Innamorato di Cristo. Il funerale di Don Edy Savietto il 30 dicembre, in una cattedrale gremita

Toccante l’omelia del Vescovo Michele, che ha tratteggiato la figura del sacerdote che lascia una traccia profonda nella Chiesa diocesana e nella comunità di Pacaraima, in Brasile, malgrado la sua breve presenza missionaria.

“Un innamorato di Cristo”. Così si era definito don Edy. E così ha iniziato la sua omelia il vescovo di Treviso, mons. Michele Tomasi, sabato 30 dicembre, in cattedrale, durante le esequie di don Edy Savietto, prete “fidei donum” deceduto improvvisamente a Pacaraima, in Brasile, il 20 dicembre. Un tratto che tutti hanno riconosciuto in don Edy, a Treviso come a Roraima, dov’era arrivato da meno di un anno.

“Era difficile non rimanere affascinati dal suo modo di fare, che era manifestazione del suo modo di essere. Era naturalmente capace di stare con le persone, un grande dono ricevuto dalla sua famiglia. Ma a partire dal suo incontro con Gesù, queste doti sono diventate, a loro volta, dono gratuito e appassionato rivolto a tutti”, ha detto il Vescovo. Insieme a mons. Tomasi hanno concelebrato i vescovi di Padova, Claudio Cipolla, di Vicenza, Giuliano Brugnotto, di Piacenza, Adriano Cevolotto; mons. Alberto Bottari De Castello, già nunzio in Ungheria; mons. Lucio Nicoletto, vicario generale della diocesi di Roraima, che ha letto un messaggio del vescovo Evaristo Pascoal Spengler (che ha celebrato il funerale di don Edy a Boa Vista il 21 dicembre); insieme a loro, don Lorenzo Dall’Olmo, di Vicenza, e don Mattia Bezze, padovano, che condividevano la missione con don Edy. Moltissimi i sacerdoti concelebranti. Numerose le autorità presenti, dal ministro Carlo Nordio, ai sindaci di Treviso, Mario Conte, di San Biagio di Callalta, Valentina Pillon e di altri Comuni nei quali don Edy ha svolto il suo ministero.

“Con lui si aveva l’impressione che davvero la vita fosse intensa, piena. E si percepisce con chiarezza che tutto fosse un vivere per il Signore, un «essere per il Signore» – ha sottolineato il Vescovo tratteggiando la figura di don Edy -. Era così nelle sue attività quando era in parrocchia, era così nella sua pronta e generosa accoglienza della richiesta di andare in missione, era così in questi mesi a Pacaraima e nella quasi fanciullesca gratitudine per l’invio in missione, che non perdeva occasione di manifestarmi”.

“Da più parti, in questi giorni, mi è stata posta la domanda: Che cosa vuole dirci il Signore con questi eventi, con la morte a così breve distanza di tempo l’uno dall’altro, di preti nel pieno degli anni, dediti e impegnati come don Edy e don Davide, e prima don Raffaele?”. La domanda è risuonata in cattedrale, riportata dal Vescovo, che ha sottolineato: “Non ho la presunzione di rispondere, almeno non da solo a questa domanda: la risposta la troveremo, credo, insieme, cercando l’essenziale della nostra fede e della nostra testimonianza di discepoli missionari. So però che il Signore ha già parlato nelle vicende di questi nostri fratelli sacerdoti, come in quelle di tanti altri, quando ha chiamato proprio loro a seguirlo da vicino, in una vita dedita a Dio, alla Chiesa e ai fratelli e alle sorelle, per annunciare a tutti il Vangelo e per vivere una vita secondo la Buona Novella di Cristo. Per il nostro presente – ha aggiunto il Vescovo -, dalla meditazione orante sulla vita e la morte di questi nostri fratelli, mi risulta più chiara la realtà che noi umani siamo esseri meravigliosi e fragili, che siamo chiamati a vivere intensamente e a non sprecare la vita in cose inutili, e che il nostro primo compito è quello di prenderci cura gli uni degli altri, e di volerci bene”.

“Mi piace interpretare la vita di don Edy – ha concluso mons. Tomasi, riferendosi al Vangelo delle Beatitudini proclamato durante la celebrazione – come la continua tensione verso la povertà in spirito e verso l’amore per i poveri; verso la mitezza e la costruzione di solide relazioni di fiducia; verso la fame e sete della giustizia, e l’apertura di luoghi in cui se ne possa cogliere nei fatti la verità e la bellezza; verso la misericordia nei confronti di ogni persona e del creato intero; verso la purezza di cuore con cui guardare alla vita e alle persone. Mi piace leggere la sua vita come un percorso buono, che lascia traccia di sé con passi tenaci e quotidiani verso la pace, nell’impegno anche gravoso per la giustizia, e nell’accoglienza matura delle contraddizioni che sorgono dall’essere autentici discepoli di Cristo. Il Signore che ha chiamato don Edy a questa esperienza di fede, speranza e carità, gli doni il nome di «beato», e lo accolga nella gioia del Regno. E ci sostenga nel nostro cammino”.

Prima della benedizione e dell’uscita dalla cattedrale delle sue ceneri nell’abbraccio dei sacerdoti, c’è stato il ricordo dei due fratelli di don Edy, Oscar e Cristian: “Edy era un figlio, un fratello, un sacerdote, un amico, non aveva superpoteri, era una persona normale che ha cercato di vivere la vita con tutta la sua passione e il suo amore, alimentato da una grande forza interiore, lo Spirito Santo, e dall’amore di tante persone. Ricordiamoci di tutti i sacerdoti, perché hanno bisogno del nostro supporto, della nostra preghiera, della nostra amicizia e della nostra accoglienza”. E ricordando le parole che don Edy disse al funerale del papà, i suoi fratelli si sono rivolti a lui: “Non ti stiamo seppellendo, ma ti piantiamo come seme di vita nuova che rinascerà per sempre in Cristo”. Infine, l’invito a sostenere i progetti da lui avviati a Pacaraima, “perché quello che è iniziato possa essere portato a compimento”.

E dopo la “tappa” del giorno prima a Olmi, è stata la sua parrocchia di origine, San Gaetano, ad accoglierlo, con tutta la comunità di Montebelluna, in duomo, per un momento di preghiera prima della tumulazione nella cappella dei sacerdoti nel cimitero cittadino. (A.C.)

(da “La Vita del Popolo” del 14 gennaio)