Meditazione di Mons. Stefano Chioatto: FRATELLI TUTTI: “Il Dialogo, via per costruire la fraternità e l’amicizia sociale”

Ritiro Diaconi 10 dicembre 2022

Il dialogo, via per costruire la fraternità

Per costruire fraternità e amicizia sociale certamente una componente fondamentale è il dialogo. a questo tema Papa Francesco dedica tutto il capitolo 6 dell’enciclica Fratelli tutti.

La parola dialogo deriva dal greco e significa “parola attraverso”; il verbo da cui deriva significa conversare, discorrere. Nel corso della sua evoluzione l’uomo ha cominciato a parlare non per dare un nome alle cose ma per comunicare con i suoi simili. Si parla, attraverso le parole, solo fra umani. Quando con gli animali domestici esiste una buona intesa, si è soliti dire: «gli manca solo la parola», appunto “gli manca”, ne è privo, ed è questo elemento importante che lo differenzia dagli umani.

Per attuare un dialogo ci vogliono due o più persone che interagiscono una dopo l’altra. I soggetti del dialogo si chiamano interlocutori, «coloro che parlano in mezzo», in quanto ciascuno interviene tra una battuta e l’altra dell’altra persona coinvolta nel dialogo.

Il dialogo è una forma di comunicazione particolare nella quale il discorso avanza tenendo conto di ciò che l’altro ha detto; non si tratta quindi di due discorsi paralleli che si interrompono per riprendere dallo stesso punto. Un dialogo incomincia sempre da uno che per primo rivolge all’altro la parola, prende l’iniziativa.

Rivolgere la parola a qualcuno è riconoscere che ha la nostra stessa dignità, è riconoscerlo nella sua umanità; non rivolgere la parola significa comunicare all’altro che per noi non esiste; ad esempio quando c’è un conflitto i due non si parlano. La forma minimale di dialogo sta nel saluto. Rivolgere ad una persona il saluto oppure non darlo o toglierlo, rispondere o non rispondere al saluto fanno una bella differenza.

 

Il movimento dialogico fondamentale è il rivolgersi. Apparentemente si tratta di qualcosa di quotidiano e di insignificante: quando si guarda qualcuno, gli si rivolge la parola, ci si volge proprio a lui, naturalmente ci si volge a lui fisicamente, ma anche, nella misura necessaria, spiritualmente, dal momento che a lui si rivolge l’attenzione.

Eppure nessuno dei contatti che avvengono ora per ora è indegno di prendere quanto può dal nostro essere; poiché nessun uomo è privo di potenza espressiva e il nostro rivolgerci suscita in colui a cui ci rivolgiamo una risposta, per quanto inavvertibile, per quanto subito repressa, in uno scrutare, risuonare dell’anima che avviene nella semplice interiorità e che tuttavia esiste.

Il movimento opposto al rivolgersi è il ripiegamento: uno si occupa di sé, si osserva, si tocca, gode di sé, si onora, si compiange. Chiamo ripiegamento il sottrarsi all’accettazione adeguata dell’essere di un’altra persona, nella sua peculiarità; far esistere l’altro solo come propria esperienza, come una proiezione. Martin Buber, Sul dialogo. Parole che attraversano, San  Paolo. 2013.

 

Ma il dialogo non riguarda solo le relazioni personali, comprende anche le relazioni sociali. Si parla di “dialogo tra le parti” per formare un governo, per giungere alla firma di un contratto collettivo di lavoro tra imprenditori e sindacati, per le trattative che pongono fine a un conflitto internazionale; parliamo anche a livello ecclesiale, di dialogo ecumenico e di dialogo interreligioso.

la categoria di dialogo è entrata piuttosto recentemente all’interno della teologia, a partire dall’enciclica programmatica di Paolo VI, «Ecclesiam suam» (1964)

 

  1. La prospettiva di Paolo VI

 

Luigi Melotti, «Ecclesiam suam». L’Enciclica del «Dialogo», in In dialogo con l’altro. fede cristiana, alterità e dialogo, a cura di Ezio Falavegna e Giovanni Girardi, il Segno dei Gabrielli editori, 1998, pp. 127-132.

Il 6 agosto 1964, Paolo VI pubblicò la sua prima enci­clica, la sua enciclica «programmatica»: Ecclesiam suam. Come appare già dal titolo, è una enciclica di carattere ec­clesiologico. Molte sue idee entreranno nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, promulgata il 21 novembre 1964.

Nell’Ecclesiam suam, Paolo VI parla so­prattutto di tre atteggiamenti che la Chiesa deve as­sumere:

1) acquistare una coscienza sempre più chiara di sè;

2) cercare di modellarsi sul tipo proposto da Cristo;

3) studiare i contatti da tenere con l’umanità.

 Si tratta del dia­logo col mondo contemporaneo:

«La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa mes­saggio; la Chiesa si fa colloquio» (n. 38). Ancor prima di convertirlo, anzi per convertirlo, il mondo bisogna accostarlo e parlargli (FT70).

 

1 Il fondamento del dialogo: la Rivelazione di Dio all’uomo.

La religione è di natura sua un rapporto tra Dio e l’uomo. La preghiera esprime a dialogo tale rapporto. La rivelazione, cioè la relazione soprannaturale che Dio stesso ha preso l’iniziativa di instaurare con la umanità, può essere raffigurata in un dialogo, nel quale il Verbo di Dio si esprime nell’Incarnazione e quindi nel Vangelo. Il colloquio, interrotto tra Dio e l’uomo a causa del peccato originale, è meravigliosamente ripreso nel corso della storia. La storia della salvezza narra appunto questo lungo e vario dialogo che parte da Dio, e intesse con l’uomo varia e mirabile conversazione. È in questa conversazione di Cristo fra gli uomini(46) che Dio lascia capire qualche cosa di Sé, il mistero della sua vita; e dice finalmente come vuol essere conosciuto; Amore Egli è; Il dialogo si fa pieno e confidente.

«Con questa Rivelazione, infatti, Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» Dei Verbum 2.

FT 73. Bisogna che noi abbiamo sempre presente questo ineffabile e realissimo rapporto dialogico, offerto e stabilito con noi da Dio Padre, mediante Cristo, nello Spirito Santo, per comprendere quale rapporto noi, cioè la Chiesa, dobbiamo cercare d’instaurare e di promuovere con l’umanità.

 

Che cos’è il dialogo?

Il dialogo è inteso da Paolo VI come «un modo d’eser­citare la missione apostolica; è un’arte di spirituale comu­nicazione» (n. 47). Con queste caratteristiche:

  1. chiarezza: è necessario farsi comprendere. Qui, c’è tutto il problema del linguaggio. Per questo, Paolo VI esorta «a rivedere ogni forma di linguaggio: se compren­sibile, se popolare, se scelto» (n. 47). Il Concilio ricor­derà a sua volta: «È dovere di tutto il Popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare attentamente, capire e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la Verità rivelata sia ca­pita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta» (GS 44).
  2. Pre requisito per un dialogo e comprendere la lingua dell’altro anche se non parliamo la stessa lingua, ma meglio ancora è imparare a parlare la lingua dell’altro senza pretendere che l’altro impari la nostra.
  3. b) mitezza. Questa va imparata da Gesù, mite ed umile di cuore (cfr. Mt 11, 29). Dice Pao­lo VI: «Il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l’esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifi­co, evita i modi violenti, è paziente, e generoso» (n. 47).
  4. c) fiducia: nell’efficacia della Parola di Dio che viene annunciata e nella retta intenzione dell’interlocutore.
  5. d) prudenza pedagogica: bisogna fare «grande conto delle condizioni psicologiche e morali di chi ascolta (cfr. Mt 7,6.» (n.47).

Inoltre, dal contesto dell’enciclica, dobbiamo ancora dire:

  1. e) bisogna adattarsi: Non sono gli altri che devono adat­tarsi alla no­stra mentalità, ma noi a loro.
  2. f) Infine, bisogna praticare la legge dell’incarnazione. «Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in cer­ta misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole por­tare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi o diaframma di linguaggio in­comprensibile, il costume comune purchè umano ed one­sto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi.

Il clima del dialogo è l’amicizia. Anzi il servizio secondo l’esempio e il precetto lasciatoci da Cri­sto (cfr. Gv 13,14-17)» (n. 49).

La dialettica di questo esercizio di pensiero e di pazienza ci farà scoprire elementi di verità anche nelle opinioni altrui FT86

 

Con chi va fatto il dialogo?

Paolo VI risponde: «con tutti gli uomini di buona vo­lontà, dentro e fuori l’ambito della Chiesa» (n. 53), e qui, l’enciclica delinea una serie «di cerchi concentrici intorno al centro, in cui la mano di Dio ci ha posti» (n. 53).

Primo cerchio: «tutto ciò che è umano» (nn. 54-59)

Questo cerchio è immenso e sconfinato: abbraccia tutta l’umanità e il mondo intero. Qui, però, il dialogo incontra un grande ostacolo: la negazione di Dio (nn. 55-59); anche il Concilio inviterà al dialogo «sincero e prudente» e rivolgendosi agli atei, li inviterà «cortesemente a volere prendere in considerazione il Vangelo di Cristo con animo aperto» (GS 21). È importante a questo proposito il dialogo per la pace.

Secondo cerchio: «i credenti in Dio» (n. 60)

Tra questi, vengono ricordati gli Ebrei, i Musulmani, i seguaci delle grandi religioni afro-asiatiche. Senza cadere nell’indifferentismo che consiste nel ritenere che tutte le religioni si equivalgano, si devono riconoscere i valori spi­rituali e morali delle varie religioni non cristiane e pro­muovere con esse ideali che ci possono essere comuni: li­bertà religiosa, fratellanza umana, beneficenza sociale, ecc. Il dialogo in questo secondo cerchio si chiama oggi: dialogo interreligioso’.

Terzo cerchio: «i cristiani non cattolici» (nn. 61-63)

Questo è il dialogo ecumenico vero e proprio. Occorre prima di tutto evidenziare quanto ci è comune e poi ap­profondire onestamente i punti divergenti. I progressi in questo cerchio sono sotto gli occhi di tutti.

Quarto cerchio: «il dialogo nell’interno della Chiesa catto­lica» (nn. 64-68), dove si mettono in luce i valori della carità e dell’obbedienza.

Luigi Melotti, «Ecclesiam suam». L’Enciclica del «Dialogo», in In dialogo con l’altro. fede cristiana, alterità e dialogo, a cura di Ezio Falavegna e Giovanni Girardi, il segno dei Gabrielli editori, 1998,, pp. 127-132.

 

  1. La prospettiva di Papa Francesco

 

2.1. La necessità del dialogo

Nell’introduzione alla sua enciclica Fratelli tutti, papa Francesco sottolinea che questo testo è il frutto e il pro­seguimento di un dialogo avviato sin dall’inizio del suo pontificato, soprattutto con i rappresentanti del mondo islamico. Particolarmente significativo è per lui l’incon­trò con il grande imam Ahmad Al-Tayyeb nel febbraio 2019 ad Abu Dhabi (FT 5). Il documento scaturisce così dall’esperienza del dialogo e ha proprio quest’ultimo come contenuto: esso ne illumina il significato, l’essenza e il fondamento teologico alla luce delle sfide globali che l’intera famiglia umana sta affrontando.

Come nella sua enciclica Laudato si‘, recepita ben ol­tre l’ambito ecclesiale, Francesco si ispira a san France­sco d’Assisi per le sue riflessioni sulla fratellanza globale e l’amicizia sociale – soprattutto alla visita del santo al sultano Malik-al-Kamil in Egitto. Questo incontro ha per il pontefice un significato paradigmatico in quanto Francesco d’Assisi «non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio» (FT 4), dimostrando un atteggiamento dialogico molto precoce rispetto ai suoi contemporanei.

L’attuale urgenza del dialogo emerge con grande chia­rezza dall’analisi della situazione contemporanea nel capitolo iniziale dell’enciclica. Papa Francesco lamenta qui le speranze – deluse – di un mondo all’insegna di giustizia, pace e unità. Difatti, il senso di unità della famiglia umana va scemando e gli egoismi nazionalisti sono in aumento. Francesco intravede il pericolo che la generazione attuale possa non essere all’altezza delle lotte e delle conquiste del passato, rischiando così di gettarle via (FT 11).

Il pontefice rileva una delle caratteristiche più eviden­ti di queste pericolose derive nel mutamento dell’atteg­giamento- comunicativo che, secondo lui, è caratteriz­zato da un peculiare paradosso. Da un lato si riduce la distanza individuale e si abbandona del tutto il diritto alla privacy, dall’altro aumentano invece in maniera pre­occupante gli atteggiamenti di chiusura e intolleranza che ci isolano dagli altri. La crescente perdita di rispetto per l’altro fa sì che si è disposti a introdursi nella sua vita, fin negli ambiti più intimi, senza alcuna vergogna (FT 42). Questo fenomeno è particolarmente evidente nell’aggressività sfrenata dei cosiddetti haters, (seminatori di odio) attivi sul web e sui social media, che dirigono principalmente il loro odio contro gli estranei e le persone socialmente svantaggiate (FT 43s.).

La mancanza di relazioni interpersonali concrete, causata dall’uso quasi esclusivo dei media digitali come forma di comunicazione, porta molti utenti a una cre­scente perdita del contatto con la realtà. Ciò viene raf­forzato dal limitarsi allo scambio di idee esclusivamen­te con coloro che la pensano allo stesso modo e dalla conseguente incapacità di confrontarsi direttamente con persone con opinioni diverse (FT 43-45). In riferimento a questo, papa Francesco parla anche di «monologhi paralleli» (FT 200), attraverso i quali i partecipanti di questi gruppi rafforzano i propri pregiudizi e si isolano sistematicamente da ogni critica che potrebbe portarli a mettere in discussione le loro posizioni.

Questa spietata analisi dell’attuale comportamento comunicativo mostra chiaramente l’urgente necessità di mutare atteggiamento: la questione cruciale è non per­dere l’apertura verso la realtà (FT 47). Questo è possi­bile solo attraverso un incontro totale con la realtà e soprattutto con gli altri. Solo così le relazioni possono crescere e maturare (FT 43). La capacità di ascoltare, «il mettersi seduti ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un modello di atteggiamento accogliente» (FT 48). L’unica via, per Francesco, è cercare insieme la verità mediante un dialogo paziente e perseverante (FT 50).

 

  1. 2 Un atteggiamento dialogico verso la realtà

 

L’importanza che papa Francesco attribuisce al dialogo nella sua enciclica sociale mostra il suo approccio personale, che si basa sull’idea cristiana dell’uomo e sulla dottrina sociale della chiesa: «solo nell’incontro con l’altro» una persona può «riconoscere pienamente la propria verità» (FT 89). Le relazioni sane e autentiche ci aprono agli altri, ci fanno crescere e arricchiscono la nostra vita (FT 89). L’incontro dell’io con il tu è il fondamento di un atteggiamento dialogico nei confronti della realtà nel suo insieme. Il dialogo richiede inizialmente un atteggiamento di fondamentale apertura verso la realtà nel suo insieme e specialmente verso l’altro.

Per questo motivo, il dialogo si basa principalmente su una comunicazione umana ben riuscita: «Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guar­darsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialo­gare“. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare. Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio» (FT 198). L’autentico dialogo è caratterizzato da un fondamentale atteggiamento empatico che cerca di mettersi nei panni dell’altro, di capirlo, anche laddove egli prende una posizione che non sono disposto a con­dividere (FT 203).

Il dialogo si modella su una particolare forma di attività: la disponibilità ad ascoltare con pazienza non è passività, ma la più alta forma di attenzione. Dall’altro lato, il dialogo vive del mio prendere sempre l’iniziati­va di avvicinarmi attivamente all’altro, incoraggiandolo ad esprimere la sua posizione, e di rendermi a lui comprensibi­le, segnalargli che non mi chiuderò nei suoi confronti e non agirò con violenza anche qualora ci dovessero essere delle possibili divergenze di opinione.

In primo luogo, il dialogo autentico richiede un ri­spetto fondamentale per l’altro e quindi per il punto di vista che sta assumendo. E’ fondamentale aspettarsi e accettare che le sue convinzioni e i suoi interessi siano legittimi e possano portarmi a ripensare o almeno a riconsiderare la mia posizione (FT 203). Ciò diventa particolarmente esplicito per il papa in riferimento al nostro rapporto con i migranti nel contesto dell’attuale situazione glo­bale. In un certo senso, essi rappresentano paradigmati­camente «l’altro» che mi viene incontro e al quale posso rapportarmi con un atteggiamento di chiusura o di aper­to dialogo. Il rispetto reciproco per la cultura dell’altro è fondamentale. Un dialogo genuino e fiducioso accade laddove «si accoglie di cuore la persona diversa, le si permette di continuare ad essere se stessa, mentre le si dà la possibilità di un nuovo sviluppo» (FT 134).

Fran­cesco attribuisce grande importanza alla constatazione che l’apertura alla cultura dell’altro non è in conflitto con la propria identità. Una solida identità personale, che si manifesta nell’amore per il proprio Paese, i suoi abitanti e le sue caratteristiche culturali, è un presuppo­sto indispensabile per un dialogo autentico e veritiero. (FT 134). L’apertura indispensabile al dialogo si manifesta soprattutto nel­la consapevolezza che qualcosa di nuovo può sorgere nell’incontro con altre realtà – una nuova sintesi, un cambiamento, un approfondimento e un progredire arricchente (FT 143). Con ciò il papa affronta un’esperienza fondamen­tale, tipica di ogni dialogo reale: il confronto sincero non solo accresce la comprensione per l’altro ma, di solito, porta anche a un chiarimento e a un radicamento più profondo della propria identità. La vera identità cresce con e dal dialogo con gli altri!

Un dialogo sincero riguarda la scoperta di somiglian­ze nelle differenze, sulle quali costruire una relazione fu­tura. Un dialogo serio che «esige di essere arricchito e illuminato da ragioni, da argomenti razionali, da varietà di prospettive, da apporti di diversi saperi e punti di vista». Il terreno comune sta nel «profondo rispetto per la verità che ogni essere umano è sacro e inviolabile» (FT 208). Il fatto «che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispon­dente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamen­to culturale» (FT 213). Klaus Kramer, «Cercare insieme la verità nel dialogo». Prospettive dialogiche nell’enciclica Fratelli tutti, in Percorsi di fraternità. Per raccogliere la sfida dell’enciclica Fratelli tutti,  a cura di W. Kasper-G. Augustin, Queriniana 2022, pp. 228-245.

  1. Questo implica la capacità abituale di riconoscere all’altro il diritto di essere sé stesso e di essere diverso. Senza questo riconoscimento emergono modi sottili di far sì che l’altro perda ogni significato, che diventi irrilevante, che non gli si riconosca alcun valore nella società.

È il vero riconoscimento dell’altro, che solo l’amore rende possibile e che significa mettersi al posto dell’altro per scoprire che cosa c’è di autentico, o almeno di comprensibile, tra le sue motivazioni e i suoi interessi.

 

2.3 Elogio della gentilezza

 

  1. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri. Comprende il «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano», invece di «parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano».
  2. La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire “permesso”, “scusa”, “grazie”. Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti. La pratica della gentilezza non è un particolare secondario né un atteggiamento superficiale o borghese. Dal momento che presuppone stima e rispetto, trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti.

 

  • Prospettive teologiche

 

L’uomo, creato a immagine di Dio da questo riceve la sua inalienabile dignità. Essere a immagine di Dio signifi­ca anzitutto che l’essere umano è ordinato a Dio come origine e fine di tutta la sua esistenza. Nella relazione salvifica con Dio l’uomo trova la possibilità della sua realizzazione piena, e per questa ragione possiamo affermare che l’essere umano è fondamentalmente un essere dialogico. Solo aprendosi al mondo che lo cir­conda e all’altro può ritrovare se stesso e sviluppare il proprio essere. Il rapporto dell’uomo con il mondo può quindi essere inteso come un continuo «dialogo con la realtà».

La caratteristica peculiare dell’esperienza biblica di Dio consiste proprio nel fatto che Dio incontra l’uomo in maniera dialogica: Dio si avvicina all’uomo, prende l’iniziativa, gli parla – e questo in una maniera che spro­na l’uomo a rispondere. La Sacra Scrittura documenta la storia dell’esperienza umana con Dio come un evento, come il presupposto di ogni dialogo autentico e reale.

Quando una perso­na fa riferimento a Dio nel suo agire e si lascia plasmare da lui, agirà in maniera dialogica. Percorrere la via del dialogo significa soprattutto incontrare l’altro con amo­re e rispetto. Quando l’amore e il rispetto non sono semplicemente la risposta all’affetto che abbiamo precedentemente ricevuto da un altro, ma scaturiscono piuttosto dalla fonte del nostro profondo rapporto con Dio, si svilup­pa una dinamica dialogica che ci permette di prendere nuovamente l’iniziativa e fare il primo passo, senza pre­tese verso l’altro neanche di fronte a un rifiuto.

Infine, c’è un grande potenziale missionario in tutto ciò: ovun­que uomini e donne percorrono la via del dialogo come espressione coerente e credibile della loro missione di cristiani in questo mondo, testimoniano la loro fede in una maniera che non imprigiona o mette sotto pressione l’altro, ma piuttosto gli offre un cammino in tutta libertà attraverso l’esempio della propria vita. Su questa via la vita umana può realizzarsi promuovendo e rinnovando la convivenza pacifica e fraterna di tutti gli uomini. Da Klaus Kramer «Cercare insieme…, cit.

 

  1. I dialoghi di Gesù

 

In tutti i Vangeli Gesù appare come l’uomo dell’incontro e del dialogo. La cosa commovente è che ogni incontro è per lui una rivelazione. Rivela se stesso, si dona con tenerezza, con passione, persino con violenza, ma soprattutto cia­scuno dei suoi interlocutori è improvvisamente rivelato a se stesso. L’incontro è il potente catalizzatore per cui un uomo, una donna, un malato si sente di colpo ricompo­sto, restituito a se stesso, e tutte le potenzialità che erano assopite in lui, come invischiate, alle quali aveva smesso di credere, esplodono all’improvviso e gli appaiono come la sua verità più profonda.

È meraviglioso: la maggior parte delle persone che Gesù incontra sono delle vite fallite o bloccate, ed è sufficiente un incontro, uno sguardo, una parola perché passino senza preliminari, senza con­dizioni dalla vita di prima alla vita nuova. Gesù rappresenta nella sua persona la pienezza dell’incontro, quello dell’Uomo e quello di Dio. Per questo incontro è venuto tra noi, e in questo consiste tutto il Vangelo.

Fra i molti esempi di dialogo che cambia nella vita delle persone incontrate ricordiamo quello con i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-53) o quello con la samaritana (Gv 4), o con Zaccheo. Non tutti i dialoghi che Gesù instaura vanno a buon fine.

 

3.1 Un dialogo non riuscito: Mc 10, 7-17

17Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». 20Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 22Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

 

Questo tale, identificato con un giovane, desidera incontrare Gesù e desidera parlargli. Ha una domanda fondamentale che si porta dentro ed è convinto che Gesù abbia la risposta giusta, perché riconosce in lui un uomo di grande bontà ed insieme un maestro di vita.

Nella prima risposta che Gesù dà, pone un’ulteriore domanda al giovane, chiedendo le motivazioni di quella qualifica rivolta a lui che, in senso assoluto, può riferirsi solo a Dio. facendo ciò rivela la sua identità: «nessuno è buono se non Dio solo»; dunque egli è Dio.

Ma poi viene anche a dare una risposta al giovane, indicando la via dei comandamenti per giungere alla vita eterna. Di fatto qui Gesù esplicita solo quelli della seconda tavola, quelli che riguardano l’amore del prossimo, quasi a dire: «se vuoi vivere felice prova a fare attenzione a questi, che rendono autentica anche l’osservanza ai primi tre».

Il dialogo prosegue con l’obiezione del giovane che non si lascia interrogare da quella prima risposta, che gli sembra un consiglio ovvio; non è questa la risposta di cui vai in cerca. a questo punto Gesù vuol far fare un salto di qualità chiamando quel giovane ad essere suo discepolo, ma prima di fargli la proposta, senz’altro impegnativa, ma insieme risolutiva per il desiderio di felicità che quel giovane porta dentro, è necessario che egli percepisca in Gesù un “surplus” di amore, che cogliamo in quella frase «fissò lo sguardo su di lui, lo amò». Si tratta di uno sguardo pieno di amorevolezza, di affetto, di empatia che prepara il terreno alla proposta. Potremmo tradurlo a parole «fidati di me perché ti voglio bene e voglio il tuo bene». Segue la proposta nella quale sono contenuti cinque imperativi: va, vendi, dallo, vieni, seguimi. Qui Gesù gioca la carta di tutta la sua autorevolezza, trova il coraggio di una chiarezza. Qui il dialogo si interrompe. Il giovane non risponde a parole, non replica, lo fa con il volto scuro e triste, non valuta neppure un momento di assumere la proposta, se ne torna deluso perché non è quella la risposta che si attendeva. Non è disposto a pagare il prezzo della vera felicità, e se chiama Gesù con il titolo di maestro, poi non è disposto ad essere suo discepolo.

In molti dei nostri dialoghi e dei nostri incontri, tenia­mo tanto a ciò che possediamo da avere difficoltà ad aprire la porta, la mente e il cuore. Non è tanto una questione di ricchezze materiali: teniamo ai nostri punti di vista, alle nostre abi­tudini, alle nostre conoscenze… Ci aggrappiamo ad esse, ed è molto difficile accogliere ciò che l’altro ha da dire o da dare. O facciamo un monologo o ce ne andiamo. Ci aspettiamo dall’altro solo che ci dia ragione, che ci confermi nelle nostre idee, nei nostri propositi e nelle nostre decisioni.

 

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Che cosa mi ha colpito della proposta?

Alla luce della proposta, in quali aspetti mi sento confermato e su quali atteggiamenti devo lavorare per essere una persona di dialogo?