CI SCRIVE dal Ciad Don Riccardo De Biasi, raccontando i primi mesi della sua esperienza missionaria

Qui si ripara anche la plastica!
Ormai da sei mesi sono giunto in terra d’Africa, più precisamente in Ciad.
Una terra ricca di sorprese, di contraddizioni più o meno visibili, di un popolo che cerca di vivere e spesso di sopravvivere. In queste poche righe, non voglio descrivere ciò che sto facendo a livello di “attività pastorali”. Vorrei condividere, piuttosto, qualche impressione che mi sto portando dentro in questi mesi.
Parto da una cosa vista nei primi giorni che ero qui, molto semplice, se volete, e forse banale, ma che mi ha molto colpito. Io e don
Silvano (Perissinotto fino a un mese fa qui con noi missionario), ci stavamo aggirando per il mercato di Fianga e in una delle tante
“bancarelle” si possono trovare i riparatori di plastica. Vedere questi uomini e donne riparare o meglio “ricucire” secchi, ciabatte,
mi ha scaraventato in un altro mondo.
Dunque vedere questo lavoro mi ha fatto dire non sono più a casa mia. Si potrebbe aprire certamente la parentesi ecologica, ma
non è questo il momento. “On se débrouille” è una frase che qui ritorna spesso: ci arrangiamo, ce la caviamo come possiamo, potremmo tradurre così. Tutto questo mi sta costringendo a entrare in punta di piedi in questo mondo, combattendo contro la supponenza di essere migliore, di sapere già tutto solo perché ho gli strumenti. La grande sfida per me, in questo momento, è passare dal “voler aiutare questa povera gente” a vivere con questi uomini e donne.
Passare, anche come Chiesa, dall’idea di “sostenere una Chiesa povera che ha bisogno di aiuto”, cosa certamente vera, ma mi rendo conto che non deve essere questo prima di tutto a provocarmi, provocarci, quanto, piuttosto, il desiderio di condividere la fede in maniere diverse, talvolta in forme diverse.
Mi sto rendendo conto che una delle fatiche più grandi è proprio mettere da parte il mio metro di misura, le mie idee, e anche le mie interpretazioni dei fatti. Detto ciò, questa è una terra tutta da scoprire a partire dalla lingua, ritmi diversi, modi di fare diversi che personalmente mi incuriosiscono e mi spingono ad ascoltare, a stare attento a ciò che succede, a portare rispetto per tutta
questa diversità; non sempre ci riesco, ma ci sto provando.
Sento che il Signore mi sta provocando soprattutto a rimanere in ascolto, ad aprire gli occhi per ammirare ciò che mi circonda, a
partire dal creato, passando per la bella accoglienza che la gente qui ti riserva quando passi a salutarli a casa, o semplicemente ti fermi per due chiacchiere camminando lungo la strada.
Mi sto rendendo conto che essere in “missione” non è “poesia” e non lo dico con tristezza, ma con realismo. Le difficoltà, le incomprensioni, la malattia, sono tutte cose presenti e soprattutto situazioni da affrontare, non ti puoi mettere in disparte ma soprattutto ti rendi conto che non sei tu “il risolutore dei problemi”. Forse, per me, annunciare il Vangelo in questo momento vuol dire essere lì, presente, anche nell’impotenza.
Nella lettera apostolica “Desiderio desideravi” papa Francesco ci rivolge l’invito a riscoprire con stupore e meraviglia la liturgia. Stupore e meraviglia due parole che cerco e voglio portarmi dentro ogni giorno verso ogni incontro. E’ questa la grande sfida
forse per non cadere nell’appiattimento, nel “so già tutto”.
Chiedo al Signore che mi aiuti in questa “missione”, per condividere al meglio con questo popolo la vita, l’esperienza, il Vangelo.
don Riccardo De Biasi