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Chiesa di San Vito e Santa Lucia

Chiesa di San Vito e Santa Lucia

PREMESSA

La storia dell’articolato insieme architettonico delle chiese di San Vito e di Santa Lucia, con il soprastante Monte di Pietà si intreccia profondamente con quella della città di Treviso, sin dall’alto medioevo, nell’età comunale e successivamente durante la dominazione della Repubblica di Venezia, quando il complesso monumentale svolse un ruolo di notevole rilievo religioso e politico.

Chiesa di San Vito

La chiesa di San Vito è uno degli edifici religiosi più antichi di Treviso e si trova in piazza San Vito. Il primo nucleo, edificato intorno al 883, era costituito da uno Xenodochio (luogo per l’assistenza dei viandanti, dei pellegrini e di altre fasce di bisognosi), con annesso un piccolo oratorio dedicato al Santo eponimo. La trasformazione del primo nucleo costruttivo in chiesa urbana, a navata unica, si attuò alla fine del XII secolo. A questo periodo risale il campanile, più volte alzato nel corso dei secoli, fino ad acquisite il suo aspetto attuale. Dopo breve tempo, agli inizi del XIII secolo, la chiesa fu ampliata divenendo un edificio a tre navate, coperto da tetto a capanna con un portico antistante il lato nord, che si apriva sulla piazza omonima. San Vito, si può ragionevolmente supporre che avesse assunto internamente l’aspetto stilistico-formale proprio delle architetture definite tardo romaniche. Le poche tracce della struttura originale sono leggibili nelle parete absidale, attualmente visibile dalla navata destra della chiesa di Santa Lucia. A quest’epoca appartiene anche la decorazione pittorica ad affresco dell’abside destra, con Cristo benedicente e la teoria degli apostoli.

San Vito prese la definitiva fisionomia nella metà del XVI secolo attraverso una serie di interventi strutturali, assumendo così un’elegante veste architettonica tardo rinascimentale. Tale radicale rinnovamento venne realizzato su richiesta del Monte di Pietà, che si espanse sopra l’edificio sacro, costruendo due piani di sopraelevazione per ricavare nuovi e ampi spazi al fine dell’accatastamento dei pegni. All’esterno venne creato un profondo portico, mentre all’interno, l’aula venne suddivisa da colonne tuscaniche in tre navate di uguale altezza, con soffitto a volta ribassata nella navata maggiore e, semplice volta nelle navate minori.

La “Passio” leggendaria di San Vito è raccontata nella “Leggenda Aurea” di Jacopo da Varagine, e il suo culto ebbe ampia diffusione nel Medioevo perché il Santo fa parte dei Santi Ausiliatori. Questi quattordici Santi sono invocati dal popolo cristiano in casi di particolare necessità, generalmente per guarire malattie quali l’epilessia e la corea di Huntington, che è una malattia del sistema nervoso che provoca movimenti incontrollati.

Lo sguardo percorre le navate in profondità fino all’altare maggiore, arricchito da un dipinto dei primi del Seicento, attribuito a Bernardino Prudenti. La pala rappresenta la Madonna con il Bambino e i martiri Vito, al centro, Modesto e Crescenzia. I Santi sono rapiti in un intenso dialogo con la Vergine, rivolta verso di loro mentre trattiene il vivace Bambino che si sporge per benedire. Nella controfacciata domina la cantoria con il prezioso organo di Domenico Malvestio.

Nel pilastro, a sinistra dell’altare maggiore, è murato l’antico tabernacolo a muro, datato 1363. La pregevole opera scultorea, ascrivibile all’ambito artistico veneziano, è ornata da clipei con busti di Santi entro uno spazio cuspidato; sotto, San Vito tra i due stemmi dei donatori raffigurati in ginocchio.

L’antica abside destra, detta Cappella del Redentore, è decorata da affreschi risalenti alla prima metà del secolo XIII e attribuiti ad Ognibene da Treviso. Cristo domina il catino absidale circondato dagli Apostoli e al centro della volta spicca l’agnello pasquale.

L’abside a sinistra, detta Cappella del Crocifisso, era affidata all’omonima Confraternita; l’altare racchiude il Crocefisso, scultura lignea di Francesco Terilli, artista d’origine feltrina della fine del Cinquecento, inizi del Seicento.

Nel grande ovale dell’Incoronazione della Vergine sito nel soffitto della navata centrale, la moltitudine di angeli sospinge le nuvole in modo da sottolineare il moto ascensionale di Maria Vergine verso la Trinità. La cerimonia dell’incoronazione è concelebrata da Cristo e dal Padre eterno che recano le insegne del potere universale: lo scettro nelle mani del Figlio e il globo sorretto da un angelo al fianco del Padre. La colomba dello Spirito Santo vola nel cielo luminoso al di sopra della semplice corona congiuntamente imposta sulla testa di Maria. Il grande dipinto è opera di Antonio Zanchi, insigne artista veneto del XVII secolo.

Chiesa di Santa Lucia

Nel luogo ove si trova attualmente la Chiesa di Santa Lucia, sappiamo che, in precedenza, sorgeva la piccola chiesetta di Santa Maria delle Carceri, cappella carceraria addossata alle absidi di San Vito, ed elevata al posto del carcere cittadino distrutto da un incendio nel 1354.

Dopo pochi decenni, sempre a ridosso delle absidi di San Vito, venne costruito un nuovo corpo di fabbrica avente varie funzioni: politico amministrativa negli spazi al primo piano e religiosa nell’ambiente al piano terra. Come segno della benevolenza divina, tale ambiente fu consacrato a Santa Lucia, il 13 dicembre 1389, in perenne memoria del giorno in cui il governo della Repubblica di Venezia si insediò nella città di Treviso. La nuova chiesa mantenne anche la funzione di cappella carceraria, con l’altare dedicato a Santa Maria delle Carceri. Agli inizi del 1399 nella chiesa di Santa Lucia, le Confraternite di San Giacomo e Cristoforo e di Sant’Antonio abate ottennero la concessione di costruire due nuovi altari dedicati rispettivamente ai loro Santi patroni.

A testimonianza della intensa vitalità che caratterizzò la vita religiosa di quest’epoca, restano gli apparati decorativi ad affresco delle Cappelle di Santa Maria delle Carceri, dei santi Giacomo e Cristoforo e di sant’ Antonio abate, giunti a noi grazie al ritrovamento degli anni Venti del Novecento, che assieme all’articolazione spaziale e al susseguirsi delle colonne e delle volte creano il suggestivo aspetto interno della chiesa di Santa Lucia risalente ai secoli XIV e XV.

I locali, sopra la Chiesa di santa Lucia, appartenenti al Comune vennero ceduti al Monte di Pietà nel 1498, per le accresciute esigenze operative del pio istituto, il quale nella metà del Cinquecento innalzò l’edificio di un piano, e si espanse sopra la vicina chiesa di San Vito.

La spirituale armonia del luogo, avvolto dall’oscurità, accoglie il fedele e il visitatore della chiesa di Santa Lucia, dedicata al un culto della Santa siracusana le cui spoglie sono custodite a Venezia sin dal 1204. Venne martirizzata il 13 dicembre del 304 durante le persecuzioni dell’imperatore Diocleziano e nel Medioevo si diffuse la leggenda di Lucia che si strappò gli occhi. L’iconografia degli occhi sul piatto è da ricollegarsi invece alla devozione popolare che l’ha sempre invocata come protettrice della vista a causa del suo nome, Lucia da Lux, luce.

Situata accanto all’ingresso, la Cappella della Crocifissione incorpora l’affresco della Madonna del paveio (farfalla) inquadrata dai due frammenti degli Angeli reggicortina, di squisita fattura, dipinti da Tomaso da Modena nella prima metà del XIV secolo. Molto articolata risulta la decorazione delle pareti, che si divide in scomparti con le scene del Ciclo della passione di Cristo, dove la Crocefissione risulta il punto focale dell’insieme. Lateralmente, a sinistra, l’Orazione nell’orto e, a destra, l’Ultima Cena, affreschi parzialmente conservati. A compimento della narrazione l’anonimo frescante collocò sulla volta a botte la Maiestas Domini secondo la convenzionale raffigurazione di Dio Padre entro un’iride circolare sorretta da quattro angeli. La decorazione della Cappella della Crocefissione va ricondotta, per il carattere articolato dell’organizzazione spaziale, per l’impostazione delle scene di chiaro impianto altichieresco e i numerosi rimandi a invenzioni giottesche, ad un artista formatosi nell’ambito tardogotico padovano, attivo in Santa Lucia entro l’ultimo decennio del secolo XIV.

La cappella Sant’Antonio abate, occupa lo spazio della prima campata a sinistra, ed è decorata da una serie di scene dedicate alla vita del Santo. Nella parete la pala dipinta da Antonio Corazza (XX sec.) raffigura Sant’Antonio abate con il bastone a Tau, il maialino ed il fuoco nella mano.

Il ciclo delle Storie di San Cristoforo e San Giacomo maggiore si dipana nella parete dietro all’altare maggiore e nelle volte delle ultime tre campate, corrispondenti all’omonima cappella. Le ambientazioni ripropongono strutture architettoniche basilicali derivate dai modelli di Altichiero, e tipiche soluzioni paesaggistiche trecentesche derivate dai modelli giotteschi.

Ambedue i cicli di affreschi delle cappelle sono attribuibili ad una bottega di pittori formatasi nell’ambito padovano ed aperti alle innovazioni della cultura figurativa del gotico internazionale, che operarono in Santa Lucia nel primo decennio del XV secolo.

L’altare maggiore, dedicato a Santa Lucia, conserva la pala originale risalente agli inizi del XIV secolo. Il bassorilievo, in pietra d’Istria, raffigura la Santa coronata recante il vaso con gli occhi e la palma, simbolo del martirio.

La balaustra attorno all’altare maggiore è un’opera d’ambito veneziano databile ai primi decenni del XV secolo. Realizzata in pietra d’Istria, con forme ad arco lobato, reca una serie di piccole sculture di Santi effigiati a mezzobusto.

A sinistra dell’altare maggiore è murato il bassorilievo con San Cristoforo e a San Giacomo maggiore e la Crocifissione. L’opera, datata 1437, presenta l’iconografia piuttosto rara del dittico con due figure in piedi che si fronteggiano entro una architettura.

A destra dell’altare maggiore è posto l’altorilievo della Madonna del paveio (farfalla), che riproduce quasi esattamente l’affresco della Cappella della Crocifissione. L’opera, della metà del secolo XIV, rappresenta il Bambino intento a catturare una grande farfalla, simbolo dell’anima. La scultura venne donata dal podestà Lorenzo Celsi alla chiesetta di Santa Maria delle Carceri, e stilisticamente è ascrivibile alla bottega veneziana di Filippo Calendario, autore dei capitelli del Palazzo Ducale di Venezia.

Nel 1923, il restauratore trevigiano Mario Botter ha scoperto e restaurato gli affreschi trecenteschi di Santa Lucia e ha dipinto a tempera le altre volte a crociera con motivi decorativi di gusto pseudo-gotico.

Chiesa di San Gregorio Magno

Chiesa di San Gregorio Magno

Chiesa di San Gregorio Magno

Sorge nel cuore della città, alle spalle di piazza dei Signori, il carrubio medievale, già dall’XI e XII secolo la piazza cardine della vita pubblica cittadina. Un’area che corrispondeva con molta probabilità all’antico foro della Tarvisium romana, centro vitale dei commerci e nodale crocevia urbanistico di cardo e decumano.

La fondazione di questo tempio secondo lo storico Carlo Agnoletti «facilmente risale all’epoca longobarda». Non si esclude la possibilità che la chiesa avesse avuto origine tra l’ VIII secolo quando Treviso era ancora un ducato longobardo o nei successivi IX o X secolo ed è in quei secoli che si diffuse  il culto del pontefice benedettino Gregorio Magno ( Gregorio 1°  590 – 604 d.C.) al quale la chiesa è dedicata.

Furono i monaci benedettini a diffondere il  culto di questo santo papa e dottore della Chiesa e non si può escludere che anche San Gregorio di Treviso avesse avuto dei legami con questo ambiente monastico.

La data più antica che segna l’esistenza della nostra chiesa è il 1146, quando in un atto stipulato dal vescovo Gregorio di Treviso viene citato tra i fidati testimoni presenti alla stipula: “prete Bernardo di San Gregorio”.

Nel 1184, la chiesa è indicata nella bolla di papa Lucio III tra i possessi del vescovo di Treviso e nel 1312, sarà ceduta dal vescovo al Capitolo.

A testimonianza di queste note storiche si sono preservate nell’edificio delle tracce architettoniche proprio di epoca romanica: sono le monofore presenti nella parte alta della parete destra della navata. Questo tipo di apertura veniva impiegato già sul finire del secolo XI.

Altri elementi della fabbrica più antica sono le nicchie venute alla luce nel recente restauro sulle pareti dell’aula, si tratta di armarium seu sacrarium, una sorta di armadietto a muro in cui venivano riposti  e chiusi a chiave calice, patena o altri oggetti liturgici.

Ancora, un’indagine sotto il pavimento attuale ha rivelato la presenza di un precedente livello fatto in mattonelle di cotto messe in cultello, secondo una tecnica utilizzata a Treviso già dalla fine del XIII secolo per lastricare strade e piazze.

Un’antica pergamena del 1359 conserva un raro inventario antico dei beni mobili della chiesa. Essa è ben fornita di tutto ciò che serviva per il culto e le celebrazioni, con beni preziosi quali manoscritti miniati e un paramento liturgico decorato con  leoni, l’animale araldico per eccellenza carico di significati simbolici anche in ambito cristiano.

Chiesa e canonica nel 1416 erano «totaliter derupte et devastate», tanto che si temeva il crollo totale degli edifici, ma già dieci anni dopo l’edificio era di nuovo agibile considerando il fatto che vi si riuniva il collegio dei medici.

I recentissimi restauri hanno messo in luce una preziosa testimonianza di questo ripristino quattrocentesco. Si tratta del lacerto di affresco in presbiterio raffigurante l’Arcangelo Gabriele, il dipinto più antico rimasto a documentare la primitiva decorazione parietale della zona presbiteriale.

A partire dal XVI secolo la ricostruzione delle vicende della chiesa si può avvalere della preziosa fonte degli atti delle visite pastorali che, seguendo i passi del vescovo in visita al luogo sacro, passano in rassegna altari, suppellettili, sacrestia, casa canonica, cimitero, e in più danno notizie sulle scuole di arti e mestieri, sulle confraternite religiose che nella chiesa si riunivano, oltre che sul suo patrimonio economico.

Il ‘cuore’ della parrocchia si polarizzava sulla Contrada barberiorum (ora Barberia) vera estensione della vitalità, commerciale ed artigiana, della vicinissima maggiore piazza cittadina la piazza dei signori.

Nel corso del Cinquecento, viene fatto il soffitto a capriate con tavelle dipinte e il fregio affrescato sulla parte alta della navata con girali vegetali e sfingi alate, di gusto antiquario tipico dello stile definito “lombardesco” o “bramantesco”.

La scuola dei merciai a fine Cinquecento (1594-95) provvide al rinnovo del loro altare di San Silvestro che ornarono con una nuova pala commissionata al famoso pittore Ludovico Pozzoserrato, raffigurante San Silvestro I papa e i santi Liberale, Benedetto XI papa, Biagio e Girolamo Dottore della Chiesa, oggi conservata nel Duomo di Treviso nella cappella del Santissimo Sacramento.

Sempre in Duomo, nella sacrestia dei canonici, è presente un’altra pala ugualmente attribuita allo stesso pittore fiammingo raffigurante la Presentazione di Gesù al tempioche in San Gregorio ornava l’altare della scuola dei fornai.

All’inizio del Seicento (1620 circa) è datata la pala posta sull’altare maggiore, con San Gregorio Magno di Jacopo Palma il Giovane, grande protagonista della pittura sacra veneziana tardomanierista. Il santo patrono della chiesa, mirabilmente dipinto in atteggiamento benedicente, si presenta ai fedeli quale mediatore, rappresentante divino e dispensatore di grazie; è assistito da un angelo e illuminato dalla colomba dello Spirito Santo.

L’altare maggiore è più tardo rispetto al dipinto. Venne infatti costruito alla metà del Settecento. Sul timpano stanno le statue delle Virtù Teologali (Fede, Speranza e Carità). L’affresco sulla  volta soprastante, campeggia il Simbolo della Santissima Trinità  Il dipinto, molto rovinato, è un raro esempio a Treviso di decorazione rococò in ambito sacro, opera del pittore ornatista e figurista Domenico Fossati (Venezia 1743-1785).

Lo storico trevigiano Nicolò Cima a fine Seicento, definì la chiesa quantunque di non molta grandezza, è delle più vaghe e più belle Chiese che si veggano nella Città”.

Sulle pareti laterali del presbiterio due tele del bellunese Agostino Ridolfi che vi raffigurò, negli anni ottanta del XII° secolo, due episodi evangelici: Il figliol prodigo accolto dal padre e Il buon samaritano. Allo stesso pittore spetta l’ovale con l’Assunzione di Maria Vergine, sospeso al soffitto della navata in occasione del recente restauro, riproponendone  la posizione che il dipinto aveva fino al 1949, quando il controsoffitto sul quale era inserito (come documentato da una foto d’archivio) fu abbattuto all’indomani della seconda guerra mondiale con l’intervento di Mario Botter per riportare in luce il soffitto cinquecentesco a capriate.

L’altare a sinistra del maggiore é dedicato alla Madonna del Carmine. Tra il 1660 e il 1686 era mantenuto dall’omonima pia confraternita. Dopo l’allontanamento della confraternita l’altare era curato dalla scuola del Santissimo potendo contare sulle elemosine della scuola degli orefici fondata in quell’anno staccandosi dai merciai. Dal 1809 con l’introduzione di nuove devozioni l’altare venne dedicato all’Immacolata Concezione.

La statua barocca della Madonna con il Bambino è stata assegnata dallo storico dell’arte Giorgio Fossaluzza con un’inedita attribuzione a Giacomo Piazzetta. Lo scultore del tardo Seicento , nativo di Pederobba e attivo a Venezia, famoso per le sue pregevoli sculture lignee, per quelle in marmo è documentato quale autore di altre due rarissime opere che si ritrovano nella chiesa di San Michele in Isola a Venezia e nell’oratorio privato di una villa presso Feltre.

L’altare a destra del maggiore era originariamente dedicato a San Carlo. Aveva la pala, ora appesa a parete, che raffigura San Carlo Borromeo in adorazione del Crocifisso ha l’apparizione della Madonna con il Bambino dipinta dal trevigiano Ascanio Spineda entro il 1647.

L’altare di San Carlo, nel 1661 venne affidato alla cura della scuola dei “confusi”  che riuniva un insieme eterogeneo di arti, come quelle dei cartari, cestari molinari, moletta (affila coltelli), tamiseri, verieri, librai. Un secolo dopo, nel 1748, viene assegnato alla confraternita della Morte, che vi fa collocare una nuova pala raffigurante il Transito di san Giuseppe con san Carlo, dipinta da Gaspare Diziani. È il dipinto che ancor oggi orna l’altare, ma al posto della figura di san Carlo ha, sovrapposti,  i santi Filippo Neri e Agata.

Il dipinto del trevigiano Giacomo Bravo raffigurante Sant’Agata (1606), oggi appeso sulla parete destra della navata.

Il dipinto posto sulla stessa parete con San Lorenzo martire è opera molto interessante di tardo Cinquecento, attribuita agli eredi di Paolo Veronese che da un modello del grande maestro derivano direttamente la figura del santo.

Il prezioso organo del 1769, opera numero 52 di Gaetano Callido, è collocato nella rinnovata cantoria ottocentesca.

Avevano la loro sede in San Gregorio si riunivano le associazioni di arti e mestieri (osti, merciai, fornai, confusi, orefici) e le pie confraternite del Santissimo Sacramento, della Madonna del Carmine, della Morte.

Questi appunti di storia e arte ci svelano un tempio di particolare affascinante complessità, sul quale il corso della storia ha impresso, una sopra l’altra le sue impronte, lievi e pesanti. I ‘segni dell’uomo’ uno sopra l’altro dall’alto Medioevo ad oggi hanno dato forma ad una sorta di opera aperta disponibile ad essere ammirata, letta, interpretata, ‘usata’; un ambiente da rivivere con la consapevolezza di proseguire in quel luogo speciale, senza soluzione di  continuità, un millenario percorso di fede, cultura, bellezza nell’oggi e per il futuro.


Cattedrale

Cattedrale – Chiesa Madre

Le cattedrali come espressione di ciò che la fede cristiana può realizzare a livello architettonico e artistico. La fede cristiana ispira la genialità e la creatività dell’essere umano promuovendo, incoraggiando e sostenendo l’insieme dei saperi e delle arti.

La presenza della cattedrale al cuore della città contemporanea è un appello a ricordare che quando l’umanità perde la dimensione spirituale smarrisce una parte non accessoria ma essenziale e centrale di se stessa. Tra gli edifici e gli spazi pubblici della città, la cattedrale ha la vocazione di rimandare alla dimensione spirituale dandole spazio per abitarla.

Mission: La Commissione Cattedrale Treviso Eventi arte e cultura si prefigge l’intento di suscitare piattaforme di dialogo tra diverse culture attraverso le molteplici vie dell’arte.