Attorno alla questione dei vaccini l’Europa della solidarietà, dell’equità e dei diritti umani rischia di dare uno dei peggiori esempi della sua storia. Da tempo si susseguono gli allarmi internazionali, nel timore che la corsa forsennata all’accaparramento di dosi da parte dei Paesi più ricchi stia condannando un buon terzo della popolazione mondiale a restare a lungo senza possibilità di immunizzarsi dal virus Sars-CoV-2.
Ma Bruxelles e capitali sorelle finora si mostrano sorde e gli impegni per un’equa ripartizione universale finiscono per apparire un’ipocrita finzione ai danni dei più poveri.
I fatti sono eloquenti. Una settimana fa il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato un duro monito, parlando di un tragico “fallimento etico” in vista, a causa dello squilibrio nell’acquisizione dei vaccini tra le nazioni a reddito maggiore e quelle inserite nel programma mondiale “Covax”, che è stato attivato proprio per ridurre l’impatto della pandemia su scala planetaria. Un anno fa, all’inizio dell’emergenza Coronavirus, il vertice dell’Oms, compreso il suo numero uno Tedros Ghebreyesus, non aveva brillato per tempestività, oltre che per trasparenza sul rapporto con la Cina. Questa volta però il suo intervento appare ineccepibile.
Nelle giornate successive all’allerta giunto da Ginevra, prima il Parlamento europeo e poi tutti i leader dell’Unione si sono riuniti e hanno discusso diversi aspetti del dramma sanitario in atto nei 27 Paesi membri. In particolare, hanno approfondito il fronte dei vaccini, prendendo atto con preoccupazione che il previsto afflusso di dosi subirà ritardi e contrazioni. Pochissime voci e solo fugaci accenni sono risuonati invece sulle conseguenze del disastroso “vaccine divide” che si profila per l’umanità.
Il primo video-vertice dei capi di stato e di governo del 2021 si è dunque arrovellato sulle responsabilità delle mancate consegne e come accelerarle, sul possibile ricorso ai certificati di vaccinazione, sui criteri per i controlli alle frontiere interne in base alla diffusione del virus, sulle variazioni delle mappe cromatiche del territorio dell’Unione (introducendo il colore “rosso scuro”).
Dalle cronache di Bruxelles non risultano purtroppo riferimenti a quanto ha rivelato, ad esempio, l’agenzia Reuters già a metà dicembre, dopo aver consultato documenti interni al Covax: che cioè i previsti due miliardi di dosi, da inoculare entro la fine del 2021 ad almeno il 20 per cento della popolazione in 91 Paesi a reddito medio-basso di Africa, Asia e Sudamerica, sono ormai una chimera, perché mancano fondi, mezzi di approvvigionamento e procedure contrattuali chiare. È pertanto ragionevole prevedere che per due o tre miliardi di persone l’accesso al vaccino non sarà possibile prima del 2024.
Più volte l’esecutivo di Bruxelles è stato criticato per le strategie di acquisto, per le procedure riservate cui si è fatto ricorso e sui prezzi “segreti” pagati alle multinazionali dei farmaci. Ma chi si è interrogato sui 2 miliardi e 300 milioni di dosi comperate o prenotate? Una quantità sufficiente a immunizzare tutti cittadini dell’Unione per almeno 3 anni. Eppure era intuibile che fare incetta del prodotto avrebbe causato strozzature, impennate dei prezzi e minore accesso per chi ha scarso potere contrattuale. L’Europa insomma, assieme al resto dell’Occidente e in barba agli obiettivi Onu di riduzione della povertà, ha accentuato il divario con i Paesi più svantaggiati.
È comprensibile che i governanti dell’Unione siano attenti ai propri cittadini-elettori e alle loro esigenze. Meglio allora evitare impegni o promesse da “buoni Samaritani”, se poi va a finire, come ha scritto Francesco nella “ Fratres omnes”, che «le dispute interne e internazionali e i saccheggi di opportunità lasciano tanti emarginati a terra sul bordo delle strade».
(di Gianfranco Marcelli in “Avvenire” del 26 gennaio 2020)