“Non sono più capace di pensarmi da solo come prete. L’esperienza che stiamo vivendo da qualche anno in Diocesi e che ora approfondiamo a livello di Chiesa italiana e universale, mettendo al centro la sinodalità, il camminare insieme, è un percorso fondamentale per la nostra comunità diocesana e per il nostro stesso presbiterio”. E’ la riflessione di un prete della nostra diocesi, una delle numerose e profonde sottolineature emerse lunedì 24 e martedì 25 gennaio in occasione dell’esperienza di ascolto sinodale vissuta dal Consiglio presbiterale. Un ascolto preparato e accompagnato dalla professoressa Giuseppina De Simone, che è docente di Filosofia della religione e Teologia alla Pontificia Università Lateranense e docente di Teologia alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Sezione San Luigi; da alcuni mesi è, inoltre, membro della Commissione Cei per il Cammino Sinodale delle Chiese in Italia. La prof. De Simone ha indicato le coordinate di metodo per la riflessione, che è stata poi vissuta, nella forma della “conversazione spirituale”, in piccoli gruppi e con l’aiuto dei membri dell’équipe sinodale diocesana. La “due giorni” è stata vissuta negli ambienti del Seminario diocesano, che con i suoi spazi ha permesso di vivere in sicurezza tutti i momenti.
Il Vescovo, nella Lectio divina che ha introdotto l’incontro ha invitato a mettersi alla scuola della Parola, in particolare facendo riferimento al testo della Lettera ai Romani, nella quale l’apostolo Paolo “mostra le conseguenze pratiche, vitali e concrete del vivere la fede nel Signore crocifisso e risorto”, come membra diverse dell’unico Corpo di Cristo: è Lui la “forma” delle nostre comunità, che vivono di pluralità già integrate tra loro. “In un tempo di radicali cambiamenti, in cui vogliamo confrontarci tra di noi, ascoltarci per arrivare al discernimento che ci dice come dare dimensione alle varie parti che compongono la nostra Chiesa – ha detto il Vescovo -, sappiamo che se lasceremo parlare lo Spirito in noi, se lo ascolteremo, se continueremo ad avere come misura il Vangelo, ciò che risulterà sarà una forma bella, perché sarà ancora Corpo di Cristo, espressione vivente del Vivente”.
Mons. Tomasi ha messo in luce le caratteristiche e le conseguenze dell’essere “membra gli uni degli altri”, invitando a vivere il confronto come un “donarsi pienamente”, in particolare sui temi della condivisione della responsabilità – alla quale il Consiglio presbiterale è chiamato -, del servizio alle comunità, della vita liturgica, della carità, dell’impegno nella società e nella nostra cura per il creato, della solidarietà verso il mondo, della cura e dell’attenzione per i sentimenti, per ciò che viviamo: “Ciò che condividiamo oggi è parte di noi e della nostra vita, ha a che fare con speranze e con attese, con ferite, con fragilità. Con il bisogno di essere davvero parte gli uni degli altri”.
Un vissuto da riconoscere e interpretare
Il metodo adottato per l’ascolto nei gruppi è stato quello di “riconoscere, interpretare, scegliere”. Riconoscere quanto si è vissuto; interpretare, ossia leggere in profondità l’esperienza in ordine alla quale si è fatto esercizio di ascolto, lasciandone affiorare i motivi di gioia ma anche i nodi e le difficoltà; scegliere alcune prospettive di impegno per il Consiglio presbiterale, “strade che si aprono per renderne più trasparente e incisiva la forma comunionale, in una condivisa assunzione di responsabilità”. Dopo l’ascolto reciproco i singoli gruppi hanno proposto una loro sintesi di ciò che più ha colpito, che poi è stata unificata in un testo finale, le cui risonanze sono state condivise nel secondo giorno dei lavori. Momento prezioso anche per i laici presenti, che hanno preso parte ai gruppi per “facilitare” l’ascolto e raccoglierne i frutti.
Sinodalità, uno stile da assumere
“Il clima positivo sperimentato nei piccoli gruppi, la conoscenza tra di noi, il rispetto e la stima reciproca ci hanno permesso di vivere un’esperienza di autentico ascolto e di autentica e bella sinodalità. Abbiamo scoperto che l’ascolto è prima di tutto dono dello Spirito, e che lo Spirito suscita domande più che risposte – sottolinea il testo -. Fare esperienza di questo metodo può aiutarci ad assumere nel tempo, sempre più e sempre meglio una prospettiva sinodale”.
E ancora: “È stato prezioso riscoprire che ognuno di noi ha una sua bellezza nel vivere il ministero di presbitero, nella sua diversità; nonostante le fatiche, le disillusioni della vita che tutti noi affrontiamo, quando parliamo della nostra Chiesa siamo ancora capaci di entusiasmarci, con la passione e la speranza di poter cambiare. E’ stato un momento prezioso di verifica del cammino fatto, per condividere il nostro sguardo sulla Chiesa, nella consapevolezza che nei preti della Diocesi c’è un modo di sentire comune, un desiderio e una speranza per il futuro”.
Luogo di confronto aperto
Importante lo spazio dato all’esperienza che ciascuno fa del Consiglio Presbiterale, che viene avvertito come “un’esperienza di fraternità tra presbiteri, un luogo di relazione importante e di sostegno reciproco tra preti. È un luogo di corresponsabilità, incoraggiata dal Vescovo, uno spazio in cui si capisce che la cura della diocesi è affidata al Vescovo con il suo presbiterio. E ancora, è un’esperienza di comunione nella diversità delle sensibilità e dei doni, segno e frutto della comunione nella nostra Chiesa diocesana, consapevoli che la comunione cresce se si accetta di mettersi in gioco.
Il Consiglio presbiterale – è stato riconosciuto da tutti – è un luogo in cui si respira la passione per la Chiesa, nonostante le fatiche. E la partecipazione a questo organismo aiuta ad allargare lo sguardo oltre il proprio servizio, a sentirsi parte di una Chiesa diocesana; indica uno stile che i preti sono chiamati ad assumere anche nelle Collaborazioni Pastorali e in altri luoghi in cui esercitano il loro ministero, è un luogo di confronto aperto, in cui si sperimenta la parresia, pur in presenza di posizioni diverse. Dal Consiglio presbiterale in questi anni sono venuti stimoli importanti – è stato sottolineato – ad esempio, ad avere maggiore attenzione alla vita concreta dei preti, in particolare a quelli in difficoltà (l’istituzione di un vicario per il clero è un segno di quest’attenzione); è stato importante aver messo a tema l’identità del presbitero; significativo anche lo stimolo a fare rete nel territorio, soprattutto con le amministrazioni locali, in particolare a servizio dei poveri. Molto positivamente è stato valutato anche il cammino sinodale diocesano vissuto negli scorsi anni, che ha abituato a uno stile nuovo e ha fatto crescere la stima reciproca fra preti e con i laici, come anche il confronto e l’interazione avviata fra Consiglio Presbiterale e Consiglio Pastorale Diocesano.
Tra le fatiche sono state messe in luce un certo disincanto, specie in ordine al cammino del Sinodo, poiché alcune esperienze passate non sono state verificate o non hanno portato a scelte concrete, così come una certa distanza dei temi trattati rispetto alla vita pastorale concreta.
Nuovi passi da compiere, insieme
Partendo dalle esperienze positive narrate di Consiglio presbiterale, sono emersi passi ulteriori da compiere per una migliore espressione dell’identità di questo organismo, perché possa diventare sempre più luogo di fraternità, segno di comunione, attuazione della corresponsabilità. Tra questi passi, la proposta di un maggiore coinvolgimento di tutto il presbiterio, l’impegno a far crescere “un ascolto coraggioso dello Spirito Santo attraverso l’ascolto dell’altro, come pure un serio ascolto della storia, della vita sociale, e pure delle ferite personali e comunitarie”.
Certo è un cammino che richiede impegno, fatica, che “ha bisogno di cura – ha ricordato il Vescovo -. Ma è un percorso possibile, nell’amore del Signore”.