Cinque mesi più tardi, il 18 aprile 1885, fece il suo ingresso nella diocesi di Mantova: una diocesi “difficile”, che Gianpaolo Romanato ha definito “una diocesi alla deriva”[1].Alla guida di questa diocesi avevano già fallito due vescovi intransigenti: mons. Pietro Rota (S. Prospero, Reggio Emilia, 1805-Roma,1890) fra il 1871 ed il 1879, e mons. Giovanni Maria Berengo (Venezia, 1820-Udine, 1896) fra il 1879 ed il 1884. Il primo rinunciò all’episcopato mantovano ed il secondo fu “promosso” alla sede di Udine.L’ambiente cittadino era caratterizzato da diffusa miscredenza, settarismo, anticlericalismo “rabbioso” fomentati dalla attiva presenza della massoneria. Inoltre gli ambienti colti erano pervasi da idee ispirate a scientismo, razionalismo e positivismo.Il capofila del positivismo italiano, Roberto Ardigò (1828-1920), professore del seminario mantovano e canonico, aveva gettato la tonaca alle ortiche nel 1871. È il caso più celebre ed emblematico, ma già nell’anno precedente 10 sacerdoti avevano smesso l’abito clericale.Subito si impegnò per “ricostruire” il seminario, rimasto chiuso qualche anno fra il 1870 ed il 1880, ma già nel 1886 la cura Sarto registrava i primi frutti.Altro obiettivo focalizzato immediatamente era la “ricostruzione” delle comunità parrocchiali locali dal punto di vista ecclesiale secondo linee pastorali già realizzate e ampiamente collaudate nel Veneto, incentrate su un’attiva vita sacramentale e sull’insegnamento della dottrina cristiana. Questa ricostruzione dal punto di vista religioso doveva avere dei riflessi anche in una contemporanea ricostruzione dal punto di vista civile della società mantovana, travagliata dal movimento di ispirazione anarchico-socialista “La boje”, nel tentativo di rifondare una Societas Christiana attraverso la rivitalizzazione delle attività che più o meno apertamente presentavano ispirazioni evangeliche.Il 18 agosto 1885 il nuovo vescovo indisse la Visita Pastorale della diocesi (una seconda fu iniziata il 25 maggio 1889). Vari sono i campi in cui la sua azione religiosa e riformista si fece sentire.Nel campo della catechesi e della dottrina cristiana, già il 12 ottobre 1885 prescrisse che in ogni parrocchia fosse istituita la Scuola della Dottrina Cristiana, e che in tutte le domeniche e le feste di precetto si dovesse spiegare il catechismo al popolo ed ai fanciulli. A volte teneva la catechesi al posto di un parroco che ne fosse per qualche ragione impedito o in parrocchie sprovviste di sacerdote, e vigilava attentamente per rendersi conto personalmente se e come veniva impartito l’insegnamento catechistico nelle parrocchie.Altro campo che ha registrato il suo attivo intervento riformistico fu quello della musica sacra, perché tale musica, a Mantova come nel Veneto, era di stile teatrale e melodrammatico. Il 15 ottobre 1887 licenziò tutti i cantori del duomo ed istituì la scuola dei cantori seminaristi. Verso la fine del mandato episcopale a Mantova incontrò il giovanissimo Lorenzo Perosi (1872-1956), che gli parlò della musica della celebre abbazia di Solesmes, centro benedettino francese di rinnovamento liturgico e di sviluppo del canto gregoriano. Come vescovo, raccomandò quest’ultimo, tentando di renderlo popolare affinché fosse cantato durante le celebrazioni liturgiche.Molto si scritto a questo proposito, ma ecco il suo pensiero in merito: “L’argomento da raccomandare è il Canto Gregoriano e specialmente il modo di cantarlo e renderlo popolare. Oh! se si potesse ottenere che tutti i fedeli, come cantano le Litanie Lauretane e il Tantum Ergo, così cantassero le parti fisse della Messa: il Kyrie, il Gloria, il Credo, il Sanctus, l’Agnus Dei. Questa sarebbe per me la più bella delle conquiste della Musica Sacra, perché i fedeli, prendendo parte veramente alla Sacra Liturgia, conserverebbero la pietà e la devozione”. Lo stesso concetto veniva ribadito qualche anno più tardi. “Io me le immagino” scriveva a mons. Giuseppe Callegari durante il periodo veneziano, quando ormai aveva maturato a riguardo una strategia più profonda “mille voci che cantano in una chiesa di campagna la messa degli angeli […] e resto rapito, come mi eccitano sempre alla pietà e alla devozione i canti del popolo nel Tantum Ergo, nel Te Deum e nelle Litanie e li preferisco alle musiche polifoniche che non siano ben condotte”[2].Già a Mantova mise in guardia contro quel movimento di pensiero che sarà chiamato Modernismo: il 7 febbraio 1887 puntò il dito contro coloro che “sebbene conoscano superficialmente la scienza della religione e meno la pratichino, pretendono erigersi a maestri e vanno dichiarando […] dimenticata l’antica follia della Croce, [che] i dogmi della fede debbono adattarsi alle esigenze della nuova filosofia” che veniva proposta dal gesuita inglese George Tyrrell (1861-1909) e dall’esegeta e storico delle religioni francese Alfred Loisy (1857-1940). Essa trovò in seguito in Italia seguaci di un certo rilievo: è un fenomeno da indagare con maggiore imparzialità, ma fu importante perché richiamò l’attenzione, tra le altre, di notevoli personalità, come i sacerdoti Romolo Murri (1870-1944) ed Ernesto Buonaiuti (1881-1946), il romanziere Antonio Fogazzaro (Vicenza,1842-1911), il barnabita ligure Giovanni Semeria (Coldiroli, 1867-Sparanise, 1931), Giovanni Genocchi (Ravenna, 1860-Roma, 1926), il magistrato romano Adolfo Lepri (1881-1948), Mario Augusto Martini (1885-1962) e Guido Manzelli (1888-1960).La spinta alla riforma della diocesi comportò anche la convocazione di un sinodo diocesano, che in diocesi di Mantova non si teneva da circa due secoli: indetto il 16 febbraio 1887, fu celebrato dal 10 al 12 settembre 1888, e così la diocesi mantovana si diede quella Magna Charta che aggiornava la sua vita religiosa e toglieva quanto si era venuto disordinatamente accumulando dal ‘700 al 1887 senza che nessun presule facesse le scelte pastorali necessarie.Diede spazio all’Azione Cattolica ed ebbe una parte notevole nella costituzione dell’Unione Cattolica Italiana di Studi Sociali, sorta a Padova il 29 dicembre 1889 per opera di mons. Giuseppe Callegari, del trevigiano Giuseppe Toniolo (Treviso, 1845-Pisa, 1918) e del bergamasco Stanislao Medolago Albani (Bergamo, 1851-1921).Invitò i suoi parroci a farsi indefessi promotori della comunione frequente e quotidiana, con particolare riguardo all’ammissione alla mensa eucaristica dei fanciulli.Ebbe particolare sensibilità per i problemi dell’emigrazione, che negli anni Ottanta del secolo scorso dissanguava le campagne italiane: cercò di frenare l’ondata migratoria verso i paesi transoceanici e, dove non riusciva, faceva in modo che le parrocchie fossero vicine ai loro parrocchiani lontani.Come nel Veneto, anche a Mantova condusse una vita semplice: si circondò delle sorelle nubili per accudire le faccende domestiche. Era sempre vicino ai poveri con l’aiuto materiale, ma accoglieva sempre tutti, senza distinzione di ceto sociale e di censo.I quasi nove anni passati a Mantova presentavano un bilancio ampiamente positivo: la diocesi era ricostruita e saldamente fondata su basi rinnovate. L’azione pastorale sartiana, a cui si guardava con crescente ammirazione, suscitò consensi ed onori: sul vescovo Sarto infatti “vigilava” da Roma un osservatore d’eccezione, cioè il cardinale mantovano Lucido Maria Parocchi, proprio colui che lo aveva consacrato vescovo, il vicario di Leone XIII. Questi lo definì “miglior vescovo della Lombardia”. Fu proposto per la porpora cardinalizia. Rifiutò. Ma il Segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro gli fece capire che rimanere di quell’idea forse avrebbe arrecato un grave dispiacere al papa. E allora finì con l’accettare. L’onore gli spettò quindi per i meriti acquisiti sul campo a Mantova, e non perché promosso patriarca di Venezia, sede tradizionalmente cardinalizia. Fu eletto cardinale di Mantova, col titolo di S. Bernardo alle Terme, nel concistoro segreto del 12 giugno 1893 e tre giorni dopo, il 15 giugno, fu promosso al patriarcato di Venezia. La sede era rimasta vacante per un anno e mezzo dopo la morte del card. Domenico Agostini, patriarca dal 1877 al 1891, a causa del il rifiuto di numerosi vescovi, ma dovevano passare ancora 15 mesi prima che potesse prendervi possesso: il regio Exequatur non giungeva a causa dell’opposizione di Francesco Crispi, che opponeva il diritto della nomina regia per il patriarcato di Venezia.Solo il 5 settembre 1894 il re firmò il decreto ed il 24 novembre 1894 il Sarto poteva insediarsi sulla cattedra di S. Lorenzo Giustiniani. I veneziani lo accolsero con grandi feste: forse mancavano solo gli amministratori della città lagunare, di tendenza liberal-democratica, che tennero chiuso per l’occasione il municipio. [1] ROMANATO G., Pio X La vita di papa Sarto, Rusconi, Milano, 1992, pp. 145-186.[2] Entrambe le citazioni si trovano in DAL-GAL G., Il papa santo Pio X Vita ufficiale della Postulazione per la Causa di Canonizzazione, Il Messaggero di S. Antonio, Padova, 1954, pp. 56-57.
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