Un viaggio che “lascia molte e profonde emozioni e ricordi, un incontro bello con una terra molto povera e con una Chiesa giovane”. Sono le prime riflessioni, appena tornato dal Ciad, del vescovo di Treviso, mons. Michele Tomasi, di ritorno dal suo primo viaggio in una missione diocesana, quella nella diocesi di Pala.
“L’incontro con questa Chiesa in missione – sottolinea – mi fa capire che siamo davvero Chiesa missionaria e che per poter davvero essere missionari nelle nostre terre e nelle nostre vite quotidiane, nelle situazioni in cui ci troviamo anche qui a Treviso, dobbiamo avere questo sguardo aperto a tutta la Chiesa e a tutto il mondo”.
Il Vescovo è partito per il Paese africano subsahariano lo scorso 10 gennaio e ha fatto ritorno a Treviso nella mattinata di lunedì 20, con quasi 48 ore di ritardo rispetto al previsto: a causa dell’harmattan, il vento secco e polveroso proveniente dal Sahara, frequente in questa stagione, che ha impedito all’aereo di decollare dalla capitale, N’Djamena, nei tempi previsti.
La missione affidata ai sacerdoti diocesani comprende le parrocchie di Fianga e Sere. La comunità dei nostri “fidei donum” è attualmente composta da don Stefano Bressan, don Silvano Perissinotto e don Mauro Fedato. A loro si aggiunge don Mauro Montagner che, dopo aver ricevuto il mandato missionario lo scorso ottobre, ha viaggiato insieme al Vescovo e al direttore del Centro missionario diocesano, don Gianfranco Pegoraro, per restare nella missione.
Racconta il Vescovo: “La vita delle comunità, a Fianga e Sere, è molto diversa, essenziale, rispetto al nostro ritmo di vita e alle nostre abitudini, anche uno spostamento di poche decine di chilometri può diventare facilmente un’avventura. Le persone vivono a livello di sussistenza. Eppure, lo spirito che si respira, a contatto con queste comunità è quello di chi sta incontrando la freschezza e la novità del Vangelo, dell’incontro con il Signore”.
Mons. Tomasi ha incontrato, tra gli altri, il vescovo di Pala, mons. Jean-Claude Bouchard, e l’arcivescovo di N’Djamena, mons. Edmond Dijtangar. Con quest’ultimo, poche ore prima di rientrare in Italia, ha partecipato, insieme agli altri sacerdoti trevigiani, all’apertura della Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani. Ha anche incontrato il grande Imam del distretto di Fianga. “Gli incontri avuti con i vescovi, le autorità religiose e civili – prosegue il Vescovo – mi hanno fatto capire che quello che abbiamo di più profondo, di più vero, di più importante, è portare a tutti l’annuncio del Vangelo, della novità della vita in Cristo. Fa parte di questa novità la capacità che si sviluppa nelle persone di prendersi cura gli uni degli altri e di costruire relazioni più giuste e fraterne, una vita che anche dal punto di vista materiale possa soddisfare le esigenze di dignità e di bellezza da parte delle persone”.
“Gli incontri avuti con i vescovi, le autorità religiose e civili – prosegue il Vescovo – mi hanno fatto capire che quello che abbiamo di più profondo, di più vero, di più importante, è portare a tutti l’annuncio del Vangelo, della novità della vita in Cristo. Fa parte di questa novità la capacità che si sviluppa nelle persone di prendersi cura gli uni degli altri e di costruire relazioni più giuste e fraterne, una vita che anche dal punto di vista materiale possa soddisfare le esigenze di dignità e di bellezza da parte delle persone”.
Mons. Tomasi è stato molto colpito dalle liturgie, afferma di aver provato “stupore e gioia di fronte alla bellezza delle liturgie che occupano tempo; coinvolgono le persone tanto da far fare loro ore di cammino per celebrare insieme; sono piene di gioia, di danze, di canti; vedono l’assemblea come un corpo unico, in comunione, come il corpo di Cristo nella storia. Questa bellezza, freschezza, gioia della liturgia tenta in tutti i modi di farsi vita, condivisione. Abbiamo visto portare i doni, come il miglio, le cose della produzione quotidiana per la festa del raccolto, perché la comunità possa vivere e possa essere unita e solidale. Mi ha colpito, appunto, il tentativo di trasformare questa liturgia gioiosa in vita, in condivisione, in comunità, in uno spazio in cui le persone possano avere anche prospettive di bene, sviluppo e felicità”.
Una Chiesa missionaria, insomma è aperta a tutto il mondo. “Dobbiamo avere mani, cuori e intelligenze che partono anche per annunciare il Vangelo con la Parola, con la liturgia e con la vita, e poi possano ritornare da noi e farci comprendere quanto sia bello il messagio del Vangelo letto attraverso le storie, i volti, delle persone semplici ma gioiose che incontriamo in tutte le parti del mondo”, il pensiero di mons. Tomasi, che conclude: “Davvero è stata un’esperienza missionaria che rende più nuova e più giovane anche la nostra testimonianza di vita”. (da “La Vita del popolo” del 26 gennaio 2020)