> don Mauro Montagner, nostro fidei donum in Ciad

La messa per un defunto e la prossimità ai parenti.
Questo sabato pomeriggio sono stato a Gudùm, un piccolo villaggio in mezzo ai campi nella parrocchia di Séré. Mi era stato chiesto di celebrare una messa per un catecumeno di circa 40 anni, morto una settimana.
Il responsabile della comunità cristiana là vicino mi aveva informato che il suo corpo, dopo un lungo viaggio, sarebbe arrivato giovedì sera per essere seppellito venerdì mattina “nel giardino di casa”, com’è d’abitudine.
Fin da subito, ho avvertito il responsabile che non sarei stato presente al venerdì per la sepoltura a causa di un altro impegno e ci siamo accordati che lui stesso avrebbe presieduto la preghiera in quel momento e che avremmo celebrato la messa successivamente.
Vista la vastità delle parrocchie e il ruolo più marcato dei laici, non sorprende che il prete non possa essere presente in certi momenti anche delicati, ma è comunque opportuno accompagnarli.
E’ così che nel pomeriggio del sabato, mi sono recato a Gudùm per visitare la famiglia e raccogliere qualche informazione. C’è da dire che gli scambi telefonici sono spesso insoddisfacenti a causa della linea disturbata. Ho preso dunque la moto e, al luogo del mercato del villaggio, ho chiesto indicazioni per la casa del defunto.
Tutto il villaggio conosce quando muore qualcuno, anche perché i vicini e coloro che vanno a fare le condoglianze gridano il loro dolore: “Yayoooo… yayoooo!”. Siamo arrivati alla casa dove alcuni uomini avevano scavato una buca di due metri e stavano ultimando la tomba in cemento. Si trattava dunque di qualche benestante, dato che normalmente si depone la persona nella nuda terra, anche se le cose stanno cambiando. I suoi “fratelli”, dove il termine si applica anche a quelli che sono cugini, mi hanno subito dato l’impressione di essere veri tupuri, con un dolore contenuto, asciutto, senza grosse manifestazioni emotive.
Il problema che si pone in questi casi è quello dell’accoglienza di chi viene a fare le condoglianze; possono fermarsi anche giorni, bisogna farsene carico, offrire buona accoglienza e soprattutto qualcosa da bere. I familiari erano dunque occupati in questo, “inghiottendo il loro dolore” per far fronte alle diverse incombenze. Confesso che fatico ancora a decifrare la grammatica del dolore e della gioia di questa cultura. Da una parte vi trovo una ricchezza che mi aiuta a relativizzare e a ri-comprendere il mio modo di stare davanti ad aspetti fondamentali come la malattia, la morte, la nascita, l’idea di coppia… dall’altra devo spesso lottare per non leggere il loro comportamento con la mia grammatica.
Così raccolgo le mie informazioni; quest’uomo è morto dopo neanche ventiquattro ore di malattia, ma non si sa di che cosa. Anche questo è un punto di differenza con la mia cultura. Io vorrei sapere le cause, per poter comprendere e curare, per prevenire ed evitare che la cosa si ripeta, o anche solo per darmi una ragione. Per tanta parte della gente qui questo sembra non essere così importante. Che differenza fa? La sua tomba era stata scavata vicino a quella di suo padre, a quella di una delle sette mogli di suo padre, di uno dei suoi non so quanti “fratelli” e della moglie di quest’ultimo. Riesco a parlare un po’ con un suo fratello (stesso padre ma di madre differente), aiutato nella lingua da chi mi ha accompagnato in moto. Ho incontrato pure sua madre e due sue sorelle. Mi ha colpito la nuda franchezza di una di queste che, con la madre presente, afferma che, se fosse morta quest’ultima, che è anziana, avrebbero danzato e fatto festa, ma la perdita del fratello la gettava nel dolore.
Comprendo che anche una delle sorelle è battezzata, anche se poi non aveva più partecipato alla comunità; così abbiamo fatto una breve preghiera e ci siamo salutati.
Al ritornarci il sabato successivo, per la messa, ho salutato la vedova e benedetto i tre figli che sono rimasti senza papà, ma che quasi certamente troveranno chi si prenderà cura di loro tra i vari zii e familiari.
Ho incontrato vari capannelli di persone, radunate secondo le diverse provenienze e conoscenze: chi è venuto per fare le condoglianze a uno zio del defunto, chi a una matrigna, chi a un’altra, chi alla madre, a una sorella e così via. Parecchi dei villaggi vicini e varie persone arrivate dalla capitale erano già ripartite dopo la sepoltura.
Purtroppo anche il numero dei cristiani oggi era esiguo e anche il responsabile, necessario per tradurre dal francese al tupuri, non si è  visto! Con i pochi membri della comunità cristiana, dato anche il problema della lingua e il fatto che quasi tutti i parenti del defunto seguivano la religione tradizionale, non abbiamo esitato per rinviare ulteriormente la messa a un altro momento. La madre era seduta per terra con alcune altre anziane, una figlia e altre donne.
Con i quattro cristiani intervenuti mi sono seduto anch’io accanto a lei e le ho chiesto se potevamo pregare. Ne è stata felice. E’ stato intonato un canto tupuri appropriato alla situazione. Alcune donne, non credenti, ci hanno aiutati con il loro classico urlo di gioia. Terminata la preghiera, la madre ci ha ringraziato più volte; mi ha stretto a sé. Tante cose che sono state dette non le ho capite o si sono perse nella traduzione, ma è certo che lei ed altri hanno ringraziato Dio anche a causa della nostra prossimità e della nostra preghiera.
Ho ripreso poi la via verso casa e, lungo la strada, ho visto scavare un’altra buca vicino a un’abitazione. Questa volta è per un’anziana. Domani passando di lì, sentirò canti di festa!         (don Mauro Montagner)