In un tempo incerto e di grandi mutamenti a tutti i livelli, all’interno come siamo di un turbinoso cambiamento d’epoca in cui vengono ad incrinarsi o a mancare del tutto punti di riferimento che davamo per acquisiti, nell’epoca in cui anche all’interno della Chiesa tutto sembra cambiare sempre più velocemente, c’è un’esperienza che si ripresenta sempre di nuovo e sempre nuova, e che ci riempie ancora di stupore: affascinati da Gesù Cristo e colmi di amore per l’umanità, dei giovani rispondono a una chiamata e si donano in modo indiviso all’amore di Dio e al servizio dei fratelli e delle sorelle.
Sabato 7 maggio avrò, infatti, la gioia di presiedere l’ordinazione di un diacono e di un nuovo presbitero per la Chiesa di Cristo che è in Treviso.
Non c’è nulla di scontato o di ovvio in questo avvenimento. C’è, infatti, ancora qualcosa nella vita della nostra Chiesa che convince questi giovani a donare la propria vita, a offrire i propri sogni, i propri desideri e le proprie aspettative, a mettere a disposizione del dispiegarsi nella storia della volontà di Dio quanto di più prezioso possiedono in libertà, sicurezze di vita, potenziale di generatività.
In un periodo storico segnato dalle incertezze dovute alla pandemia, dai drammi collettivi causati dalla guerra che continua ancora nella nostra Europa, ci sono dei giovani – e giovani di oggi, in tutto e per tutto – che trovano buoni motivi per dire al Signore, nella Chiesa, il loro «eccomi», inizio di un’avventura lunga quanto la vita.
Dove sono quelle tracce della presenza forte e discreta di Dio nelle pieghe dell’esistenza della nostra terra e della nostra epoca, così chiare e nette da venire seguite da loro come indicazione di un cammino che porta alla realizzazione della vita? Tutto sembra indicare in direzione contraria; tutto sembra dire che non sia più possibile oggi (non siamo più nel medioevo, giusto?) donarsi completamente, soltanto per la Parola – chiara e mite, ma debole e disarmata – che chiede affidamento, fede e un cammino spesso molto impegnativo, ma sostenuto dall’annuncio che persino la morte è sconfitta?
Non sembra, piuttosto, che siano l’arbitrio del più forte, il cinismo della ragion di stato, o la certezza che ogni fine giustifica i suoi mezzi a dominare la scena di questo mondo?
Dove risplende oggi la lampada della Parola di Dio come fiamma chiara che orienta, in mezzo all’inquinamento del creato – persino del buio della notte, illuminata artificialmente sempre e comunque, per esorcizzare la paura della solitudine – e in mezzo all’inquinamento delle coscienze e dell’anima, incrostazioni che vorrebbero togliere respiro e ragionevolezza anche alla speranza?
Eppure, quelle tracce ci sono, e i nostri due fratelli, Amos e Carlo, le stanno seguendo. Anche per noi, a nostro favore.
Eppure, loro ci dicono – presentandosi davanti all’altare per un servizio che non aumenterà la produttività di nulla – che è l’amore l’unica realtà che davvero rimane in eterno, e la riconciliazione l’unica forma veramente politica di relazione tra gli umani.
Eppure, la luce della Parola illumina e riscalda, guida, orienta e dà gioia, e diventa alimento, bevanda, balsamo e consolazione per chiunque continui ostinatamente a chiedere, a supplicare per la vita un senso e un significato che durino e sostengano. Seguendo la luce, questi due fratelli accettano di far luce a tanti compagni di strada, insieme a loro essi sono pronti a prendersi cura del tratto di strada a loro consegnato, e a mostrare che anche al giorno d’oggi è ancora possibile essere pellegrini, e non solamente raminghi e vagabondi.
Il nostro tempo ha bisogno di testimoni. Di persone che mostrino lo scandalo apparentemente paradossale della loro fede nel bene, a tutti i costi e in ogni situazione, camminando senza timore a ridosso di ogni abisso dell’esistenza, senza paura se alcuni tratti di strada – anche lunghi – risulteranno essere contro corrente.
Se guardiamo a questi due fratelli, forse riusciamo a vedere anche noi stessi.
Riscopriremo le ragioni che ancora ci portano a cercare il vero, il giusto e il bello, e a sperare contro ogni evidenza contraria. Daremo nuovo splendore alle relazioni tra noi, e scopriremo quanto ci sia necessaria una comunità fatta di fragilità che si accolgono senza giudicare, si sostengono a vicenda e coltivano la vicinanza e la cura.
Prestando ascolto al loro «eccomi» risuonerà come in una rinnovata aurora una voce dolce, tenera e forte a proclamare la Parola che genera vita nuova, per noi e per tutti, oggi.
Se sappiamo ancora stupirci del miracolo semplice e concreto della vita di fede, preghiamo per questi due fratelli: trovino tra noi la comunione che ne accetta il dono che essi sono, e possano essere – in modi sempre antichi e sempre nuovi – segno semplice ed eloquente della presenza viva nella storia del Cristo crocifisso e risorto, il buon pastore.
+ Michele, Vescovo