e soprattutto voi, cari catecumeni che ora sarete inseriti in Cristo mediante il battesimo, questo è il dono della Pasqua: accettare il dono di Dio, diventare ogni giorno «nuovi», più luminosi e belli, più vivi. La continua conversione a ciò che il Risorto ci dona nel battesimo è quanto possiamo fare di più potente per il bene del mondo: credere in Dio, cercare la nostra guida soltanto in Cristo e rimanere saldi con Lui contro il male, la morte, la guerra, la violenza. Condividere la vita vera da Figli di Dio, fratelli e sorelle, tutti”.

 

L’omelia integrale del Vescovo:

Veglia pasquale – 16 aprile 2022

Cattedrale di Treviso

La proclamazione della Pasqua, che celebriamo in questa santa Notte, nella «madre di tutte le veglie» è davvero il centro di tutta la nostra fede, il fondamento di ogni nostra speranza, ed è il cuore che genera e sostanzia ogni nostro atto di amore.

Tutta la vita della Chiesa è un continuo celebrare la Pasqua, meditarne il senso e il significato, approfondirne il valore. Tutta l’esistenza della Chiesa e dei discepoli di Cristo è una celebrazione della vita nuova ricevuta in Cristo, risorto e vivo in mezzo a noi.

L’ingresso in questa vita ci è donato nel battesimo, esso “sancisce l’appartenenza dei cristiani a Cristo vivente” (Pino Stancari). Dobbiamo continuare a meditarlo e poi dobbiamo davvero continuare a crederlo: Cristo risorto, il principio della vita nuova è il Cristo crocifisso e morto sulla croce.

Dobbiamo ricordarlo sempre, perché come ci insegna San Paolo – e ci viene annunciato ogni anno, in questa liturgia della notte – se siamo battezzati in Gesù “siamo battezzati nella sua morte”, “siamo stati sepolti insieme a lui nella morte”.

Nel battesimo è morto ciò che siamo in quanto figli di Adamo, ciò che siamo come eredi di Caino, inizia una vita nuova, in Cristo.

Muore tutto ciò che ci fa mettere noi stessi al centro dell’esistenza, muore la nostra pretesa di essere noi stessi il dio della nostra esistenza, muore l’uomo vecchio che cerca con affanno di vincere la morte con le sue sole forze. E così non fa altro che continuare a generare morte.

E come la morte non ha più potere su Cristo Gesù, risorto dai morti, così anche noi, se lasciamo inchiodare l’uomo vecchio sulla croce, saremo “viventi per Dio, in Cristo Gesù”.

Non veniamo liberati dalla nostra condizione mortale, né dalla sofferenza, e nemmeno dalle prove. Dovremo essere sottoposti a prove, subiremo sofferenze, dovremo morire.  Ma non saremo più schiavi, non saremo più guidati dalla paura della morte. Il peccato non ci domina, la mortalità non ci contiene: siamo grandi della stessa vita di Dio, che ci è donata, completamente donata e mai costruita da noi stessi o conquistata dalla volontà o dalla forza.

La nostra vita è tutta racchiusa in questa tensione: tra l’essere morti, liberati dal potere della morte e ancora mortali, liberi dal male perché inseriti realmente in Cristo e ancora in un cammino che fa rivivere l’uomo vecchio, che vive cioè ancora il sospetto primordiale di Adamo verso Dio e la scelta omicida di Caino verso il fratello.

Ma il dono di Dio è irrevocabile: nel battesimo siamo immersi in Lui, nel dono di amore che è la sua morte, e siamo resi capaci di una “novità di vita”.

Proclamare oggi la nostra fede nella Risurrezione di Cristo, significa tornare alle sorgenti della vita nuova che ci è stata donata.

Il cammino della nostra vita sarà allora un continuo ritorno a questa origine, disponibilità quotidiana a rinunciare al potere della morte, del sospetto, della paura.

Ascoltiamo un padre della Chiesa a questo proposito:  “Non pensare che il rinnovamento della vita, che si dice avvenuto una sola volta, sia sufficiente; ma continuamente ogni giorno bisogna fare nuova, se si può dire, la stessa novità. Come infatti l’uomo vecchio continua ad invecchiare e di giorno in giorno si fa più senescente, così anche questo nuovo continua a rinnovarsi e non c’è mai un tempo in cui il suo rinnovamento non si accresca. Camminiamo in novità di vita, mostrandoci ogni giorno nuovi a colui che ci risuscitò con Cristo, e per così dire più belli, cercando in Cristo come in uno specchio la bellezza del nostro volto e, contemplandovi la gloria del Signore, trasformiamoci nella sua stessa immagine, poiché Cristo risorgendo dai morti dalle bassezze terrene è asceso alla gloria della maestà del Padre” (Origene).

Cari fratelli e sorelle in Cristo, e soprattutto voi, cari catecumeni che ora sarete inseriti in Cristo mediante il battesimo, questo è il dono della Pasqua: accettare il dono di Dio, diventare ogni giorno «nuovi», più luminosi e belli, più vivi.

La continua conversione a ciò che il Risorto ci dona nel battesimo è quanto possiamo fare di più potente per il bene del mondo: credere in Dio, cercare la nostra guida soltanto in Cristo e rimanere saldi con Lui contro il male, la morte, la guerra, la violenza.

Condividere la vita vera da Figli di Dio, fratelli e sorelle, tutti.

 

 


Messaggio: gli auguri del Vescovo

“Nel Natale di Gesù la radice di ogni nostro rinascere”

Per il Natale 2021, vi auguro di diventare voi stessi un augurio di Natale. Un augurio è l’espressione del desiderio che alla persona a cui viene rivolto accada qualcosa di bello (non voglio nemmeno prendere in considerazione auguri di male…). Ci auguriamo, quindi, semplicemente di passare bene la festa del Natale. È già molto, ci sembra quasi difficile da esprimere in tempi così complicati come i nostri, soprattutto se incontriamo persone che in vario modo vivono la precarietà dell’esistenza a causa della malattia, della solitudine, di qualche difficoltà o crisi familiare, sociale, economica. Sentiamo, a partire dalla nostra fede, che quello che si festeggia è veramente importante, e quindi desideriamo che il contenuto celebrato possa riverberarsi sull’esistenza di chi lo festeggia. A volte ci basterebbe un po’ di serenità e di quiete. Ma no, non basta ancora. Allora desideriamo per gli altri che i loro desideri più cari possano realizzarsi in quel giorno. Auguriamo in fondo che accada qualcosa che scaldi il cuore, che dia luce e calore, che regali alla vita un colore e una musica carichi di affetti, di pace, che aprano al sorriso le persone care, soprattutto quelle più provate dalla vita. Poi ci diciamo subito che la pace e la gioia non possono limitarsi ad un giorno solo.

Qualcuno ne trae la conseguenza di rinunciare del tutto agli auguri.

Andiamo invece avanti. Andiamo in profondità del nostro desiderio di bene, per noi e per gli altri. Andiamo alle radici della possibilità di questo bene: il Signore Dio prende parte alla nostra vita, diventa uno di noi, il bambino Gesù, l’uomo vero. Lui prende le nostre parti. Quelle dello scartato, del debole, del piccolo. Quelle di ciascuno di noi, di tutti. Non ci lascia più da soli, ci sostiene, ci accompagna, ci guida. Si dona. Diventa dono. Abbandonato in croce, abbraccia tutti. Risorto è veramente presente, per sempre, e apre la vita all’eternità. Lui si fa Natale, Lui si fa dono, Lui assume e realizza ogni desiderio. Lui è garanzia, fonte e meta di ogni augurio. Se metto il mio desidero di bene per chi riceve i miei auguri nel cuore del Signore Gesù, Lui è caparra di ogni mio augurio. Ed è Lui che raggiunge l’altro nel mio augurio, che non è più soltanto una formula consueta, ma diventa parola vera, che sgorga dal cuore.

E l’augurio non è più nemmeno soltanto parola, ma respiro dell’anima che mette in moto la mia disponibilità, il mio cuore e le mie mani, la mia fantasia e tutto il mio desiderio per vedere realizzato il tuo desiderio di bene.

E troverò il modo, magari semplice e discreto per farmi presente, veramente persona con te, con tutti, affinché ti possa accadere davvero qualcosa di bello, un’emozione, una luce calda, un sorriso nuovo ed insperato.

 

Nel Natale di Gesù di Nazareth, il Cristo, vero Dio e vero uomo, ci sia la radice di ogni nostro rinascere, ci sia il motivo di ogni sorriso, di ogni aiuto, di ogni gesto piccolo o grande di fraternità, ci sia il desiderio che si realizzi ogni desiderio di bene.

Auguro a noi tutti che possiamo diventare un augurio vero, incarnato.

Buon Natale!


Il Seminario al centro di una grande alleanza formativa: il Messaggio del Vescovo per la Giornata

In occasione della giornata del Seminario di quest’anno parto da un ringraziamento: grazie a don Giuliano Brugnotto che ha svolto l’incarico di Rettore del Seminario sino a settembre di quest’anno e grazie a don Luca Pizzato che ha accettato di ricoprire da allora in avanti questo importante ruolo. Assieme a loro ringrazio anche gli educatori e – sempre da quest’anno – le educatrici che partecipano all’impegno formativo, senza dimenticare le tante persone che contribuiscono con il loro lavoro alla vita del Seminario, dipendenti e volontari. Per poter essere un Seminario diocesano all’altezza dei tempi serve davvero un grande sforzo corale, fatto di generosità spesso nascoste, ma indispensabili. A tutti, grazie di cuore.

Don Luca ci ha ricordato la settimana scorsa su queste pagine che tutta la comunità cristiana è il soggetto che accompagna i giovani nel cammino di scoperta e di approfondimento della propria vocazione, nell’ascolto cioè di quella voce interiore che è capace di aprire un cammino di vita che porti a dare forma a un desiderio di pienezza e di vita.

La dimensione vocazionale è veramente centrale nella vita dei cristiani. È esperienza che scaturisce direttamente dalla fedeltà di tutta la Chiesa alla Parola di Dio che la interpella quotidianamente, nelle Scritture sante e nella storia degli uomini. Come ha annotato Luigino Bruni: “Potremmo riscrivere l’intera Bibbia come un susseguirsi di storie di persone che hanno seguito una voce che le chiamava”.

Ogni vicenda che veda una scelta e un’accettazione consapevole del proprio compito e del proprio contributo al bene di tutti riceve il suo sigillo e trova il gusto del proprio significato nel comprendersi come una risposta alla chiamata di quella voce interiore.

Il Seminario contribuisce con il proprio specifico servizio, accompagnando ragazzi e giovani in questo comune cammino di ascolto e di discernimento, e poi nel particolare percorso di quei giovani uomini ai quali la voce suggerisce di stabilire un legame con Gesù Cristo nel servizio da presbiteri alla comunità cristiana. In questo caso quella voce – talvolta quasi un sussurro, comunque sufficiente per smuovere una ricerca, a tratti appassionata, e tutta l’intensità di giovanili generosità – richiede e mostra come possibile il dono di tutta la vita, affinché essa sappia mettersi interamente a disposizione della crescita della comunità intera. Il periodo del Seminario deve aiutare ad ascoltare questa voce, a dare un nome al proprio desiderio e ad incarnare nell’oggi della Chiesa un sogno, un’aspirazione.

Il Seminario è una comunità ecclesiale molto particolare, e non può essere altrimenti: tanto tempo deve essere dedicato allo studio e all’acquisizione di competenze necessarie per un presbitero, oggi più che mai. I seminaristi dovranno trovare però anche una comunità che li aiuti ad assimilare i contenuti in modo originale e creativo, per arrivare ad una personale sintesi che illumini e sostenga la loro disponibilità a mettersi in gioco. In un tempo della storia e della Chiesa come il nostro non ci si può affidare a ricette di nessun tipo, servono invece fedeltà creativa e collaborazione matura e adulta.

Per tentare di raggiungere questi obiettivi il Seminario non può rimanere da solo, ma deve essere al centro di una grande alleanza formativa che coinvolga le comunità parrocchiali, gli organismi diocesani e tutti i fedeli in modi differenti sì, ma che non escludano nessuno. Il periodo trascorso in Seminario deve essere di intensa immersione nella vita della Chiesa e nel tempo di oggi – con le sue contraddizioni, le sue ricchezze e potenzialità – in un contesto di cambiamento veloce e profondo. Il Seminario ha bisogno di tempi e di percorsi propri, certamente, ma non può essere isolato dal resto della Chiesa in cammino o dalle vicende del proprio tempo, se vuole contribuire a formare presbiteri che sappiano essere a servizio vitale del popolo di Dio.

Il Seminario accompagna i giovani che si sentono chiamati alla scoperta dei «segni dei tempi» che li motivino a cogliere la presenza viva di Cristo crocifisso e risorto nei Sacramenti, nella Parola letta, studiata e pregata, nella comunità, nelle richieste e negli aneliti del nostro tempo, nel grido dei poveri e del creato. Non potrà svolgere questo compito senza la collaborazione di noi tutti, anche noi in continuo ascolto di quella voce che ci chiama, che ci stimola, che ci invita a vivere oggi l’eccedenza di vita promessa in ogni pagina di Vangelo. Prendendoci cura della formazione dei futuri presbiteri ci prendiamo cura di tutta la Chiesa. Anche questa è una forma, concreta e feconda, di sinodalità.

+Michele, Vescovo    

 


La santità è un popolo in cammino che vive la beatitudine della povertà

Era dedicata alla prima delle beatitudini contenute nel Discorso della montagna l’omelia del vescovo Michele nella messa per la solennità di Tutti i Santi, stamattina, 1° novembre, in cattedrale: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli». Una riflessione sulla pagina del Vangelo secondo Matteo, per cercare “il segreto, il mistero della santità” contenuto proprio in quella definizione di beatitudine.

Difficile credere “che ci siano davvero una beatitudine e una felicità nella povertà, in qualunque forma di povertà, o che ci siano davvero dei poveri che stanno diventando eredi di un regno” ha sottolineato il Vescovo, che ha spiegato chi sono questi poveri e le tante povertà che molte persone vivono: “Coloro che non hanno proprio nulla su cui contare, e per i quali questa mancanza arriva a toccare così tanto la vita quotidiana che giunge fino allo spirito, al cuore, al nerbo dell’esistenza”; coloro che vivono una mancanza, un vuoto, dato magari “da un fallimento dei tuoi progetti, come la mancanza di lavoro o di un lavoro dignitoso, o l’impossibilità di sognare almeno un futuro: povertà di avvenire; c’è poi la povertà della malattia e dell’infermità, della non autosufficienza; la povertà dell’ignoranza o l’aridità di chi non sa che cosa significhi un affetto; la mancanza delle capacità e delle forze a causa dell’età che avanza; la povertà di chi è gravato da una colpa, e non riesce a vedere una possibilità di perdono, di riscatto. Mancanza, vuoto, chiusura di orizzonte. È una condizione faticosa e difficile, dura, che rischia di schiacciarti se la vivi da solo e ti prende l’angoscia o la rabbia, ma che porta in sé anche la possibilità di un nuovo inizio e di un incontro”. Una condizione nella quale ci si scopre creature e si è pronti “ad accogliere quella Parola che viene, che ti stana, che ti raggiunge nel profondo di te, che ti dice che sei beato, che sei felice. Perché contro ogni apparente ragionevolezza e contro ogni probabilità ti ritrovi davvero in un Regno retto da chi ti conosce e ti ama”. Il povero in spirito – ha ricordato il Vescovo – “ha un cuore vuoto che attende soltanto di essere riempito: è l’uomo, è la donna che sono veramente liberi, in ascolto, in attesa, quasi, di essere nuovamente ri-creati, ri-generati a vita nuova. Beati perché sono capaci di accogliere il Signore che viene”.

È la condizione di ogni nuovo inizio, di chi si scopre creatura, figlio ed erede, amato e voluto: “Poter fare questo passaggio è il rischio supremo della vita, il rischio della santità, e per compiere questo passo è necessaria la comunità dei fratelli e delle sorelle. Perché nella povertà, se sei solo rischi davvero di soccombere. Hai bisogno di compagni di strada. Hai bisogno di vedere qualcuno che, nella prova, non ha disperato e ha testimoniato la forza della vera gioia. Ed ecco i santi le cui vite ci illuminano gli occhi e ci riscaldano il cuore. E nella prova hai bisogno di chi si metta a tua disposizione e che si prenda cura di te. Ecco perché i mestieri e le professioni della cura sono così necessari alla vita e alla società, ecco perché è folle non riconoscerlo, e non riconoscere loro il fondamentale posto di rispetto e di onore che spetta loro. Ecco la necessità di persone che sappiano stare assieme agli altri, che non abbiano paura di farsi carico delle fatiche, dei bisogni e delle necessità di chi soffre, e che di fronte al grido di aiuto di tanti fratelli e sorelle non si girino dall’altra parte”. La difesa della vita di ciascuno e di tutti – ha ricordato mons. Tomasi – richiede con forza la santità, la dedizione alla vita per amore. La santità è un popolo in cammino, in cui i poveri della storia trovano accanto a sé altri poveri che per amore si sono spogliati del proprio ingombrante io e, tutti insieme, ascoltano la dolcezza della voce che li dice – tutti – beati. Insieme essi – tutti – pongono le condizioni perché questa Parola diventi esperienza di aiuto dato e ricevuto, di vita a tratti faticosa, ma vissuta insieme e senza paura, nella speranza di un amore sempre più grande, di una vita sempre più intensa”.

Camminare insieme, imparando ad amare tutte le condizioni che ci permettono di accorgerci e di prenderci cura gli uni degli altri, e di vedere il volto di Cristo in ogni volto e in ogni storia, e di sentire la voce del Padre che ci crea e che ci ama: questo è santità.

 

“Un tempo di conversione al Dio della vita”: il messaggio del vescovo Michele per la Quaresima

“L’itinerario della Quaresima, come l’intero cammino cristiano, sta tutto sotto la luce della Risurrezione, che anima i sentimenti, gli atteggiamenti e le scelte di chi vuole seguire Cristo”.

Faccio mio questo passaggio del messaggio di papa Francesco per la Quaresima 2021 e lo consegno a tutti voi, cari fratelli e sorelle in Cristo. Vi trovo espresso il motivo più valido e lo stimolo più urgente per vivere insieme questo tempo di preparazione alle celebrazioni della Pasqua.

Oggi più che mai siamo chiamati ad un serio percorso di conversione, da vivere non per conquistare un aiuto che Dio ci nega fino a che non ce lo meritiamo, ma per poter finalmente accogliere la forza e la luce del Risorto, già presente nella nostra vita. Lui, il crocifisso per amore, è risorto ed è davvero presente, ma quanto dobbiamo noi cambiare nella mente, nel cuore, nei sentimenti, negli atteggiamenti e nelle scelte affinché la sua forza possa dispiegarsi nella storia, nelle nostre vite, anche e soprattutto in questo tempo di crisi.

  • Conversione dei sentimenti alla tenerezza: non possiamo permettere che la pandemia ci consegni cuori impauriti e induriti, altrimenti avremo sguardi come pietre, e mani rapaci. Siamo, invece, portatori di un animo, di sguardi e di parole gentili.
  • Conversione degli atteggiamenti alla cura: a ciascuno e ciascuna di noi il Signore ha affidato un pezzetto di mondo da curare e coltivare, e a noi tutti insieme ha affidato la sua vigna. Con i nostri comportamenti rischiamo ancora una volta di cacciarne via l’erede, il Figlio che viene, il Risorto che è qui.
  • Conversione delle scelte all’impegno per il bene comune: senza il bene di tutti, della società, dell’economia, della politica, delle comunità, non c’è nemmeno il bene individuale. Costa sicuramente lottare per la giustizia, per la dignità della persona, per la verità. Ed è rischioso, ci sarà sempre qualcuno che ne approfitta. È la logica della croce. Ma ci guadagniamo tutti se in molti cambiamo rotta, ed è l’unica strada realistica per uscire insieme da questo tempo di crisi. È la realtà della risurrezione.

QUARESIMA: UN TEMPO PIENO DI ATTENZIONI ACCOGLIENDO IL DIO DELLA VITA

Le celebrazioni di questo tempo santo – l’imposizione delle ceneri, l’Eucaristia domenicale e quella feriale, l’ascolto personale e comunitario della Parola di Dio, la celebrazione della Riconciliazione, la Liturgia delle ore, la preghiera in famiglia, la Via crucis, la preghiera personale «nel segreto della propria camera», ogni momento in cui ci metteremo esplicitamente in relazione al Signore – siano vissute come l’occasione che ci è donata di fare spazio nella nostra vita alla luce e alla forza della Risurrezione.

Noi non commemoriamo il rimpianto di un’assenza, ma ospitiamo tra noi il Vivente, il Dio della vita.

  • La preghiera, scuola di incontro con il Dio della vita

Se in ciascuno di questi momenti impareremo a far brillare la luce del Risorto, lo scopriremo anche presente nel resto della nostra esistenza. «Il Cristo vivente, pregato e celebrato per ciò che lui è, e da noi riconosciuto presente nella persona del povero che è il suo più reale sacramento. Questo significa che la preghiera è il primo atto di una Chiesa in uscita» (Convegno della Chiesa Italiana, Trasfigurare. Sintesi dei gruppi, Firenze 2015).

  • La carità, presenza nella storia del Dio della vita

In questo tempo di pandemia non mancano certo le situazioni di difficoltà, di prova, di bisogno. Impegniamoci a vivere le nostre giornate con uno sguardo attento a chi ci sta attorno. L’orecchio e il cuore, allenati all’ascolto pieno di amore della Parola di Dio, sapranno accogliere le mille richieste di aiuto, di solidarietà e di vicinanza che ci vengono rivolte, da vicino e da lontano. Il digiuno diventi «palestra» di fraternità solidale, e ciò a cui in esso rinunciamo diventi dono gioioso ai poveri. Si aprirà così anche la nostra mano alla condivisione.

  • L’impegno per la giustizia e la fraternità, testimonianza al Dio della vita

Impariamo anche a cogliere le conseguenze delle nostre scelte e delle nostre decisioni, piccole e grandi, sul creato, sulla coesione sociale, sulla dignità delle persone e rendiamoci disponibili a cambiare strada se necessario. La forza del Risorto agisce con noi anche quando viviamo in società, quando accogliamo con rispetto ogni vita, quando prendiamo decisioni di produzione e di consumo sagge e lungimiranti, quando siamo fratelli e sorelle di tutti anche nell’economia di mercato, quando decidiamo di impegnarci per la salvaguardia del creato, quando scegliamo di essere cittadini attivi e responsabili, attori di una vita sociale, economica e politica autenticamente a servizio della dignità di ogni persona.

LA QUARESIMA DEL POPOLO DI DIO IN CAMMINO, AURORA DI RISURREZIONE

Vi invito a riprendere i criteri di cammino, le forme di ascolto che ho indicato nella lettera pastorale Saldi nella speranza, cercando nella vita individuale e nelle famiglie, nelle comunità cristiane, nei luoghi di lavoro e di vita civile quale sia la Parola di Dio che vi guida, le indicazioni del magistero del Papa che indicano le priorità da stabilire, e l’appello dei poveri che vivono accanto a voi. Cercate di incontrarvi tra di voi malgrado le distanze e i timori che contraddistinguono questo tempo, per conoscere veramente le persone che vi vivono accanto e per farvi davvero conoscere per quello che siete e che vi sta più a cuore. Provate a interpretare questo nostro tempo come la storia dell’incontro del Risorto con il suo popolo in cammino (Saldi nella speranza, p. 42-44).

La nostra Quaresima diventerà allora il sacramento dell’irruzione, in pienezza di amore, del Dio della vita in questo tempo smarrito e sospeso.

Il Signore Dio, che fa nuove tutte le cose, ci condurrà alla Pasqua di Risurrezione che già agisce nella nostra storia, fondamento e realizzazione di ogni speranza.

 

Uniti nella preghiera e nell’amore di Cristo,

   ✠ Michele, Vescovo

 

17 febbraio 2021, Mercoledì delle Ceneri