Qualcuno di voi mi aveva chiesto come poter dare una mano alla missione del Tchad. Chi i desidera saperne di più, me lo faccia sapere.
Fianga, 3 marzo 2021
Carissimi, carissime, come state?
Innanzitutto grazie per le “raccomandazioni” ricevute da molti di voi come richiamo ad osservare la “prevenzione tecnica” contro la malaria. Qualcosa ho cominciato a fare. Comunque noi tre stiamo bene. Con l’arrivo della stagione secca sembra che anche la malaria si sia un po’ allontanata.
Alcune precisazioni riguardo alla “lettre aux amis n° 4”. La popolazione del comune di Fianga e dei dintorni ha raggiunto i 100.000 abitanti (non i 40.000 come avevo scritto); mentre l’epatite che sta diventando un grande problema in Africa non è la “A” bensì la “B” e in termini meno gravi la “C”.
E’ da un bel po’ che non vi scrivo. Con l’anno nuovo le attività pastorali sono riprese normalmente. La la catechesi e la visita alle varie comunità di base, stanno prendendo sempre di più il nostro tempo.
Qui il Covid-19 sembra essersi bloccato anche se le misure di distanziazione e il coprifuoco ci sono ancora. Purtroppo quest’ultimo (il coprifuoco) rimane in vigore non solo a causa della pandemia, ma anche a motivo di scontri avvenuti tra allevatori e agricoltori in questi ultimi mesi, con morti e feriti. Qui nella nostra zona, a circa una sessantina di chilometri da Fianga, sono stati dichiarati ufficialmente 23 morti, anche se qualcuno dice che sono stati molti di più. Le autorità fanno fatica a gestire la violenza che cresce un po’ alla volta e poi esplode quando la gente del luogo (agricoltori) si sente tradita da chi dovrebbe assicurare la giustizia (le autorità dello Stato), e scatena la rabbia sugli stranieri di turno (allevatori). E’ un equilibrio instabile e complesso da gestire, soprattutto se la giustizia viene sopraffatta a causa della corruzione e degli interessi di parte che rischiano di arroventare ancora di più il clima che caratterizza in certi momenti i rapporti fra le diverse realtà umane e sociali che compongono il Tchad.
Vorrei riprendere questo dialogo con voi a partire dalla domanda fatta da Franca del gruppo missionario di Spresiano: “parlaci un po’ della tua gente”.
Ieri ero a Bongor, un’importante cittadina della diocesi di Pala. Lunedì 1 marzo ho infatti parlato della catechesi e del catecumenato a dodici preti, suore e laici arrivati in questi ultimi mesi qui in Tchad, per aiutarli a capire un po’ meglio dove sono arrivati.
Per tornare a Fianga ho preso un mini-bus locale che in due ore circa mi ha riportato a casa. In questo piccolo bus (da 30 posti circa, del tipo “turista fai da te?” di una famosa pubblicità di tanti anni fa) partito da N’Djamena alle prime luci dell’alba ho incontrato persone che conosco e altre le ho conosciute durante il viaggio. Questo piccolo mezzo di trasporto mi è sembrato sintetizzare in uno spazio relativamente piccolo ciò che il Tchad è: un crogiuolo di popoli, lingue, etnie, culture e religioni. C’era il mio amico Silas, di lingua kera, pastore protestante della chiesa luterana, una signora tupuri cattolica originaria di Fianga con sua sorella protestante, un’altra signora, foulbé mussulmana, come mussulmani erano l’autista e l’aiuto autista e poi un militare, un giovane studente che rientrava a casa dopo aver finito l’università accompagnato dalla moglie. In poco tempo dopo le presentazioni, i dialoghi sono iniziati, si sono intrecciati, fra lingua tupuri, kera, foulbé, arabo tchadiano, il tutto condito con un po’ di francese e con quest’unico “bianco” (io) che se la cavava abbastanza bene con in tupuri. La signora accanto a me ha tirato fuori dalla sua borsa un sacchetto con della carne e cipolla grigliati e due pezzi di pane. Il tempo di aprire il pacchetto e subito la domanda rivolta a me: “mon père, est-ce que vous voulez goûter?” (Padre, vuole gustare?). Non mi sono tirato indietro. L’ospitalità africana.
Tra i vari discorsi, abbiamo parlato anche degli ultimi avvenimenti di N’Djamena. Domenica scorsa infatti (28 febbraio) la casa di un oppositore all’attuale presidente della Repubblica e candidato alle prossime elezioni è stata attaccata da un carro blindato (con la scusa di voler arrestare l’oppositore) e c’è stato uno scontro a fuoco. Si parla di almeno 5 morti, fra i quali la madre dell’oppositore e altri della famiglia più due fra i militari, senza contare i feriti. La situazione è evidentemente tesa perché stiamo andando verso le elezioni presidenziali previste l’11 di aprile. La cosa che fa riflettere è che colui che è stato attaccato (anche se da parte del Governo viene detto che i primi spari sono partiti dalle persone in casa), è della stessa famiglia ed etnia del presidente. Insomma una faida famigliare in vista delle elezioni, per poter arrivare al potere e spartirsi la torta. A causa di tutto ciò, un altro tradizionale oppositore candidato alle elezioni ha ritirato la sua candidatura denunziando il “pericoloso processo di militarizzazione” di queste elezioni. Insomma, il clima politico e sociale non è proprio dei migliori. Da qui la conclusione della mia compagna di viaggio: “On ne peut pas tuer des personnes comme des chèvres!” (Non è possibile uccidere delle persone come fossero delle capre!).
Già, come è successo la settimana scorsa in RDC quando sono stati uccisi l’ambasciatore italiano e il carabiniere, sua guardia del corpo. Come avviene in tante altre parti dell’Africa e del mondo nella quasi grande omertà, silenzio e ignoranza.
Penso che il mese di gennaio che viene consacrato alla “memoria della Shoah” non deve fermarsi solo al ricordo di quello che è successo durante la dittatura nazi-fascista. Il giorno della memoria deve aprire i nostri occhi, le nostre orecchie e la nostra coscienza alla violenza contro gli uomini e le donne che anche oggi si fa, da parte di uomini contro altri uomini perché non siamo in grado di accettare e gestire le differenze di pensiero o per motivi di tipo politico ed economico. La regione dei grandi laghi dove sono stati uccisi i nostri connazionali è un territorio ricchissimo di materie prime che attirano la “convoitise” (desiderio malsano) del resto del mondo. E mentre viaggio continuo a pensare.
Lunedì mentre ero con i nuovi arrivati nella nostra diocesi, sono stato colpito da due testimonianze di vita. Quella di padre Oscar che viene dal Burundi, e quella di Fred, un amico tchadiano che lavora nella Caritas diocesana. Oscar ha perso il papà durante il genocidio del Burundi (anni ’90 del secolo scorso) e con la mamma e i suoi fratelli è scappato in Tanzania vivendo per ben tredici anni in un campo profughi allestito dalle Nazioni Unite. Oscar mi ha raccontato del tempo passato nel campo, fra momenti di sconforto e di speranza, riuscendo un po’ alla volta a ricostruire un minimo di vita dignitosa.
Fred ha perso il papà qui in Tchad a causa di un ex presidente che vive attualmente in regime di sorvegliato speciale in Senegal ma che rifiuta il processo che gli è stato fatto. Intanto lui è là mentre tantissime famiglie tchadiane piangono i morti fatti da questo uomo di stato e dal suo governo, morti di cui non si sa più nulla perché da dopo il loro arresto si sono perse le tracce. Fred ricorda ancora il giorno in cui suo papà è stato portato via. I militari hanno circondano la casa e lo hanno arrestato senza dargli il tempo di vestirsi. Sua moglie, la mamma di Fred, ha avuto solo il tempo di porgergli una maglietta. Da quel giorno, non hanno più saputo nulla del papà, di dove lo abbiano portato, di come sia morto, dove sia stato sepolto. Fred sta facendo una specie di pellegrinaggio nei luoghi del terrore (carceri e cimiteri con fosse comuni) nella speranza che qualcuno si ricordi di qualcosa di suo papà. Anche se dopo cinque anni dall’arresto la famiglia ha celebrato un funerale, le domande che portano nel loro cuore, per il momento, sono rimaste senza risposta.
Con tutti questi pensieri in testa, alle 15.30, il mini-bus “turista fai da te” è arrivato a Fianga, siamo a casa.
Qualcuno di voi mi aveva chiesto come poter dare una mano alla missione del Tchad. Chi i desidera saperne di più, me lo faccia sapere.
Un abbraccio. don Silvano
A Bongor, in attesa della partenza sul mini-bus « turista fai da te »