Chiamati alla pienezza di vita: il Messaggio del Vescovo per la Giornata delle vocazioni

Ogni momento importante nella vita di una persona è vissuto come risposta a un appello, a una voce che chiama.

Perché hai fatto quella scelta? Pensi davvero di aver prima calcolato tutte le possibili alternative e di aver deciso quale sia alla fine la più conveniente, forse anche la più promettente?

O invece pensi che sia stato solamente un caso che tu ti trovassi proprio là e in quel momento, quando hai scoperto quella possibilità che hai poi realizzato? E ancora, perché hai deciso di vivere proprio quella, e non hai aspettato invece che il tempo ti portasse altre alternative che, forse, avrebbero potuto essere maggiormente allettanti?

Se qualcosa ti piace, se qualcosa ha attirato la tua attenzione vuol dire che questa realtà ti sta chiamando.

Se pensi di dover fare qualcosa che magari non ti piace, ma senti di doverla fare: ecco – appunto – stai «sentendo» di doverla fare. Stai ascoltando una voce, magari non fatta di suoni, ma che ciononostante parla, e continua a farsi sentire finché non le hai dato una risposta. È la coscienza, questa, che parla, che si appella alla tua libertà e responsabilità, che ti chiama. E in ogni piccola e apparentemente insignificante chiamata (a scegliere, a fare, a mettere in qualche modo in moto la volontà) c’è sempre un appello più profondo e più pressante, più sfumato, più antico, più potente.

Molte chiamate si fanno sentire oggi in forma di nostalgia di un tempo «prima della pandemia», o nell’attesa di un tempo in cui ci si potrà rivedere con più naturalezza, in cui legami interrotti potranno riannodarsi e si potrà parlare di nuovo la lingua tanto desiderata dell’immediatezza. Al fondo di questi appelli così impellenti c’è però una richiesta, la chiamata a una vita più autentica, che mostri più chiaramente la sua sensatezza di quanto non sembri poter fare questa esistenza reclusa, limitata, frammentata. È la chiamata, in fondo, alla pienezza di vita, alla felicità.

Ma è davvero lecito parlare di felicità in questo tempo? È giusto parlarne in tempi precari, ancora tutto sommato di emergenza, sicuramente incerti e indecisi?

Sì, lo è. Anche in questo tempo. Forse soprattutto in questo tempo, in cui la mancanza di tante caratteristiche di ciò che consideriamo una «vita normale» ci sfida – e cioè ci interpella, ci chiama – a non fermarci in superficie. Sappiamo, infatti, che anche se riuscissimo a tornare a un livello precedente, «come se nulla fosse stato», probabilmente dopo un primo momento di sollievo la soluzione non ci basterebbe, e saremmo ancora inquieti. Proprio in questo tempo di fatica sentiamo – ecco, ancora una volta una chiamata, una vocazione – che vale la pena di impegnarci solamente per i grandi sogni, per le relazioni vere, per le realtà sostanziose che restano. Sentiamo chiaramente che non possiamo buttare tempo ed energia per cose che sono magari buone, ma che non danno colore e peso alla vita. È la vita intera che viene interpellata. È il significato della vita, la sua sostanza, ciò che di essa dura in eterno e vince il tempo, il dolore e la morte. Ne va davvero della vita.

Ciò che conta è che questo nostro tempo non vada sprecato in sterili attese, ma venga piuttosto impiegato nell’ascolto della più profonda delle voci che ci stanno chiamando. Tra tutte la più delicata, la più autentica, la più amica. L’unica, in fondo, necessaria. Quella che ci scalda il cuore quando la sentiamo rivolta personalmente a noi mentre sa leggere la vita che ci è data insieme alle promesse delle Scritture sante. Quella che continua a dirci che è possibile un’umanità piena, fatta di relazioni autentiche e profonde, di amicizia vera, di cura reciproca. Quella che ci assicura che nulla di ciò che ci fa respirare e sorridere andrà perduto, e che tutto invece ha un senso vero, buono e bello. Quella che ci assicura che è possibile, desiderabile e sensato donare la propria vita a Dio e ai fratelli.

Non è necessario un collegamento on-line per sentire questa voce, né qualche particolare accorgimento tecnico. Essa non è riservata a qualcuno in particolare e non richiede esercizi strani o impegnativi. È una voce che supera anche grandi distanze fisiche e che non viene imbrigliata e soffocata dalle mascherine.

Basta non fermarsi alla superficie e non accontentarsi di frasi fatte, di slogan alla moda. Basta essere attenti. E basta fare attenzione ai particolari:

“Ricordiamo come Gesù invitava i suoi discepoli a fare attenzione ai particolari.
Il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa.
Il piccolo particolare che mancava una pecora.
Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine.
Il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda.
Il piccolo particolare di chiedere ai discepoli di vedere quanti pani avevano.
Il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba.

La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre” (Papa Francesco, Gaudete et Exsultate, 144-145).

E tante risposte alla chiamata daranno corpo alla speranza.

+Michele, Vescovo