AFRICA SUBSAHARIANA – Le mani di Mosca sul Sahel, l’area più povera del pianeta

Un interessante articolo di Enrico Vendrame, pubblicato sul numero di ottobre di “Terre & Missioni”

Dal 2017 l’area è diventata il terreno di scontro di una vera e propria guerra di influenza fra Francia e Russia, culminato all’inizio di quest’anno con il ritiro delle truppe francesi e delle forze speciali europee e l’arrivo dei mercenari russi della Pmc Wagner
Agli occhi degli africani, i russi sono scesi in campo come partner alternativo ai francesi in ritirata, puntando sulla cooperazione nel campo della sicurezza a favore delle élite al potere.
l Sahel, dall’arabo Sahil cioè “bordo del deserto”, è quella fascia di transizione dell’Africa subsahariana, compresa fra le zone desertiche del nord dell’Africa e quelle ricoperte da vegetazione più vicine all’equatore, l’oceano Atlantico a ovest e il Mar Rosso a est. Una striscia lunga 8.500 Km, vasta circa 6 milioni di chilometri quadrati, che attraversa 12 Stati (Gambia, Senegal, Mauritania,
Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Camerun, Ciad, Sudan, Sud Sudan ed Eritrea), definita più dalle sue caratteristiche climatiche, ambientali e sociali, che non da quelle geografiche o politiche.
Considerata come una zona di passaggio e un luogo di intensi scambi commerciali, la fascia del Sahel è sottoposta agli effetti dei cambiamenti climatici. In alcune zone piove così poco che è ormai impossibile coltivare i campi, diventati duri come pietra.
La regione più povera del pianeta Oltre ad essere tra le più vulnerabili, questa area è anche la più povera e meno sviluppata del mondo. Tra i Paesi che la compongono, ben 9 si trovano negli ultimi venti posti tra quelli a minore reddito.
A certificarlo l’Indice per lo sviluppo umano pubblicato poche settimane fa dalle Nazioni Unite, che fa il punto su due anni di pandemia di Covid-19.
Dati alla mano, nell’ultimo Rapporto riferito al biennio 2021-22 in coda alla classifica, al 191° e ultimo posto, troviamo il Sud Sudan, in discesa dalla 185ª posizione del rapporto precedente. I cittadini di questo Paese africano hanno un’aspettativa di vita di soli 55 anni, l’istruzione dura mediamente 5,5 anni e i guadagni annui sono di 768 dollari. Appena sopra abbiamo il Ciad, in discesa dal 187° posto, dove i cittadini hanno un’aspettativa di vita di 52 anni e una scolarizzazione media che non supera i 3 anni. Pur restando al 189° posto (nella classifica del 2020 erano inserite due Nazioni in meno) critica rimane anche la condizione di vita in Niger, dove il reddito medio pro capite nel 2020 è stato di soli 568 dollari e a essere elevata è unicamente la natalità: in media le
donne nigerine danno alla luce 7,2 figli.
Carestia: triste costante! 50 anni fa (1972-73) il Sahel fu colpito da uno dei gravi e ricorrenti eventi di carestia e siccità, che fece registrare oltre 100 mila morti per fame.
La carestia, dovuta a diversi raccolti negativi consecutivi, e la crisi profonda dell’agricoltura, provocarono, oltre alla distruzione quasi integrale del patrimonio zootecnico, ingenti migrazioni verso sud della popolazione saheliana, che innescarono processi di urbanizzazione eccessivi nelle zone d’arrivo. I Paesi coinvolti furono: Senegal, Mauritania, Mali, Alto Volta (oggi Burkina Faso), Niger e Ciad.
Il lago Chad – bacino d’acqua dolce, alimentato da vari fiumi e sorgenti sotterranee – si era ristretto suddividendosi in tre piccoli laghi, portando così allo spostamento delle persone alla ricerca di nuove terre da coltivare, acqua e cibo per il bestiame. La carestia colpì circa un terzo della popolazione del tempo, che cominciò a sopravvivere solo grazie agli aiuti internazionali.
La dimensione del lago ha continuato a ridursi di quasi 20 volte, da allora, con un’estensione attuale di poco più di 1.000 Kmq. La pressione antropica sulle sue rive, su cui si concentrano oltre 20 milioni di abitanti, le diminuite precipitazioni e il prelievo massiccio di acqua per l’irrigazione rischiano di ridurlo a uno sterile acquitrino.
Il processo di desertificazione è aggravato dalla diffusione delle monocolture di cotone, arachidi, canna da zucchero, tabacco, destinate all’esportazione.
Gli interessi economici presenti nell’area
Anche la regione del Sahel subì l’occupazione coloniale delle potenze europee. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad furono occupati dalla Francia; Nigeria, Sudan, Sud Sudan e Eritrea subirono, invece, il dominio della Gran Bretagna.
Gli attuali confini degli Stati del Sahel furono tracciati 60 anni fa, nel periodo della spartizione coloniale dell’Africa: questo ha alimentato, dopo l’indipendenza, rivendicazioni reciproche spesso sfociate in scontri armati. A ciò si è aggiunta l’ingerenza degli Stati ex coloniali, che hanno fatto leva sulle differenze etniche, religiose e culturali di questi popoli per poter mantenere il controllo economico sulle risorse del sottosuolo. Qui vi sono risorse importanti, ancora poco sfruttate: petrolio in Mauritania, Ciad e Sudan; oro, diamanti, uranio in Mali; manganese e fosfati in Burkina Faso; uranio, carbone, ferro e fosfati in Niger.
Regimi dittatoriali si sono succeduti in seguito a frequenti colpi di Stato militari.
Il decennio del terrore jihadista
Storicamente, nei Paesi del Sahel occidentale l’influenza francese ha continuato ad essere forte, tanto che Parigi ha sempre mantenuto una certa presenza militare, in particolare in Mali, Burkina e Ciad.
A seguito della caduta del regime di Gheddafi, nel 2011, il Sahel diviene un terreno fertile per numerosi gruppi jihadisti affiliati ad Al Qaida e all’Isis.
Per questo motivo, già nel 2013 la Francia decide di intervenire, prima in Mali, e poi negli altri Paesi limitrofi, inviando militari per contrastare l’azione dirompente di gruppi terroristi islamici.
Contestualmente, Parigi si fa promotore del G5 Sahel, un quadro istituzionale nato nel 2014 per favorire la cooperazione regionale in materia di sviluppo e – soprattutto – sicurezza fra Mauritania, Mali, Burkina, Niger e Ciad. Dal 2017 il Sahel è, però, divenuto il terreno di scontro di una vera e propria guerra di influenza fra Francia e Russia, culminato all’inizio di quest’anno con il ritiro delle truppe francesi e delle forze speciali europee e l’arrivo dei mercenari russi della Pmc Wagner.
Il Sahel nell’orbita di Mosca
Fra colpi di Stato (in particolare in Mali lo scorso anno in e Burkina Faso a fine settembre), manifestazioni popolari anti-francesi e pro russe e un crescendo di dichiarazioni critiche nei confronti dell’operato francese da parte di vari capi di Stato saheliani, Parigi sembra aver perso il suo ascendente sull’area. Se l’influenza francese arretra, la presenza russa nel Sahel, invece, si espande: gli pseudo-mercenari del Cremlino, cifra distintiva dell’influenza di Mosca, sono ormai presenti in Ciad, Sudan, Mali oltre che nella vicina Libia, nel Centrafrica e in Nigeria.
Di fronte alle difficoltà sul fronte interno e ai costi della “operazione speciale” in Ucraina, sembrano concretizzarsi nel Sahel tre condizioni fondamentali per la politica estera del Cremlino: il bisogno di rifornire militarmente i golpisti (e quindi di garantire l’esportazione alle proprie fabbriche), la promessa di ricchezze minerarie, la provocazione all’Occidente. Agli occhi degli africani,
i russi sono scesi in campo come partner alternativo ai francesi in ritirata, puntando sulla cooperazione nel campo della sicurezza a favore delle élite al potere.
La crisi nello spazio post-sovietico, culminata nella guerra in Ucraina, è infatti la dimostrazione schiacciante di come la Russia, al contrario dell’Unione europea, della Cina e degli Stati Uniti, non abbia strumenti forti di soft power (termine usato in ambito geopolitico per indicare la capacità di uno Stato di esercitare una certa influenza grazie all’uso di strumenti immateriali, quali la cultura, l’intrattenimento e lo sport) con cui spera sperare d’influenzare gli equilibri internazionali.
Per sopperire a questa mancanza, le leve economiche e militari, preferibilmente in casa di Governi fragili e corruttibili, diventano uno strumento  privilegiato per Mosca per coltivare i suoi interessi geostrategici.
Enrico Vendrame