Esequie diac. Manni. Omelia del delegato mons. Fabio Franchetto

Treviso-S. Maria Ausiliatrice, 27 ottobre 2020

Beati quei servi che il padrone di casa al suo ritorno troverà ancora svegli”: servo del Signore, servo sveglio e vigilante; con questa immagine evangelica, vogliamo ricordare il nostro fratello nella fede, il diacono Giovanni. Servo con i fianchi cinti, perché sempre pronto nella sua generosità; servo con la lampada accesa, perché radicato nella fede di essere sempre del Signore.

L’immagine del servo nel vangelo ci richiama anzitutto la fiducia del padrone: un padrone che – come ci ricorda un’altra parabola evangelica, quella dei talenti – parte lontano con la promessa di ritornare e che affida le cose più care e la custodia della sua casa alla responsabilità e alla cura di ciascuno di noi.

Possiamo dire che Giovanni è vissuto nella consapevolezza di questa fiducia ricevuta e nell’impegno a vivere con responsabilità e a custodire quanto ricevuto: il dono della fede, il dono della famiglia, il dono del ministero diaconale.

Era nato a Saccolongo il Primo maggio del 1926, terzo di tre fratelli e cinque sorelle; e il successivo 23 maggio i genitori Pasquale e Serafina lo avevano portato al fonte battesimale. Nel 1955 si era sposato con Angelina e la famiglia divenne il primo luogo del suo servizio, della sua vita donata, come sposo e come padre dei tre figli, e poi, nei tempi successivi, come nonno e bisnonno.

Trovò pure in questa parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice e nell’Azione Cattolica un altro luogo in cui mettersi a disposizione nella collaborazione con i parroci e i frati francescani.

Già nel 1979 aveva cominciato a pensare al ministero diaconale; eravamo agli inizi di questo ministero ripristinato nella sua forma permanente nella nostra Chiesa diocesana; le prime tre ordinazioni furono infatti nel 1983. Giovanni fu ordinato diacono il 17 maggio 1986, nella Solennità di Pentecoste, da Mons. Antonio Mistrorigo. Erano le seconde ordinazioni di diaconi permanenti in diocesi; un po’ alla volta, il ministero diaconale – questo ministero antico, ma contemporaneamente nuovo – grazie anche a Giovanni e alla sua generosità assumeva un volto sempre più concreto, il volto della sua vita donata per testimoniare nel mondo l’amore di Dio e servire la Chiesa.

Scriveva Giovanni nella sua domanda di ordinazione: “da alcuni anni ho intrapreso un cammino di formazione all’interno del gruppo in preparazione al diaconato dove ho potuto verificare e approfondire la chiamata del Signore. […] dopo aver pregato e invocato l’aiuto di Dio nella fede confermo la mia disponibilità a servire la Chiesa diocesana nel ministero del diaconato”.

Ed esprimeva, poi, anche l’impegno “a svolgere il mio servizio in comunione con il Presbiterio diocesano e soprattutto con i Sacerdoti della parrocchia alla quale sarò avviato”. Svolse il suo ministero diaconale nelle parrocchie di Dosson e successivamente dal 1993 di San Lazzaro di Treviso; prestò pure il suo servizio presso la Casa del Clero come diacono e infermiere sostenendo i sacerdoti anziani ospiti.

E poi, sempre nella sua domanda, concludeva rivolgendosi al vescovo Mistrorigo: “termino affidandomi alla sua protezione e alla sua preghiera nella quale sento ora il bisogno di associare anche quanti mi sono vicini in questo momento e nel futuro camino della mia vita: la moglie Angelina, i figli Gabriele, Floriano e Fiorella col marito Danilo e la figlia Monica e tutti gli amici”.

In questo riferimento non generico, ma nel ricordo specifico dei nomi, Giovanni portava nel suo ministero la sua famiglia: sapeva benissimo che il dono di grazia era anche per tutti i suoi cari, continuando poi ad aggiungere nel suo cuore e nella sua preghiera i nomi di coloro che nel futuro avrebbero arricchito il numero dei suoi familiari. Visse il dolore per la morte della moglie Angelina, ma non si chiuse in se stesso; il suo animo delicato e sensibile lo portò a maturare un’attenzione speciale verso gli anziani e gli ammalati; non era raro, trovarlo in qualche residenza per anziani visitare gli ospiti, portare l’Eucarestia e guidare anche la preghiera.

Sì, perché per lui era importante la preghiera, segno di quella vigilanza personale che Lui ha sempre vissuto per non lasciarsi scassinare il cuore e assicurarsi che fosse sempre abitato dal Signore; e, in particolare nella preghiera alla Madonna, nella sua forte devozione mariana, trovava aiuto per vivere nella fiducia accettare un po’ alla volta anche il venire meno delle forze e dell’autonomia.

L’età avanzata, infatti, non era per lui motivo per sottrarsi alla vocazione al servizio e agli incontri con la comunità dei diaconi: con generosità manifestava il desiderio di essere attivo e disponibile; colpiva, fino ad alcuni anni fa, la sua presenza alta e statuaria nei servizi in cattedrale accanto al vescovo, svolti sempre con passione e diligenza.

E chi, in questo ultimo periodo, andava in casa del clero, poteva trovarlo vigilante nella preghiera, consapevole di essere sempre per il Signore.

Beati quei servi che il padrone di casa al suo ritorno troverà ancora svegli”: per noi discepoli di Gesù, la morte è l’esperienza del ritorno del Signore, dell’incontro con Lui: di quel Signore che ci ha chiamati alla vita e alla fede; ed è per noi questa promessa, che è una promessa di beatitudine: “in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”.

Con l’ordinazione diaconale Giovanni è stato conformato all’immagine del Cristo servo e ha offerto la sua vita a Gesù, perché Gesù attraverso di lui potesse servire un’umanità bisognosa di essere incontrata e amata. Giovanni, che ha vissuto il servizio in molte sfaccettature, ora sperimenta pienamente il servizio da parte di Cristo: che cos’è la vita eterna se non sperimentare in maniera piena e definitiva quello che Gesù fa per noi, accorgerci di come la nostra vita sia immersa nell’amore di Dio che si è rivelato in Gesù suo Figlio?

In questo momento, il suo ministero diaconale ci ricorda che quando noi ci prendiamo cura di qualcuno, Dio si prende cura di noi; alla nostra vita ci pensa Lui. E quel “prendersi cura di noi” vuole dire anche questo: vuole dire “dare alla nostra vita una speranza che va oltre la morte, la speranza della risurrezione”. Perché i nostri servizi si fermano di fronte alla morte, ma il servizio di Dio no; Dio è più grande, perché il suo amore è più forte della morte.

A questo amore, ora noi vogliamo affidare questo nostro fratello, perché lo accolga per sempre con sé; e con la celebrazione dell’Eucarestia, vogliamo dire grazie al Signore per la sua vita e per quello che è stato per ciascuno di noi e per tutta la nostra Chiesa diocesana di Treviso.