Bandiere a mezz’asta durante i 14 giorni di lutto per la morte del presidente della Repubblica.
Vi scrivo questa lettera mentre le ultime settimane qui in Tchad sono state faticose a causa della presenza di un gruppo di ribelli provenienti dalla Libia, della morte del presidente della Repubblica (ucciso l’11 aprile durante scontri militari contro i ribelli nel nord-ovest del paese), dell’instaurazione di una giunta militare e di un governo di transizione che dovrebbe durare 18 mesi, il tempo – dicono i militari – di preparare nuove elezioni trasparenti. Probabilmente tra combattimenti armati al nord-ovest e altri scontri durante alcune manifestazioni contro la giunta militare (soprattutto a N’Djamena e in altre città), i morti sono stati alcune centinaia (350-400), anche se i dati non sono precisi. Quanto segue è un articolo scritto da me e pubblicato su Nigrizia.
Come la gente sta vivendo questo momento di passaggio in Tchad dopo la morte del Presidente della Repubblica Idriss Deby Itno? Non è semplice rispondere a questa domanda. Il Tchad è un paese dove ufficialmente sono recensite 132 lingue, ognuna diversa dall’altra. Lingue, popoli, tradizioni e culture che si incrociano in questo Paese sub-sahariano grande almeno quattro volte l’Italia. Le reazioni sono diverse a seconda dell’appartenenza linguistica, politica, sociale e religiosa dei cittadini. Mentre scrivo sto ascoltando Rfi (Radio France Internationale) che sta dedicando tutta la mattinata a quanto è successo qui in questi giorni. Alcuni abitanti di N’Djamena intervistati da un giornalista dell’emittente, parlano di sentimenti tristezza e di inquietudine. Qui a Fianga, a circa 400 km dalla capitale, la gente esprime spesse volte un semplice “paix à son âme” all’indirizzo del defunto presidente. I problemi sono altri perché l’inquietudine della quale parlavano gli intervistati qui si scontra – come d’altronde in tutto il Paese – nell’ordinaria precarietà nella quale vive la maggioranza dei ciadiani, di una nazione che di trova ad essere fra le ultime rispetto all’indice di sviluppo umano (186 posto in classifica) e ai primi posti per quanto riguarda la corruzione. Questi dati per quanto sempre imprecisi e relativi ci aiutano a capire che questa nuova transizione dopo 30 anni di presenza al potere della famiglia Deby trova una popolazione quotidianamente preoccupata ad affrontare quella che appunto chiamo ‘ordinaria precarietà’. Uno dei segni di tale declino dello stato e del senso dello stato sono le tantissime cattedrali nel deserto che sono spuntate qua e là nel territorio all’indomani dell’estrazione del petrolio con ospedali e scuole rimasti costruiti solo a metà e comunque non finiti perché subito dopo questo primo slancio, a causa del calo del prezzo del petrolio, tutto è rimasto lì, come le cattedrali nel deserto in Italia. Tale precarietà si riscontra negli ambiti più importanti della vita di uno stato democratico: scuola, salute pubblica, lavoro e infrastrutture.
Scuola: è dal 2016 che in Tchad la scuola funziona male a causa di scioperi a singhiozzo, mancanza di salari adeguati, disuguaglianze educative fra città e campagna, inadeguatezza nella formazione di maestri e professori, mancanza di mezzi (internet a scuola qui è solo un sogno). Cinque anni che stanno segnando in maniera negativa la formazione delle giovani generazioni e dunque il futuro concreto di questo Paese. Probabilmente almeno il 60% delle classi scolastiche viene ricostruito ogni anno dai genitori con delle “tiges” (canne) di miglio. I maestri pagati dai genitori talvolta ricevono salari così bassi (10 € al mese) che preferiscono passare il loro tempo al mercato o nei bar. I maestri pagati regolarmente dallo stato ricevono salari molto più alti (fino a 300 € al mese) e questo divario fa si che ci siano grosse differenze a livello educativo. Ciò è dovuto in parte anche alla mancanza di una visione e di una programmazione dell’attività scolastica sul piano nazionale. Ognuno può infatti inventarsi di aprire una scuola senza pensare però che ci vogliono mezzi finanziari e personale formato per farla funzionare;
Salute pubblica: chi va al dispensario o all’ospedale deve pagare una “tassa” per poter essere curato. Questo in sé non è il problema. Il vero problema è che alla tassa normale (il ticket) si applicano poi altre tasse non richieste (corruzione) per cui andare in ospedale diventa un vero e proprio salasso finanziario per una grande parte della gente. Parallelamente alla salute pubblica si trovano poi tutta una serie di personaggi che
Bandiere a mezz’asta durante i 14 giorni di lutto per la morte del presidente della Repubblica
aprono il loro ambulatorio personale (non autorizzato dallo stato ma tollerato) dove la gente va a farsi curare perché i costi sembrano essere più bassi rispetto a quelli applicati nei dispensari e negli ospedali. Spesse volte però non si sa da dove arrivino i medicinali (a parte quelli rubati nelle farmacie degli ospedali e poi rivenduti sul mercato) e quale sia la loro reale efficacia nel combattere le malattie. Va ribadito che dietro a tali medicinali di scarsa qualità c’è un sottomercato fiorente che fa intascare milioni di dollari a chi li produce. È un problema presente in tutta l’Africa sub-sahariana e in altri paesi poveri del mondo. In alcune nazioni lo stato tenta di fermare tale cancrena, in altri si fa poco o nulla. Come qui in Tchad. Il risultato negativo di tale situazione è che alcune malattie invece di essere debellate diventano più resistenti ai medicinali, e qui in Africa ciò è ufficialmente riconosciuto per quanto riguarda la malaria, la tubercolosi, l’epatite B e C, e la lotta contro l’AIDS.
Lavoro: allevatori e agricoltori. Questi lavori occupano la vita della maggior parte della gente. C’è poi una classe medio-bassa fatta di amministratori, commercianti, militari per arrivare poi ad una piccola parte della popolazione detentrice del potere politico ed economico. La scuola forma soprattutto secondo un’educazione di tipo occidentale (che ha la sua importanza), ma sono carenti le scuole professionali e tecniche. In questi ultimi anni sono fiorite molte scuole per infermieri. Il problema è che queste persone una volta formate dove andranno a lavorare? Ecco il moltiplicarsi di infermieri che fanno della loro casa un centro di salute con le conseguenze di cui parlavo sopra. La stessa agricoltura permette di avere ciò che serve per vivere (sussistenza) ma sono poche le esperienze per aiutare e formare contadini capaci di andare oltre alla mera economia di sussistenza. Va poi detto che molti giovani dopo la scuola primaria o secondaria cercano lavoro altrove, soprattutto in altri paesi africani. Pochi parlano di questa emigrazione inter-africana, che rappresenta invece il flusso migratorio più importante dell’intero continente.
Infrastrutture: strade, luce e acquedotti, tutto è da fare. Spesso a partire da zero. In capitale, N’Djamena, le strade del centro sono asfaltate, c’è l’acqua e la corrente elettrica grazie a dei gruppi elettrogeni che funzionano a gasolio. Così come in qualche altra grande città del Tchad (Moundou, Sarh e Abeché). Il resto del paese conosce invece una grande penuria di infrastrutture e la maggior parte della popolazione si reca ancora al pozzo o al fiume per trovare dell’acqua. La corrente elettrica poi è prevalentemente di origine privata (gruppo elettrogeno o pannelli solari) per un uso prevalentemente domestico e familiare. In qualche cittadina (come qui a Fianga) c’è un vecchio sistema idrico che funziona ancora. Le strade invece sono un disastro. A parte qualche strada asfaltata nelle grandi città, in Tchad esistono due assi stradali che dalla capitale vanno uno verso sud e l’altro verso est.
Sono troppo negativo? È chiaro che la mia visione del Tchad in questi primissimi giorni dopo la morte del Presidente della Repubblica è limitata e parziale. Non vanno dimenticate tutte quelle persone abituate ed allenate alla precarietà che sono un esempio di dedizione e di onestà nei vari settori della vita, in famiglia, nella comunità, nelle scuole, negli ospedali e nei servizi dello stato. Perché un popolo fatto di popoli è molto di più di un presidente della repubblica e dei rappresentanti dello stato o dei potenti di turno. Un popolo fatto di popoli è un dono ed una ricchezza da scoprire ogni giorno. Una sfida ed un appello anche per la chiesa impegnata nell’evangelizzazione e nella promozione umana.
Stamani, prima di concludere questo articolo, sono uscito in città a fare delle spese e ad ogni persona incontrata (una quindicina in tutto) ho chiesto: “cosa pensi della morte del Maresciallo Idriss Deby Itno?” e la maggior parte delle risposte è stata “pace alla sua anima”, “è la strada di tutti”, “Dio è grande”. Già, Dio è grande in questo paese dove l’inquietudine per il futuro incontra l’ordinaria precarietà di un popolo di popoli troppo abituato ad essere povero, bisognoso di segni di speranza.
Fianga, 21 aprile e 8 maggio 2021
don Silvano