Come nuovo vescovo di Orano, sto scoprendo la mia diocesi e lo sto facendo essenzialmente conoscendo le persone. E in tutti i miei incontri, molto vari e diversificati per provenienza sociale, nazionalità, cultura, religione… alla fine mi dico con stupore: guarda che persona magnifica!
A volte mi viene pure spontaneo dirlo all’interessato: “Sei una persona stupenda”. E qui mi stupisco, perché il più delle volte invece di ricevere un “grazie” in risposta, la persona dice di non riconoscersi nella mia espressione.
Chi ha torto? Io ,che vedo la bellezza nell’incontro, o la persona che non si percepisce bella?
Cerco di rispondere a questa domanda lasciando parlare le tre caratteristiche usate attualmente quando si parla della sinodalità: partecipazione, comunione e missione.
“La sinodalità è partecipazione”. La partecipazione valorizza la persona, l’individuo, perché gli dà la capacità di esprimersi, di affermare la propria unicità. Per fare questo tuttavia dobbiamo prima di tutto attraversare la dimensione della solitudine come luogo di sofferenza e come luogo di gioia.
Dobbiamo imparare ad essere amici della nostra solitudine, anche se ci fa soffrire, perché è lì che incominciamo ad incontrare Dio. Spesso, la sofferenza più grande la incontriamo nelle relazioni con le persone che amiamo di più o con le quali spendiamo di più: la famiglia, la comunità, i colleghi di lavoro… Allo stesso tempo, sono queste relazioni che ci fanno vivere e ci danno significato, ed è lì che sperimentiamo la gioia di essere un dono per qualcuno. Questa dimensione della gioia, legata alla dimensione del dare, ci fa sperimentare la presenza di Dio.
“La sinodalità è comunione”. La comunione si realizza nella comunità, perché è nella comunità che la mia solitudine incontra quella dell’altro. Il Dio che è in me incontra il Dio che è nell’altro. La comunità diventa così il luogo della festa e del perdono, e le due insieme formano la comunione.
Perché dobbiamo sempre perdonare? Perché i nostri fratelli e sorelle non sono Dio! I nostri fratelli e sorelle non saranno mai in grado di darci tutto l’amore di cui abbiamo bisogno. Il nostro desiderio d’amore è sempre più grande dell’amore che gli altri possono darci.
La comunità diventa un luogo di festa quando riconosco le ricchezze degli altri e gli altri ricevono la mia. È nella comunità vissuta come comunione che scopro che l’altro è una “bella persona”. È nella comunità che divento veramente una persona.
Cresciamo quando l’altro riceve il dono che io sono e quando io ricevo il dono che l’altro è. La comunità è il luogo in cui ci scambiamo il dono che siamo. Siamo sia donatori che riceventi.
“La sinodalità è avere una missione comune”. La nostra missione comune è: avere a cuore gli altri. Avere gli altri nel cuore richiede compassione e capacità di portare frutto.
Viviamo in un mondo basato sulla competizione e non sulla compassione. La nostra gioia è invece vivere di compassione.
E qui siamo chiamati anche a portare frutto. Per portare frutto, dobbiamo passare attraverso la solitudine e la comunità. Il successo per noi è il risultato della vulnerabilità, della debolezza e dal lavorare insieme. Ogni persona, nella sua unicità, è un dono insostituibile.
Alla fine, questo mio cammino di conoscenza della diocesi di Orano rafforza la mia convinzione che ogni uomo o donna è sempre una splendida persona”.
+ Davide Carraro
Dall’Algeria, diocesi di Orano, Mons. Davide Carraro, PIME: “Sinodalità, scoperta della bellezza di ogni persona”





