Archivi della categoria: I Missionari ci scrivono

CI SCRIVE dall’Ecuador Daniela Andrisano, raccontando l’esperienza della Fundacion Arcangel in aiuto alle mamme sole e ai loro figli

La Fundación Arcangel sostiene mamme sole con i loro bambini e adolescenti che vengono aiutati nei compiti, con il pranzo da lunedì a venerdì; sono accompagnati, quando serve, nell’aspetto psicologico e si cerca di contribuire alla crescita integrale di questi ragazzi perché possano vivere ed essere un futuro migliore per l’Ecuador. Diversi dei ragazzi sono figli di mamme capofamiglia, tre di loro le ho visitate … Continua a leggere CI SCRIVE dall’Ecuador Daniela Andrisano, raccontando l’esperienza della Fundacion Arcangel in aiuto alle mamme sole e ai loro figli »

CI SCRIVE dal Ciad Don Riccardo De Biasi, raccontando i primi mesi della sua esperienza missionaria

Qui si ripara anche la plastica! Ormai da sei mesi sono giunto in terra d’Africa, più precisamente in Ciad. Una terra ricca di sorprese, di contraddizioni più o meno visibili, di un popolo che cerca di vivere e spesso di sopravvivere. In queste poche righe, non voglio descrivere ciò che sto facendo a livello di “attività pastorali”. Vorrei condividere, piuttosto, qualche impressione che mi sto … Continua a leggere CI SCRIVE dal Ciad Don Riccardo De Biasi, raccontando i primi mesi della sua esperienza missionaria »

CI SCRIVE: Monica Colla dal Centrafrica, con gli auguri di Buon Natale e tante notizie e belle foto della sua missione

Cari Amici, ecco che ci avviciniamo alle feste natalizie e alla fine del primo trimetre, qui a scuola c’é un grande fermento, finite le prove di verifica, gli insegnati sono impegnati per le correzioni e per riempire le pagelle che verranno consegnate venerdi 23 dicembre, ultimo giorno di scuola prima di cominiciare le vacanze, quest’anno molto corte visto che il 2 gennaio saremo già in … Continua a leggere CI SCRIVE: Monica Colla dal Centrafrica, con gli auguri di Buon Natale e tante notizie e belle foto della sua missione »

La testimonianza delle nostre fidei donum Debora Niero e Germana Gallina: in Paraguay responsabili di due parrocchie

Quando 7 anni fa siamo partite dall’Italia per la missione in Paraguay, pensavamo di incontrare una Chiesa povera, che per questo necessitava di forze provenienti da una diocesi più “ricca”. Per certi aspetti, in quanto a risorse formative, economiche e a disponibilità di clero e di religiosi, questo è vero. All’inizio ci meravigliava la poca partecipazione all’Eucaristia o le riunioni con piccoli numeri, o la … Continua a leggere La testimonianza delle nostre fidei donum Debora Niero e Germana Gallina: in Paraguay responsabili di due parrocchie »

CI SCRIVE don Silvano Perissinotto, dal Ciad, con la sua decima “Lettre aux amis”

Carissime amiche, carissimi amici, come state?
Come vanno le cose in Italia?
Mentre si stanno avvicinando con velocità i giorni del mio rientro definitivo in Italia (sabato 5 novembre), mi sembra importante rendere grazie a Dio per questi quattro nuovi anni passati in Tchad, nel cuore dell’Africa sub-sahariana. E’ un grazie che vuole raccogliere volti, storie, persone e vita di qui ma anche dell’Italia, perché in un modo o nell’altro, siamo tutti interconnessi.
Il primo grazie a Dio è per la diocesi di Treviso che nella persona del nostro vescovo Michele e del consiglio presbiterale, ha deciso di continuare la collaborazione con la chiesa-sorella di Pala nei prossimi anni. E’ una scelta importante che interpella tutti anche quando siamo tentati di dire “ma c’è bisogno di preti anche qui da noi in Italia, perché inviarli in giro per il mondo?” L’esperienza della missio ad gentes può infatti aiutarci a capire che, sì, forse abbiamo bisogno anche di preti ma che soprattutto abbiamo bisogno di conversione, di convertirci al Vangelo di Gesù per testimoniare al mondo l’amore di Dio per gli uomini. Stare qui in Tchad, o in Paraguay, o in Brasile, forse potrebbe aiutarci a riscoprire il grande dono del battesimo per l’annuncio del Vangelo, là dove il Signore ci ha posti a vivere, qualsiasi sia la nostra vocazione o il nostro stato di vita. Inoltre il fatto concreto di toccare con mano la povertà e l’indigenza ci è d’aiuto per costruire una fraternità reale e non solo “romantica”, fatta solo di parole o di carità stantia. La mia gratitudine va a quanti in questi anni in vari modi hanno sostenuto la missione di Treviso in Tchad e continuano a farlo. Un grazie particolare e riconoscente va a don Mauro Fedato, don Mauro Montagner e don Riccardo De Biasi che rimangono nelle parrocchie di Fianga e di Séré per continuare la missione a servizio di questa chiesa locale. Il Signore li ricolmi dei suoi doni.
Il secondo grazie, speculare al primo, va al popolo tchadiano e alle persone incontrate qui durante i sedici anni e mezzo di vita missionaria. Ritorno in Italia consapevole che lo Spirito santo soffia davvero dove vuole e che sa suscitare nel cuore e nella vita delle persone scelte quotidiane di fede, di dedizione, di coraggio e di vera e gratuita carità. Vi chiedo di pregare per questo popolo e per questa terra perché la situazione che il Tchad sta vivendo non è per nulla facile. Come ben sapete nell’aprile del 2021 venne assassinato il presidente della repubblica e da quel momento è andata al potere una giunta militare con a capo uno dei suoi figli.
L’obiettivo di tale giunta è stato quello di accompagnare il paese lungo un periodo di transizione di 18 mesi che avrebbe dovuto finire in questo mese di ottobre. Un dialogo nazionale fra tutte le realtà che compongono il Tchad e le votazioni trasparenti erano fra gli obiettivi maggiori da perseguire in questo tempo di transizione. Il dialogo inclusivo nazionale è stato fatto e si è concluso verso la metà del mese di ottobre. Ma non ci saranno le elezioni promesse 18 mesi fa. La stessa assemblea del dialogo nazionale ha invitato la giunta militare a prolungare il periodo di transizione per altri due anni, mantenendo alla sua testa il figlio dell’ex presidente. Tale decisione non è piaciuta ad alcuni partiti di opposizione che avevano già deciso di non partecipare al suddetto dialogo inclusivo nazionale perché giudicato troppo di parte e con decisioni già prese a tavolino. Giovedì scorso – 20 ottobre – allo scadere dei 18 mesi previsti per andare al voto questi partiti di opposizione hanno indetto una manifestazione popolare per protestare contro questo stato di cose. Purtroppo però ci sono stati morti e feriti in almeno cinque grandi città del paese.
Governo e opposizione si lanciano reciprocamente le accuse di aver approfittato della situazione per far cadere il Tchad nel caos. Il governo accusa l’opposizione di aver organizzato un vero e Immagini degli scontri a N’Djamena di giovedì 20 ottobre scorso proprio colpo di stato e ha tacciato i leader di questi partiti di terrorismo, mentre l’opposizione accusa lo Stato di aver sparato in modo arbitrario verso la folla anche inviando militari vestiti in civile. Secondo il governo i morti sono stati 50 (tra i quali 15 militari) e 300 feriti. Secondo l’opposizione invece i morti sarebbero almeno 81 (qualcuno parla di 200) con 300/400 feriti. In questo momento nelle città dove sono state fatte le manifestazioni (N’Djamena, Moundou, Sarh, Doba e Koumra) vige il coprifuoco e vi è in atto una vera e propria “pulizia” nei confronti degli oppositori.
Il 20 ottobre don Riccardo ed io eravamo in capitale, a N’Djamena, perché il 21 abbiamo accolto due amici arrivati dall’Italia, e abbiamo sentito durante tutto il giorno il triste e drammatico rumore degli spari in lontananza. La cosa sorprendente è che il 21 siamo andati all’aeroporto senza nessun controllo da parte delle forze militari (gli scontri con morti e feriti sono avvenuti in un’altra parte della città) e il 22 ottobre siamo ritornati a Fianga senza nessun problema. La chiesa cattolica, invitata a far parte dell’assemblea del dialogo nazionale inclusivo, ad un certo momento – nella persona dei vescovi – ha deciso di farsi da parte giudicando anch’essa tale assemblea priva di trasparenza, con decisioni prese a priori e in assenza di un vero e proprio dialogo, sempre però disposta a cooperare e operando per la giustizia e la pace.
Qualche settimana fa sempre con don Riccardo, ci stavamo recando in città per fare delle spese. A poca distanza dalla missione abbiamo visto qualcuno per terra con un gruppo di persone attorno. Dico a don Riccardo di fermarsi, qualcuno avrebbe infatti avuto bisogno di essere portato in ospedale. Quel qualcuno era una donna che stava andando al mercato di Fianga provenendo da un piccolo villaggio – Folmaye – distante all’incirca otto chilometri. Era incinta, al nono mese.
Mentre mi avvicino al gruppo di persone (tutte donne), improvvisamente parte il vagito acuto e forte di un bambino.
Era la piccola appena venuta al mondo dal grembo di questa donna seduta per terra. Dopo aver capito che la piccola stava bene, ho chiesto se era necessario portarle all’ospedale. Il piccolo gruppo di donne anziane e giovani che si era formato, dopo breve consultazione ci ha detto “non è necessario, ce la sbrighiamo tra di noi”! Con i tessuti colorati con i quali si vestono (i famosi e coloratissimi ‘pagne’* africani) le donne hanno creato come un separé attorno alla donna (sempre seduta a terra) per creare un minimo di intimità, sono andate a cercare una lametta da rasoio, l’hanno purificata con un accendino, tagliato il cordone ombelicale e seppellito lì accanto la placenta.
Con don Riccardo siamo andati al mercato. Di ritorno, dopo circa trenta minuti, sullo stesso posto dove la donna ha dato alla luce una nuova vita, non c’era più nessuno. La neo mamma è ritornata verso casa (8 chilometri da rifare) probabilmente da sola o accompagnata da una moto.
Anche questa è l’Africa, il miracolo della vita nonostante e malgrado tutto.

A partire dal 5 novembre in poi ci vediamo in Italia.
Un abbraccio e a presto. don Silvano
Fianga, 30 ottobre 2022

* qui sotto un esempio fra i tantissimi e coloratissimi tessuti “pagne” utilizzati dalle donne africane, e non solo, per i
loro vestiti


CI SCRIVE P. Massimo Bolgan, da Salzano, missionario del PIME in Thailandia

Oggi giornata missionaria mondiale, il papa ci suggerisce questa frase di Gesù,  rivolta ai suoi discepoli appena prima di salire al Padre: “di me sarete testimoni”. È l’invio dei primi missionari, chiamati a testimoniare in tutto il mondo, con la loro vita, Gesù stesso. Non solo le sue parole, non solo quello che ha fatto, ma la sua presenza.
In questi giorni in Tailandia le scuole sono chiuse per le vacanze e molti dei miei bambini sono tornati dai loro parenti nelle baraccopoli. È una bella occasione anche per me per andarli a visitare e vederli nel loro ambiente, nelle loro case, con i loro familiari. Sono andato proprio ieri nella baraccopoli più grande, nella zona del porto di Bangkok, e mi ha riempito il cuore incontrare i miei bambini nella loro realtà, ai miei occhi povera, sporca, pericolosa, ma per loro luogo di famiglia dove giocare liberamente con gli amici.
Ho incontrato Noei e Nat, di sei e cinque anni, dalla nonna e poco dopo è arrivato il loro papà felicissimo di poterli abbracciare dopo tanto tempo. È uscito da poco di prigione per motivi di droga e non so per quanto tempo riuscirà e rimanerne fuori. La nonna non riesce a mantenere i nipotini e mi ha chiesto di prendere con me anche gli altri due fratellini più grandi.
In quel momento mi sentivo un pesce fuor d’acqua, uno straniero perso tra i vicoli di una baraccopoli di fronte a una nonna con quattro nipoti da sfamare, ma allo stesso tempo mi sentivo nel posto giusto perché non ero lì per me, per realizzare qualche mio progetto sociale, ma per rendere presente Lui proprio a quella povera famiglia in quella zona abbandonata di Bangkok.

Camminiamo assieme carissimi amici, sosteniamoci con la preghiera, affinché Gesù possa giungere in tutti i luoghi grazie al nostro essere missionari.

p.Massimo


LA TESTIMONIANZA di don Edy Savietto, nostro fidei donum inviato nella missione di Roraima, in Brasile

Sono don Edy Savietto e negli ultimi anni sono stato felicemente parroco ad Olmi e Cavriè; a gennaio 2023 partirò per il Brasile come Fidei Donum della diocesi di Treviso.

Quando il 5 luglio scorso il vescovo Michele mi ha chiamato per chiedermi gentilmente la disponibilità di partire per la missione in Brasile, ho avuto la profonda sensazione che qualcosa fosse andato al proprio posto.

Mio papà Antonio (Tony) prima di sposarsi con mia mamma Maria è stato per anni in missione con una associazione francese che curava progetti di sviluppo sociale nella Repubblica Centroafricana. A fronte di questo, assieme ai miei fratelli Oscar e Cristian, abbiamo sempre respirato a casa quest’aria che soffiava mondo, accoglienza, apertura, colori diversi, frati cappuccini, spazi più grandi, voglia di partire, scoprire e servire… Non so come dire, ma quando il vescovo Michele ha pronunciato la parola “Missione” è come se tutto questo avesse ripreso consistenza, sia ritornato in vita, che tutto aveva un senso, una direzione. Per questo la prima reazione è stata di immensa felicità perché non nego che, fin dall’ordinazione sacerdotale, il fatto di partire per la missione è stato sempre un desiderio profondo che ho manifestato più di una volta, ma che per varie ragioni non aveva avuto continuità, tanto che ad un certo punto l’avevo messo via senza tanti patemi. Invece ora mi trovo, a pochi mesi dalla partenza per il Brasile, consapevole di un dono enorme affidatomi dalla Chiesa. Sto per andare in una chiesa (Roraima) di cui non sapevo nemmeno l’esistenza; andrò a condividere la vita con un popolo che conoscevo soprattutto per il nome di alcuni calciatori famosi; sarò chiamato ad inserirmi in un contesto diverso e  carico di sfide e di tensioni, ma, come lascia intendere papa Francesco,  “specchio del nostro mondo” per le dinamiche che si vivono (il fenomeno migratorio specie proveniente dal Venezuela, incontro con i popoli nativi e il pluralismo culturale, le complesse questioni legate alla cura dell’ambiente e della foresta amazzonica con l’urgenza di una ecologia integrale, una evangelizzazione inculturata e il cammino di una chiesa con diversi volti e ministeri…).

Parto con tanta passione, ma soprattutto con la consapevolezza di mettermi alla scuola di chi incontrerò, nell’ascolto di questa cultura millenaria che nelle tribù degli Yanomani ancora parla di connessioni profonde con il creato, con la madre terra. Parto perché inviato con la Parola e la potenza della croce del Risorto. Parto sereno perché sarò assieme a Giorgio e Cristina e con don Mattia, il prete di Padova con cui vivrò, che è già lì da un anno e mi ha molto rassicurato. Sono felice perché avrò la possibilità di collaborare e di vivere con preti e laici di altre diocesi (Padova e Vicenza) nella consapevolezza di poter vivere uno stile di missione che dice “MAI PIU’ DA SOLI”. Per questo ringrazio di cuore la mia classe di ordinazione per le tante esperienze di fraternità vissute in questi anni che hanno allenato profondamente l’attitudine alla collaborazione e alla fraternità al di là delle circostanze.

La seconda reazione alla proposta del vescovo è stata invece opposta, ho subito pensato che avrei dovuto lasciare le parrocchie in cui da anni ho la fortuna enorme di vivere. Tanti volti, storie, esperienze, progetti, fatiche, gioie, di tutto e di più. Non so come ringraziare Dio per quanto ho ricevuto e mi è stato permesso di dare. A Olmi e Cavriè ho cominciato a comprendere cosa voglia dire paternità.  Non è facile lasciare per partire, ma ho sempre detto SI’ alle chiamate che attraverso il vescovo, la Chiesa mi ha proposto e questo mi ha permesso di incontrare meraviglia su meraviglia nella consapevolezza che tutto è Dono.

Parto da questo punto di vista triste per dover lasciare Olmi Cavriè, ma consapevole di aver incontrato due comunità pazzesche, cariche di carismi e di voglia di essere comunità, con i propri difetti e mancanze ma dove abbiamo tentato di vivere il Vangelo dell’Accoglienza e del Servizio. Parto proprio perché sono stato a Cavriè e Olmi e tutto quanto abbiamo condiviso assaporava già di pane e missione in loco.

Sono don Edy Savietto, un privilegiato, e spero di non sprecare questo tesoro di poter partire per la missione e di poterlo condividere con tutto me stesso. Parto per il Brasile ma non partirò da solo, andrò con tutti e tutto ciò che in questi anni di ministero mi è entrato nella carne, nel cuore, nella testa e nell’animo, per questo parto forte ed entusiasta.

(Don Edy)


CI SCRIVE Monica Colla, originaria di Maser, volontaria in Centrafrica con le Suore del Bambin Gesù

Sono Monica, ho 44 anni, sono nata e cresciuta a Maser e ho sempre avuto nel cuore la passione per la missione poi maturata con gli incontri alla Rocca di Cornuda tenuti dalle Suore dell’immacolata, e alcuni viaggi in missione prevalentemente in Africa. È stata nel lontano 2003 la mia prima partenza per la missione di due anni e poi altri sette in Camerun; infine nel 2011 in Repubblica Centrafricana, dove ancora oggi mi trovo. Qui collaboro con le Suore della Provvidenza del Bambin Gesù nel campo educativo, nella formazione dei maestri e gestione delle scuole. In quest’ultimo anno abbiamo anche aperto corsi di alfabetizzazione per adulti che non hanno avuto la possibilità di andare a scuola a causa dei molti anni di conflitto che ha attraversato il Paese.

L’AMORE RICEVUTO È DA RIDONARE E TESTIMONIARE.
Essere in missione per me è contraccambiare quell’amore che ho ricevuto nell’ambito familiare e nella mia comunità cristiana in Italia, dove ho vissuto i valori della solidarietà e dell’impegno per gli altri nel nome di Gesù che per primo ci ha dato l’esempio. Anch’io nel mio piccolo vorrei portare amore e attenzione a quelle persone che magari non hanno avuto la possibilità di avere quello che ho avuto io, solo perché nate nella parte povera del mondo.

La mia attività in Repubblica Centrafricana è iniziata nel 2011 e assieme ad un’equipe di insegnanti abbiamo aperto una scuola di formazione per maestri di scuola materna e primaria, voluta dalla conferenza Episcopale Centrafricana. Nel 2013 durante il colpo di stato ho collaborando con le suore della Provvidenza per accogliere all’interno degli spazi della missione, centinaia e centinaia di profughi interni, che scappavano dai quartieri più insicuri, per ben 2 anni abbiamo gestito uno dei 67 campi profughi presenti nella capitale, che ospitava 1.500 persone. Abbiamo anche organizzato delle scuole di fortuna nei campi profughi, con l’aiuto degli studenti della scuola dei maestri, che sono durate sino a quando sono stati smantellati i campi e le famiglie sono ritornate nei quartieri e hanno ricominciato a ricostruire le loro case distrutte. Queste attività con i bambini erano finalizzate a far uscire il vissuto di guerra e di violenza che i bambini continuavano a vedere durante il conflitto. Ritornata la normalità, siamo ripartiti con ancora più entusiasmo e abbiamo accettato la sfida di riportare a una vita normale i tanti bambini che avevano vissuto questa ennesima guerra e nel 2018 ci siamo concentrati a ricostruire scuole o a riaprile affinché in futuro non si ripeta quello che è accaduto durante il conflitto, cioè che molti giovani senza un’educazione entrino nelle bande armate, perché troppo manipolabili.

LA BUONA NOTIZIA RIGENERA VITA IN NOI e NELLE PERSONE CHE CI STANNO ACCANTO
L’incontro con le suore della Provvidenza, la loro sequela di Gesù e il loro stile missionario mi hanno aiutato a realizzare il mio progetto di vita attraverso il servizio all’altro. Tutto questo, giorno dopo giorno, mi ha cambiata, insegnandomi ad accettare la realtà che ho di fronte e ad attendere il cambiamento anche se spesso in questo Paese è lento. Inoltre il popolo centrafricano mi ha fatto riscoprire l’essenzialità nel mio stile di vita e la semplicità e l’autenticità nei rapporti umani.
Attraverso molti incontri ho anche imparato a conoscere la Chiesa locale, ad esempio collaborando e facendo vita comunitaria con le Suore della Provvidenza, che in questo momento, su richiesta dei vescovi locali, stanno ripensando al loro modo di essere in missione e al modo più proficuo per essere vicine alla popolazione che ogni giorno hanno accanto e che hanno imparato ad amare e aiutare. Perché la missione è anche questo, essere presenza attiva, in una realtà in continuo cambiamento, con esigenze e bisogni sempre nuovi che ti spinge ad accettare e metterti in gioco per sfide sempre diverse.

È proprio qui che mi sento chiamata a portare il mio contributo, attraverso il mio lavoro di insegnante, sempre con la speranza di vedere piccoli frutti di cambiamento, in persone, giovani e meno giovani che a volte non hanno più voglia di sperare, perché ogni volta che ricominciano vedono i loro sforzi annientati dalle guerre ricorrenti.

Rimanere, per crescere con questo popolo che ho imparato ad amare, con il quale abbiamo attraversato momenti belli e momenti meno belli, con il quale ho potuto vedere i piccoli passi verso una vita più libera, radicata nella fede nel Signore. Questo mi dà gioia al cuore e mi motiva sempre di più a stare con loro. Attraverso il mio lavoro educativo vorrei tanto insegnare ai giovani a spendere la propria vita per il Paese dove sono nati e renderli protagonisti del cambiamento, utilizzando anche le conoscenze che acquisiscono nelle nostre scuole, perché il futuro dell’Africa passa anche e soprattutto attraverso l’impegno dei propri giovani, che non saranno più influenzati e prigionieri delle idee che vengono dall’esterno, ma saranno parte attiva di una società aperta al cambiamento e pronti a investirsi per il bene del loro Paese.

ESPERIENZE DI VITA NUOVA
Molte sono state in questi anni le situazioni in cui ho potuto vedere chi mi sta accanto risollevarsi e riprendere vita nuova. Ad esempio penso a quei giovani che dopo il biennio della scuola di formazione per insegnanti riescono a trovare un lavoro che dà loro dignità e la capacità di avere un pensiero critico verso la realtà, in modo da capire che non è solo attraverso la violenza che si può risolvere un problema.

Ho potuto poi vedere donne che dopo aver seguito la formazione per capire il sistema del microcredito e dopo aver costituito delle cooperative di produzione e riflettuto sull’attività da svolgere e aver ricevuto il finanziamento per partire si sono impegnate in lavori come la produzione dell’olio e saponi di Karité, la coltivazione di arachidi, la trasformazione di manioca. Un po’ alla volta il loro lavoro le ha rese parte attiva della vita sociale nei loro villaggi e le ha aiutate a sostenere economicamente la loro famiglia e a mandare i figli a scuola. Proprio attraverso l’apertura delle scuole anche nei piccoli villaggi ho potuto vedere bambine in grado di avere una cultura, invece senza la scuola spesso non avrebbero altro futuro che sposarsi troppo giovani e diventare madri prima del previsto. Inoltre con molte sensibilizzazioni nelle famiglie del villaggio abbiamo potuto vedere bambini che hanno iniziato a frequentare la scuola invece che rimanere solo in casa per provvedere alle faccende domestiche e di sussistenza della famiglia.

Alcuni genitori e dei giovani adulti hanno visto partire la scuola dei bambini e hanno chiesto di poter anche loro imparare a leggere e scrivere, con grande gioia abbiamo accettato la loro richiesta ed è partita la scuola di alfabetizzazione per adulti. Ora alcune di queste persone sono diventate lettori nelle loro comunità cristiane e persone di riferimento per i capi villaggi dove vivono. C’è poi anche un sogno che portiamo nel cuore: è un progetto che con le suore della Provvidenza ci siamo prefissate di realizzare nei prossimi anni, dopo aver visto che le persone che vivono nei villaggi intorno a dove siamo devono andare molto lontano per trovare il primo dispensario farmaceutico, dove magari spesso non trovano né il personale né le medicine che necessitano loro. Costruire un piccolo ospedale con maternità permetterebbe a molti di avere accesso a cure mediche e di avere un centro sanitario con persone specializzate.

Di recente è nata una comunità vocazionale per ragazzi; la sfida e le necessità sono grandi. Ma c’è l’impegno dei giovani e il prossimo anno uno inizierà la propedeutica e altri due l’anno di filosofia, altri entreranno nel noviziato. La vostra vicinanza e aiuto sono importanti nel sostenere la loro formazione e vocazione di seguire Gesù e di servire il loro popolo. Con le suore inoltre accogliamo persone desiderose di fare esperienza di vita in missione, di conoscere questa realtà e di aiutare per le svariate necessità; sarebbe bello iniziare con la Diocesi di Treviso un’esperienza in questo senso.

(Monica Colla)