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Genesi 1-11: il Festival biblico torna… in principio. A Treviso dal 4 al 7 maggio una ventina di appuntamenti

“L’anno scorso l’azzardo è stato di soffermarci sull’ultimo libro delle Sacre Scritture, l’Apocalisse, che narra il compimento del cammino dell’umanità e della creazione. Quest’anno andiamo, invece, all’inizio della Bibbia, apriamo il primo dei 73 libri che costituiscono la Bibbia ebraico-cristiana, il libro di Genesi e i capitoli 1-11, capitoli che raccontano l’inizio, l’origine della storia dell’umanità in un mondo creato da Dio. Ecco, penso che in un tempo come il nostro, segnato da grandi slanci, ma anche da gravi crisi, tornare ad ascoltare il messaggio biblico sull’origine dell’umanità possa essere importante e interessante per riscoprire la vocazione profonda dell’essere donne e uomini e dell’esserlo anche in rapporto al progetto e al disegno di Dio”: lo ha detto mercoledì 12 aprile, alla conferenza stampa di presentazione del Festival biblico 2023, mons. Roberto Tommasi, presidente, insieme a don Ampelio Crema, del Festival.

Ha preso quindi il via ufficialmente mercoledì 12 aprile, il Festival Biblico che, in questa sua 19ª edizione, aprirà con le sedi in provincia di Vicenza, Padova e Rovigo e il Fuori Festival ad Alba, per poi entrare nel cuore della programmazione dal 4 al 28 maggio con le città e le diocesi a oggi aderenti al progetto: Vicenza, Verona, Padova, Rovigo, Vittorio Veneto, Treviso e, per la prima volta, Chioggia.

Sarà Genesi 1-11 – che dà anche il titolo all’edizione – il filone tematico attorno al quale si articolerà la proposta culturale che il Festival, promosso da Diocesi di Vicenza e Società San Paolo, declinerà nel ricco programma di oltre 100 appuntamenti tra dialoghi, spettacoli teatrali, meditazioni, incontri biblici, passeggiate, mostre, concerti e laboratori, con l’obiettivo di stimolare una riflessione sulla vita umana nella contemporaneità alla luce delle Sacre Scritture ebraico-cristiane.

Una riflessione tanto più urgente oggi, in un tempo in cui alcuni dei grandi temi che proprio nei primi 11 capitoli del grande libro della Creazione trovano spazio – la creazione del mondo e della storia, le relazioni tra esseri viventi e la difficile fraternità tra gli uomini, la libertà, il riposo, ma anche la trasgressione, il peccato, la redenzione, il lavoro, il giudizio, la fede – ci appaiono più che mai al centro del nostro abitare il mondo e della complessa realtà che ci circonda.

Ma Genesi è anche un processo di creazione costante, mai chiusa, non definitiva – il nome stesso del libro, che deriva dal greco génesis, allude proprio alle azioni generative raccontate al suo interno – e per questo pensiamo costituisca una narrazione utile, dalla quale ripartire in questo tempo in cui molto di quanto credevamo valido e certo 
ci appare in dubbio e mostra i suoi limiti.

Dal 12 aprile al 28 maggio si svolgeranno, quindi, gli eventi dal vivo diffusi lungo la maggior parte del territorio veneto, ma la stagione culturale del Festival Biblico si arricchisce anche di un nuovo podcast: verrà, infatti, pubblicato questo venerdì 14 aprile  il primo episodio di Tensioni. Le religioni tra pace e guerra il podcast originale del Festival Biblico, in 5 puntate, presentato dal giornalista Rai Roberto Zichittella: una vera e propria esplorazione nel mondo delle religioni realizzata con la collaborazione scientifica della rivista Jesus, per indagare l’ambivalenza della religione, capace di esasperare l’identitarismo fino a soffiare sul fuoco delle divisioni, così come, all’opposto, di promuovere l’inclusione, generando comunità aperte e accoglienti. Tensioni indagherà, quindi, il ruolo della religione nei contesti sociali di alcuni tra i quadranti più “caldi” e significativi in questo momento storico: Stati Uniti, Ucraina/Russia, Libano ed Europa.

E, infine, come ogni anno, il Festival desidera ringraziare anche tutte le realtà – enti, istituzioni e aziende – che contribuiscono, a vario titolo, alla sua realizzazione e, in particolare, Regione Veneto, Fondazione Cariparo, 8X1000 Chiesa Cattolica, 8×1000 Chiesa Valdese, AGSM AIM, Fondazione Banca Popolare di Verona, Vittoria Assicurazioni, Fondazione Banca Popolare di Marostica – Volksbank, Viacqua Spa, Axera, Banca Terre Venete, Confindustria Vicenza, Gemmo impianti, Costruzioni e Ristrutturazioni edili Gobbo Restauri srl, Veneta Cucine, Fantic Motor.

 

IL FESTIVAL A TREVISO

Il Festival Biblico nella città di Treviso torna per il quarto anno consecutivo, nei giorni dal 4 al 7 maggio 2023. Ideato e promosso dalla Diocesi di Vicenza e dalla Società San Paolo, con l’adesione delle Diocesi di Treviso, Vittorio Veneto, Verona, Padova, Adria-Rovigo e Chioggia, e con la collaborazione di una nutrita rete di associazioni e realtà culturali del territorio, il Festival si propone di favorire la diffusione delle Sacre Scritture al di fuori degli spazi ecclesiali, attraverso la molteplicità di linguaggi e forme espressive che i format artistici, i dialoghi e il confronto con le diverse realtà culturali e religiose offrono. Un’agorà dove il confronto è libero e creativo e tutti possono partecipare.

Il titolo scelto per l’edizione 2023 “Genesi 1-11” è sufficiente a trasmettere l’idea portante: si tratta di un processo di creazione costante, continua, che ci fa riscoprire vulnerabili in questa terra, anch’essa fragile e bisognosa di una rinnovata custodia.

A Treviso sono stati scelti due “luoghi simbolo” attorno ai quali ruoteranno le diverse iniziative: Piazza Duomo, in cui sarà collocata per alcuni giorni un’installazione intitolata “Il bosco che ancora non c’è”, e la sede di Caritas Tarvisina, la “Casa della Carità”.

Un giardino in piazza Duomo

Il mandato di Dio all’uomo, secondo il racconto di Genesi, è molto chiaro: “Lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15). Fin dall’inizio, però, il testo biblico registra anche un altro “dato di fatto”, cioè la “signoria” dell’uomo su tutte le altre creature: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Gen 1,26). In quale modo stiamo esercitando tale “signoria”? Nella forma del “dominio” che sfrutta, distrugge e scarta, o mediante un’assunzione di responsabilità nei confronti di questo mondo che ci è affidato? Una piazza forse non è il luogo più adatto per piantare un bosco, ma l’installazione temporanea, con più di mille piante forestali pronte per essere piantumate, pone una domanda a tutti: “Come posso coltivare e custodire questo mondo che mi è affidato?”. Piazza Duomo sarà arredata con una ventina di alberi autoctoni e più di mille piantine della stessa specie pronte per essere messe a dimora. La nostra città e il nostro territorio hanno bisogno di uno sviluppo sempre maggiore di spazi “vivibili” e capaci di rigenerare l’ambiente in cui viviamo e l’aria che respiriamo. L’installazione in Piazza, fruibile sabato 6 e domenica 7 maggio, sarà animata dalla presenza di volontari pronti a dialogare con i passanti e a spiegare il senso della proposta. Tutti saranno invitati a farsi carico di “coltivare e custodire” qualcuna delle piante messe gratuitamente a disposizione: singoli cittadini, associazioni, enti privati e pubblici – saranno invitati a farsi carico di coltivarne e custodirne qualcuna. Il progetto, curato da Fondazione Benetton Studi Ricerche, è sostenuto da Coldiretti e CCIIA Treviso-Belluno. Alcuni eventi, come la passeggiata lungo i corsi d’acqua della città (per evidenziare il valore dell’acqua e del suo corretto utilizzo), nonché i laboratori, prenderanno avvio, o si svolgeranno, proprio in Piazza (tempo permettendo).

I temi di un’economia sostenibile, con Stefano Rozzoni (Economy of Francesco), e della cura del territorio saranno affrontati anche nei dialoghi con Francesco Vallerani e Teresa Bartolomei e nella presentazione del romanzo di Paolo Malaguti “Il Moro della cima”; a questi argomenti saranno dedicate anche passeggiate/visite guidate nelle zone d’acqua della città. I laboratori curati dalla rete Vicenza-Mondo permetteranno di attualizzare il racconto dei primi sette giorni della creazione.

La ricchezza delle diversità in Casa della carità nel 50°

Un secondo “luogo simbolo” sarà “Casa della Carità”, che ogni giorno mette al centro l’uomo, soprattutto il più bisognoso ed emarginato: in occasione del 50° anniversario di Caritas Tarvisina, proporrà eventi e riflessioni che favoriscano l’integrazione considerando la diversità non come un “problema”, ma come una “ricchezza”, così come insegna il racconto biblico della Torre di Babele (Gen 11,1-9). In particolare, tutte le autorità e i rappresentati delle più importanti istituzioni cittadine saranno invitati a condividere una “cena fraterna” con coloro che quotidianamente frequentano la mensa.

La pace al centro della serata inaugurale

La serata inaugurale, giovedì 4 maggio, vedrà la Lectio magistralis del prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di S. Egidio che, in dialogo con il vescovo Michele Tomasi, rifletterà sulla Pacem in terris: dopo 60 anni è ancora un sogno possibile? Sempre a partire dalle provocazioni degli attuali conflitti, il biblista Roberto Vignolo toccherà il tema scomodo de “la preghiera di chi subisce violenza”, mentre Marcello Spagnulo ci offrirà elementi per comprendere il ruolo delle nuove tecnologie aerospaziali nella gestione dei moderni conflitti.

Gli appuntamenti sono curati in collaborazione con Fondazione Imago Mundi e si inseriscono nell’ambito della mostra “La guerra è finita! La pace non è ancora iniziata” in corso alle Gallerie delle Prigioni di Treviso.

Si alterneranno, inoltre, uno spettacolo teatrale, in cui ragazzi diversamente abili saranno accompagnati da musica dei Beatles, la proiezione di un film di Olmi, mostre pittoriche “tematiche” e meditazioni bibliche legate all’arte (don Paolo Barbisan). Al contempo, si valorizzeranno le altre mostre presenti in città: oltre a quella curata da Fondazione Imago Mundi , “La guerra è finita. La pace non è ancora cominciata”, anche quella monografica su Arturo Martini al Museo Bailo. Il vertice dell’espressione artistica sarà costituito dalla straordinaria esecuzione dell’Oratorio Die Schöpfung di Haydn, con il Coro e l’Orchestra del Friuli Venezia Giulia che, il 28 maggio, chiuderà tutte le iniziative del Festival Biblico.

 

In allegato il programma dettagliato dell’edizione trevigiana 2023.

 

ENTE PROMOTORE

Festival Biblico

Opera S. Pio X – Diocesi di Treviso

 

PARTNER CULTURALI

Campagna Amica

Caritas Tarvisina

Cattedrale Treviso – Eventi Arte e Cultura

Centro di Spiritualità e Cultura “don Paolo Chiavacci”

Chiese Aperte Treviso

Fondazione Benetton Studi e Ricerche

Fondazione Cassamarca

Fondazione Imago Mundi

Fondazione Opera Pia Maurocordato

ISSR “Giovanni Paolo I”

Istituto Diocesano di Musica Sacra

Libreria Paoline

Museo Diocesano d’Arte Sacra – Treviso

Scuola di Formazione Teologica – Treviso

Seminario Vescovile di Treviso

Studio Teologico Interdiocesano Treviso-Vittorio Veneto

Ufficio Diocesano per l’Annuncio e la Catechesi – Treviso

Ufficio Diocesano per l’Arte Sacra e i Beni Culturali – Treviso

 

PATROCINI

Provincia di Treviso

Comune di Treviso

Camera di Commercio Treviso-Belluno | Dolomiti

Coldiretti Treviso


“Giovani, sognate la vostra vita!” – messaggio del Vescovo per la Giornata di preghiera per le vocazioni

Parlare di vocazione in questo periodo difficile può sembrare un lusso, o una distrazione, oppure un tentativo di pensare ad altro, almeno per un poco.
Si tratta, invece, di prendersi un poco di tempo, per aiutare voi giovani a pensare a ciò che veramente conta nella vita. Nella vostra vita. Si tratta di considerare che cosa abbia veramente valore, e quale sia il valore vero e pieno della vostra esistenza.
“Lasciate sbocciare i sogni, prendete decisioni” (CV, 143), scrive papa Francesco nell’esortazione Christus vivit pubblicata a conclusione del recente Sinodo dei giovani. Nello stesso passaggio egli scrive anche: “Non passate tutta la vostra vita davanti a uno schermo”. Passaggio quasi profetico, in questo tempo dove ancora di più quasi tutte le nostre relazioni e i contatti con il mondo esterno si svolgono – per chi può – tramite computer. Ma il nostro stare davanti agli schermi – e a maggior ragione quello di voi giovani – è ora più di prima la ricerca di contatti veri, reali, per mezzo dello schermo, al di là dello schermo, in vista di rivedersi, quanto prima, faccia a faccia. Per costruire una realtà bella, affidabile, vivibile, sostenibile, abbiamo bisogno di sogni. Abbiamo bisogno di giovani che sognino la propria vita come la risposta a una chiamata, sentita prima in modo un poco indistinto, poi sempre più chiaramente, nella propria mente, nel proprio cuore. Il Papa coglie qualcosa di molto profondo, di molto vero. Per prendere decisioni, queste devono partire da un sogno. Non da un calcolo “costi – benefici”, dalla valutazione di tutte le conseguenze, dai possibili risultati, dalla considerazione delle sicurezze cui si può arrivare in seguito a una decisione. Tutto questo può servire, forse: ma eventualmente in un secondo momento. Prenderai una decisione importante solo quando avrai sognato qualcosa di bello di cui tu sei protagonista. Tu, e tante altre persone che, grazie a te, riescono a essere felici, a dare senso alla propria vita, a fiorire, a spiccare il volo.
Seguire la propria vocazione non vuol dire che qualcuno da fuori ti dice che cosa devi o non devi fare. Seguire la propria vocazione significa che qualcuno ti aiuta a fidarti di te stesso. A cercare davvero che cosa possa fare della tua esistenza quel capolavoro che in potenza è già e che il Signore ha pensato per te dall’eternità. Lo pensa con te, lo pensa assieme a te. Lo ha pensato creandoti e pensandoti per un compito, un servizio, un bene. Lo pensa come una vita donata e costruita assieme, una vita in cui puoi mettere in gioco quanto di bello e di unico tu stai scoprendo nella tua esistenza, e non solamente per te, ma perché attorno a te ci sia sempre più vita piena, e più amore.
Parlare di vocazione, allora, è necessario. Proprio in questa nostra difficile situazione, perché la vita non si può fermare. Perché abbiamo e avremo bisogno di persone che si trovano al posto che occupano perché hanno risposto a una chiamata, e vivono la loro vita come un dono per sé e per gli altri. In ogni professione, in ogni stato di vita. Perché non possiamo rinunciare a un mondo in cui il bene di tutti viene messo al centro dell’esistenza di ciascuno, dove ogni professione cerca di aiutare gli altri a esserci, e a esserci per gli altri.
Perché abbiamo bisogno di papà e mamme che possano creare spazi di bellezza e di accoglienza per i loro figli, in un servizio reciproco che non può essere a termine.
Perché la Chiesa ha bisogno di vite che scoprano la propria bellezza nel dono di sé all’incontro con il Signore Gesù che, vivo in mezzo a noi, vuole continuare a donarsi, anche attraverso di noi. Attraverso di te. Il Signore ha bisogno di uomini e donne che si consacrino a Lui per amore, semplicemente per amore, e che con Lui siano a disposizione come segno, come strumento, come amici affidabili di tutti, senza secondi fini, senza calcoli, senza condizioni. Pensare alla tua vita come la risposta a una chiamata, a una chiamata del Dio della vita, può portarti a qualcosa cui non avevi ancora pensato, ma che poi scopri essere proprio ciò che sognavi, il senso profondo della tua vita.
Ascolta che cosa ti dice la tua chiamata. Ascolta la tua vocazione. Non è tempo perso, tutt’altro. Il sogno di felicità che c’è nel tuo cuore può realizzarsi, e lo può fare quando la tua vita diventa servizio, diventa dono, quando altre persone possono dire: è proprio bello che tu ci sei. Sei un dono grande. Un dono grande alla società, alla Chiesa, alla vita.
+ Michele, Vescovo


Messaggio del Vescovo: A Natale comincia una storia d’amore

Buon Natale! Vorrei salutarvi così, semplicemente. Senza giudizi, senza lezioni a chicchessia, senza prediche. In questo mio primo Natale a Treviso mi piacerebbe guardare negli occhi ciascuno di voi che state leggendo queste righe, sia che ci conosciamo già, almeno un poco, sia che non ci siamo ancora mai visti.

Mi piacerebbe che in questo sguardo poteste leggere fiducia, saldezza, speranza; non tanto le mie, quanto quelle che Dio stesso ci dona.
Mi piacerebbe che quel mio debole sguardo potesse trasmettere il calore che io ricevo dal sapermi amato da Dio che, creatore, si mette in mano alla sua creatura, tanto fiducioso da permetterle di rifiutarlo, di negarne persino l’esistenza, o almeno l’autentica volontà d’amore.

So che non è possibile, ma so anche che non è nemmeno necessario: è Il Signore che volge a noi il suo sguardo: è lui che ci guarda e che ci vede. Vede la nostra vita, la nostra fatica. Vede lo sforzo talvolta sovrumano di tanti per continuare a vivere e a prendersi cura, nonostante tutto, di molte altrui fragilità, pur avendo essi a loro volta bisogno di aiuto e sostegno.

Buon Natale: che la nascita del Signore Gesù Cristo sia buona per te, che ti porti bene. Così vorrei che poteste accogliere questo saluto.

Ma per tanti questo augurio rischia di incontrare solamente una pena, magari grande, antica o improvvisa, resa se possibile più acuta e lancinante dal clima festivo che quasi impone serenità e un anelito di pace che fa sentire invece inadeguati o soli, se confrontati con il limite del dolore e della morte. Penso a chi ha perso in modo improvviso una persona cara, a chi porta il peso della malattia e della solitudine, a chi in molti modi si sente scartato, abbandonato, tradito; a chi non riesce più a sperimentare fiducia e calore umano. Penso a chi non trova un posto per vivere, per sostare, per respirare in pace e in sicurezza.

Da solo non riesco a trovare le parole che possano risolvere queste e altre situazioni, o che almeno riescano a riaprire orizzonti. Non ho nemmeno da offrire a ciascuno quello sguardo di fiducia e speranza che vorrei, per quanto disarmato e impotente.

Guardo però quel bambino; lo vedo e credo che lui è Dio. In lui vedo che Dio è proprio così, indifeso, vicino, disponibile, infinito amore che mi chiama a concentrare tutta la mia vita, e anche tutta la storia del mondo in quella silenziosa presenza, in quel suo sguardo, in quella disarmata e disarmante piccolezza.

Lascio allora parlare la fede della Chiesa, le parole che chiamo a stampella della mia finitezza e del mio limite: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo” (credo Niceno-Costantinopolitano).

Noi ripetiamo queste parole ogni domenica nell’atto di fede celebrando insieme l’Eucaristia.
Sono parole su cui forse ci soffermiamo poco e che recitiamo senza più inciamparci sopra o senza sentire il bisogno di trattenere il respiro per la meraviglia, ormai anche senza più nemmeno protestare di fronte all’inaudito, senza piangere o cantare per la gratitudine o senza rimanere attoniti per l’inaspettata tenerezza di Dio che insieme sconvolge e riconcilia chi grida il proprio dolore.
Per noi uomini, e per la nostra salvezza: Gesù viene per noi, quello che Gesù fa lo fa per noi, quello che lui è lo è per noi.
Le parole della fede mi fanno riconoscere che quando Gesù pensava, valutava, decideva, agiva, lo faceva pensando a me e a noi, al mio e al nostro bene, che quando egli cresceva in sapienza e grazia lo faceva lasciandosi guidare dal suo amore per me, per noi, dal suo desiderio universale di salvezza. Ogni suo passo – andare da una parte o dall’altra, in Giudea o in Galilea, a casa dei peccatori o verso Gerusalemme, raccontare una parabola o guarire un malato, accettare la croce o rotolare la pietra dal sepolcro – tutto ciò che ha riempito la sua vita è stato determinato dalla sua intenzione di vita per me, per noi, per ogni uomo. Se lui è cresciuto ed è diventato adulto, se nella continua preghiera rivolta al Padre ha vissuto seguendo la sua chiamata; se egli è divenuto il maestro, il pastore, se ha umanizzato meravigliosamente la sua esistenza – vero uomo, vero Dio; tutto questo è avvenuto per me e per noi, per tutti, e lo ha vissuto desiderando il nostro bene, la nostra gioia. A Natale incomincia questa storia d’amore: Lui cresce per far crescere me, lui vive per far vivere me, lui mi ama per far amare me. Lui viene per me, per noi, per tutti.

E allora, semplicemente, a tutti voi: buon Natale.

+ Michele Tomasi

vescovo di Treviso

 

LA NATIVITA’ DI GESU’ DEL PADOVANINO

L’immagine è il quadro della copertina della “Vita del popolo” di Natale. Si tratta della “Natività di Gesù” di Alessandro Varotari, detto il Padovanino, conservata nella chiesa di San Teonisto a Treviso.
I volti di Maria e Giuseppe risplendono illuminati da una luce intensa che squarcia la profondità della notte. Maria solleva, con la mano sinistra, un panno bianco e mostra il bambino Gesù, che giace sul fieno: è lui la fonte della luce, quella luce che splende nell’oscurità della stalla e che le tenebre non riescono a soffocare, vincere, nascondere. Dietro a loro immancabili l’asino e il bue, mai citati dai Vangeli dell’infanzia, ripresi invece da un versetto del profeta Isaia (Is 1,3) ambientano la scena della natività e, allo stesso tempo, seguendo la lettura proposta dai padri della Chiesa, simboleggiano il popolo ebraico e i pagani che riconoscono e adorano il loro Signore. Sullo sfondo in lontananza notiamo un riverbero di quella stessa luce. È l’angelo che annuncia ai pastori la nascita del Salvatore, destandoli dal loro torpore e invitandoli a mettersi in cammino verso la mangiatoia di Betlemme. Domani Giuseppe e Maria inizieranno con il loro figlio un lungo e faticoso cammino, ma oggi i loro volti sono estatici, rapiti dalla gioia di questa nascita, di questa nuova luce, nella contemplazione del mistero di Dio che si fa bambino. (don Luca Vialetto)


Accresci in noi la fede: la richiesta dei discepoli a Gesù al centro dell’omelia del vescovo Michele

Una cattedrale gremita per l’ingresso del nuovo pastore della diocesi di Treviso, mons. Michele Tomasi. Circa 1500 le persone riunite in cattedrale e fuori, in piazza Duomo, a seguire la celebrazione sul maxischermo allestito per l’occasione. Tra loro anche una folta rappresentanza di sacerdoti e fedeli della diocesi di Bolzano – Bressanone. E molte sono state le persone che si sono collegate da casa a Telechiara e ai siti web diocesani (anche i nostri missionari dall’estero).

Un’omelia centrata sul Vangelo della XXVII domenica del Tempo ordinario, quella di mons.Tomasi, sviluppata attorno alla richiesta dei discepoli a Gesù: “Accresci in noi la fede”. Ecco il testo dell’omelia:

Cari confratelli nell’episcopato,

nel presbiterato

nel diaconato,

cari fratelli e sorelle religiosi,

cari sorelle e fratelli in Cristo,

“Accresci in noi la fede”: una bella domanda, questa dei discepoli: una domanda che ci appare questa volta sì, adeguata, giusta. Essi non chiedono, infatti, posti di privilegio o di potere, non pretendono questa volta di stare alla destra e alla sinistra del Signore. Essi gli chiedono che dia loro un “di più” di fede.

Partono da una mancanza, dalla sana consapevolezza che pur avendo seguito Gesù, pur avendo concretamente affidato a lui la loro stessa vita, ancora non sono in grado di fare il salto. Quel salto che permetta loro di dire di credere sul serio. Questa mancanza non è un bisogno da soddisfare, un vuoto da colmare con qualche atto, con un progetto, con un qualche “fare” pastorale o sociale, così che si possa poi acquietare con una risposta definita, seppur transitoria: una volta che sono sfamato sono a posto almeno sino alla prossima volta che quel vuoto si ripresenta, prepotente; una volta che la mia vita è organizzata con cura, sono a posto, tranquillo, realizzato, almeno fino alla prossima crisi.

No, questa mancanza è in una dimensione differente, si presenta ai discepoli come qualcosa di nuovo, di inedito, di sinora mai visto ma ormai chiaramente percepito: essa segnala loro qualcosa che in modo leggero, discreto, sottile tocca il profondo della loro vita: essi vivono un momento che attraverso questa domanda così improvvisa, così netta e secca rivela loro che il gioco si è fatto serio ed è decisivo: dobbiamo fare un salto di qualità, Signore, perché quanto ci chiedi ci spaventa e ci mette in grande difficoltà ma al tempo stesso non cessa di attirarci, di affascinarci.

Ecco che il Vangelo – nostra vera ed autentica guida – ci propone di fare questa richiesta: “Accresci in noi la fede”.

La domanda è posta con urgenza dai discepoli, perché poco prima il Signore li aveva richiamati con una certa durezza alla decisione radicale di non dare scandalo ai piccoli, a preferire il bene di questi anche alla propria stessa vita e poi, in rapida successione, all’esigenza altrettanto e forse ancor più radicale della continua, perseverante disponibilità al perdono, anche quando il fratello dovesse senza sosta insistere nel farci del male.

È come se ai discepoli fosse chiara la distanza tra l’esigenza evangelica e la percezione della capacità da parte loro di realizzarla: “accresci in noi la fede”, facci credere che sia possibile vivere come vuoi tu, anche se, sotto sotto, siamo convinti che non sia proprio possibile. Vorremmo crederti, Signore, ma come si fa? Non puoi pretendere davvero ciò che ci chiedi, e forse non puoi darci davvero ciò che desideriamo: davvero il bene dell’altro è così importante da diventare norma delle mie scelte e della mia vita intera? Davvero la vita dell’altro è così importante che devo sempre di nuovo permettergli nuovi spazi di esistenza, di vita?

In definitiva: posso credere in un “di più” di vita, in una profondità di senso che abbia il sapore non soltanto della soddisfazione, ma piuttosto della gioia, dell’amore?

Che cos’altro avrebbero allora potuto chiedere i discepoli?

Che altro dovremmo a nostra volta poter chiedere noi?

Non certo perché tutte le altre cose che ci viene in mente di chiedere non siano importanti – la salute, il lavoro, il bene dei figli, la consolazione per i genitori anziani, un poco di tranquillità, la serenità con i vicini. Anzi tutte queste e tante altre preoccupazioni che muovono le persone ogni giorno, che le spingono – che ci spingono – a lavorare, ad impegnarci, in una parola, a vivere, sono proprio il luogo in cui il Signore viene a visitarci e viene ad abitare con noi.

Io stesso vorrei chiedere al Signore – e glielo chiedo, ve lo confesso, in questo momento così particolare della mia vita – di poter svolgere il compito che mi viene affidato di essere vostro Vescovo con saggezza, con salda mitezza, con mite fermezza, di poter essere una buona guida per una chiesa viva e fedele qual è questa Chiesa di Treviso; voglio chiedere e chiedo di poter superare i miei limiti, o almeno di poterli rendere quanto più innocui possibile, e di poter impiegare al meglio i doni che il Signore mi ha fatto e continua a farmi.

Ma per quanto anche questa richiesta – come tante altre – sia buona, sia giusta, sia forse anche doverosa, essa non è ancora giunta al cuore di ciò che sento decisivo ed irrinunciabile, di ciò che questo momento mi chiede, ci chiede.

Fammi credere di più; fammi cogliere con la mente e con il cuore che in ogni preoccupazione, in ogni responsabilità, in ogni momento per quanto banale della vita mia e dei fratelli e delle sorelle ci sei tu che mi ami, che ci ami, tu che per ciascuno e per tutti hai donato tutto te stesso, la tua stessa vita. Fammi credere che tu sei il Signore della mia vita, della Chiesa, della storia. “Mio Signore, mio Dio”.

A questa domanda che sapientemente hai fatto affiorare, tu dai una risposta ancora più provocatoria: “Se aveste fede quanto un granello di senape”… basta così poco, dunque? E sono così debole nella fede, così povero? Quel “di più” pesa quanto un granello di senape, un nulla – del resto anche il tuo passaggio è “voce di un tenue silenzio”. Ed io non posseggo nemmeno quello. Ed è bene così, è proprio bene che non lo possegga, perché ce lo hai tu, e tu me lo doni. Perché sei tu la forza, tu il perdono, tu porti su di te il peso dello scandalo, dello scacco, del fallimento, della morte. Tu sei colui che sta in mezzo a noi come colui che serve, tu ti sei cinto il grembiule e ti sei chinato a lavare i piedi degli apostoli, nell’ultima cena. Tu sei il servo che inutile – non però uno buono a nulla, ma uno che non insegue un utile, che è gratuità pura – tu sei il servo della nostra Chiesa, della nostra gente, della nostra vita, della vita di ogni uomo.

Io, da solo, non sono neppure capace di essere un servo inutile, di essere solo e semplicemente un servo.

È tutto “inutile” allora?

No, tu ti sveli e ti riveli nella tua tenue Parola; ti lasci consumare da noi nell’Eucaristia; ti fai splendore nel volto dei piccoli e dei poveri, ti mostri all’opera nella comunità, dai luce di orientamento ai cammini della storia.

E noi? Riesci a catturarci ancora? O siamo ormai troppo pieni di noi stessi?

Ci doni oggi quel “di più” di fede?

Lascia che esso irrompa nella nostra vita, vieni a cercarci, stanaci dalle nostre paure, fa‘ che siamo “rapiti dalla tua bellezza” (“Domini pulchritudine correpti”: permettimi padre Agostino di affidarmi ora al tuo motto episcopale);

fa’, Signore, che amati riamiamo, semplicemente, cercando come sola ricompensa il tuo amore.

Signore, “Accresci in noi la fede”.


L’ingresso del vescovo Michele: una partecipazione possibile a tutti, anche da lontano

“Secondo un’antica tradizione il Vescovo eletto diviene pastore della sua Chiesa dopo che l’ha convocata per la prima volta nella sua chiesa Cattedrale e ha presieduto la Celebrazione eucaristica”: scrive così suor Monica Marighetto, direttrice dell’ufficio Liturgico diocesano presentando, nel nuovo numero della Vita del popolo, i segni e le parole di questa importante celebrazione.

Domenica 6 ottobre il vescovo Michele celebrerà la Messa in cattedrale, dunque, alle ore 16: siamo invitati a partecipare, direttamente o seguendo la diretta su Telechiara, a questo importante momento che segna l’inizio del suo ministero pastorale fra noi.

Oltre duecento i sacerdoti concelebranti. Saranno presenti i vescovi mons. Ivo Muser, vescovo di Bolzano – Bressanone e vicepresidente della Conferenza Episcopale Triveneta; mons. Paolo Magnani, vescovo emerito di Treviso; mons. Alberto Bottari De Castello, mons. Corrado Pizziolo e mons. A. Bruno Mazzocato, vescovi originari della nostra Diocesi. Prenderanno parte alla celebrazione anche altri vescovi o i loro delegati.

Partecipiamo tutti, nella preghiera e nella comunione, a questo importante momento di Chiesa. Sarà possibile farlo in cattedrale, in piazza grazie al maxischermo o da casa con le numerose dirette: su Telechiara e in streaming su www.lavitadelpopolo.it , sulla pagina facebook della Vita del popolo, e su www.diocesitv.it.


In cattedrale una pala moderna per celebrare i santi trevigiani della carità vissuti tra ‘800 e ‘900

Una nuova opera d’arte che celebra la carità e i santi e beati trevigiani che l’hanno vissuta tra Ottocento e Novecento. E’ la pala d’altare che sarà inaugurata mercoledì 2 ottobre, alle 18.45 in cattedrale, da mons. Gianfranco Agostino Gardin, amministratore apostolico della diocesi di Treviso. L’opera è dipinta dall’artista Safet Zec, artista bosniaco, italiano di adozione, riconosciuto dalla critica internazionale tra i massimi interpreti di un figurativo visionario e poetico.

L’inaugurazione è aperta a tutti coloro che desiderano partecipare.

La chiesa cattedrale, chiesa del Vescovo, chiesa madre di tutte le chiese della diocesi, è la custode dei simboli e dei santi della storia di una diocesi. Essa è cambiata nei secoli, poiché ogni epoca vi ha lasciato un’impronta e segni ancora leggibili a cominciare dal primo battistero, all’altare della confessione dei protomartiri Teonisto, Tabra e Tabrata, dalla cripta all’arca del beato Enrico divenuta altare, dalle tombe dei vescovi alle testimonianze dell’arte e delle forme della devozione che i fedeli quotidianamente esprimono nei confronti della Vergine e dei santi che vi sono venerati.

In questa lunga storia di fede e devozione troverà il suo posto la pala dell’artista Safet Zec, celebrativa dei santi della Chiesa di Treviso, vissuti tra Ottocento e Novecento, che mons. Gardin inaugurerà il prossimo 2 ottobre, alle ore 18.45 in cattedrale. Saranno rappresentati S. Pio X e i vescovi S. Giovanni Antonio Farina e il beato Andrea G. Longhin, e poi S. Maria Bertilla, suora dorotea, e S. Giuseppina Bakhita, canossiana; infine, il beato Giuseppe Toniolo. Tutti protagonisti e interpreti con le loro vite, in diversi ambiti e con i loro carismi, della carità evangelica.

 

L’artista

Pittore e incisore, Safet Zec nasce nel 1943 a Rogatica, in Bosnia-Erzegovina. Dopo gli studi compiuti alla Scuola di Arti Applicate di Sarajevo e all’Accademia di Belle Arti di Belgrado, Zec diventa la figura centrale del movimento artistico chiamato Realismo poetico.

Vive e lavora a Belgrado fino al 1989. Nei primi anni Novanta è uno degli artisti più importanti del suo paese e lo rappresenta alle maggiori esposizioni internazionali. Negli anni che seguono è di nuovo a Sarajevo, fino al 1992 quando, a causa dalla guerra che colpisce la ex Jugoslavia, è costretto a lasciare il proprio paese e arriva in Italia, prima a Udine e poi a Venezia, che diventa per lui una seconda patria. Ha il suo studio, infatti, vicino alla chiesa di San Francesco della Vigna. Espone in Italia, in Europa e negli Stati Uniti, con oltre 100 mostre all’attivo. Dalla fine del conflitto nei paesi della ex Jugoslavia, Zec ha ripreso un’assidua frequentazione con la sua terra. Lo Studio-Collezione Zec, nel cuore di Sarajevo, è stato riaperto ed è divenuto un centro di iniziative culturali, oltre che sede espositiva delle sue opere. Oggi Safet Zec vive ed opera tra Sarajevo, Pocitelj, Venezia e Parigi.

 


Il 20 settembre a San Nicolò il saluto a mons. Gardin

Venerdì 20 settembre, nel Tempio di San Nicolò – Treviso, alle ore 20.30, il vescovo Gianfranco Agostino celebrerà la S. Messa di ringraziamento al Signore nell’imminenza della conclusione del suo ministero pastorale nella nostra Chiesa.  Unitamente ai sacerdoti, i quali potranno concelebrare, sono invitati tutti i fedeli, in particolare i membri dei Consigli pastorali parrocchiali e di Collaborazione e gli operatori pastorali.

La celebrazione sarà occasione pure di un saluto filiale al vescovo da parte dell’intera Diocesi, riconoscente per il dono di quanto ha comunicato e testimoniato.


Maria ci aiuti a crescere nella fraternità, nella solidarietà, nella ricerca del vero bene

agenzia fotofilm treviso messa del cero chiesa di madonna grande

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Nella celebrazione eucaristica per la solennità dell’Assunzione di Maria, presieduta stamattina nella basilica di santa Maria Maggiore a Treviso da mons. Gianfranco Agostino Gardin, amministratore apostolico della nostra diocesi, si è rinnovato il dono del cero alla Madonna da parte dell’Amministrazione comunale della città, omaggio che richiama una tradizione di 700 anni fa.

Ecco l’omelia pronunciata da mons. Gardin:

“Carissimi fratelli e sorelle, carissimi sacerdoti, illustre Signor Sindaco, illustri membri della Giunta e del Consiglio Comunale, illustri Autorità,

sappiamo bene che il gesto dell’offerta del cero alla Vergine, compiuto ancora una volta da parte della città, per le mani del Sindaco, che ringrazio vivamente, è una tradizione che viene da lontano: da oltre 700 anni.

  1. Non possiamo non osservare che quelli erano tempi in cui esisteva un legame diverso, rispetto ad oggi, tra la comunità civile e la comunità religiosa. Vi era una specie di coincidenza, almeno esteriore, tra le due comunità. Oggi, dopo tanti anni, abbiamo imparato giustamente a separare i due ambiti, quello civile e quello religioso, in un reciproco rispetto, ma anche spesso in una reciproca e serena collaborazione. Del resto è evidente che, mentre non si può non essere cittadini, cioè membri di una comunità civile, si può invece non essere credenti, cioè membri convinti e partecipi della vita di una comunità cristiana.

Dovremmo anche dire che gli eventi che hanno determinato questo gesto di omaggio alla Vergine non appartengono più alla vita e alle condizioni odierne della città: mi riferisco al fatto, accaduto nel 1300, di aver vinto una piccola battaglia dovuta ad una contesa circa alcuni confini del comune di Treviso; e al fatto, forse più significativo, accaduto nel 1312, della deposizione di un signore della città che tiranneggiava gli abitanti di Treviso. Oggi sono altri i problemi o le vicende che ci preoccupano o che ci coinvolgono. E forse eventuali vittorie o realizzazioni della società non suscitano più il bisogno di esprimere gratitudine alla Madonna. Qualcuno, in verità, anche ad alti livelli istituzionali, è solito ringraziare la Madonna, ma, a quanto pare, per ragioni che non sembrerebbero proprio trovare il consenso o la protezione della Vergine, almeno quella vera, quella che il Vangelo, come il brano odierno, ci fa conoscere e riconoscere. Suscitando, tra l’altro, il disappunto o l’indignazione dei veri credenti.

  1. La Parola di Dio che abbiamo ascoltato, infatti, ci pone di fronte all’inno di ringraziamento che Maria innalza a Dio pensando a ciò che Egli è e compie, e ha compiuto anche in lei e per il suo popolo. Maria, di fatto, riconosce e canta due caratteristiche di Dio.

Riconosce, anzitutto, una sua opera – potremmo dire – di rovesciamento, o di capovolgimento, di tante condizioni e situazioni umane negative. Sono condizioni di vita create dalle brame e dai progetti degli uomini. L’azione di “rovesciamento” operata da Dio fa sì che i superbi vengano dispersi, i potenti siano deposti dai troni, i ricchi si ritrovino a mani vuote; mentre gli umili e gli affamati, cioè i più poveri, siano innalzati (cf. Lc 1,51-53). È quello che dichiara Gesù, quando afferma, anch’egli con un’affermazione, per così dire, “sovvertitrice”: gli ultimi diventeranno primi (cf. Mt 20,16). Potremmo dire: coloro che i comuni criteri umani pongono all’ultimo posto, per Dio sono al primo posto.

La seconda caratteristica dell’agire di Dio, riconosciuta e cantata da Maria, è la sua misericordia, che si estende «di generazione in generazione», cioè che non viene mai meno, e che è come al cuore del suo modo di essere e di agire verso di noi. “Misericordia” è il nome scritto sulla carta d’identità di Dio. Dice Maria: «ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri» (Lc 1,50.54s.). Dio non può dimenticare la misericordia perché sta al cuore del suo essere. E Paolo, parlando di Gesù, ci ricorda: «Se noi siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso» (2Tm 2,13). Non può rinnegare la sua misericordia.

  1. La preghiera di lode che Maria eleva deve ispirare anche la nostra preghiera.

Penso, in particolare, al bisogno e al dovere di ringraziare il Padre, guardando alla nostra città e alla nostra Chiesa trevigiana, per la presenza tra noi di tutti coloro che non si lasciano guidare dalla logica perversa dei forti e dei potenti che ignorano e addirittura schiacciano gli umili e i poveri, ma riconoscono e si prendono cura degli ultimi, dei sofferenti, dei piccoli, dei soli, dei rifiutati, dei disperati, di chi vive situazioni diverse di precarietà, solitudine, abbandono, sofferenza. Non mancano, anche nella nostra città, coloro che, con un cuore grande e generoso, in forme visibili o nascoste, a livelli più istituzionali o professionali o nell’intimità della loro casa, o nel volontariato, o comunque ponendosi in quelle realtà che papa Francesco definisce “periferie esistenziali”, si fanno “prossimi” verso i molti feriti dalla vita o sono resi emarginati. Tutto questo non sfugge allo sguardo paterno di Dio.

Il nostro grazie sale a Dio perché Egli continua a suscitare atteggiamenti che si ispirano al suo cuore ricco di misericordia. Penso ancora a tutti coloro che si lasciano guidare dalla compassione, dalla partecipazione alle fatiche dei più fragili, dei più sfortunati; coloro che cercano di capirli entrando nella loro storia; che sanno perdonare, ascoltare, dialogare, aiutare, accompagnare, sostenere, senza subito giudicare e condannare, magari considerandosi  giusti e puri di fronte ad empi e a malvagi.

A me pare che tutti questi modi di porsi accanto agli altri, questo farsi fratelli e sorelle miti e accoglienti dove altri vorrebbero azioni disumane per difendere la propria tranquillità, costituiscano per la città e per la società una “vittoria” di umanità e di bene assai più significativa di quella piccola vittoria armata del 1300 che motivò l’omaggio odierno rivolto a Maria.

La Vergine Assunta ci aiuti tutti, aiuti in particolare la nostra città e chi esercita in essa il servizio e la responsabilità di governo, a crescere nella fraternità, nella solidarietà, nella ricerca del vero bene. Ci apra ad una speranza attiva e condivisa.

Noi credenti fondiamo tale speranza in Dio, nel Cristo risorto che – come ci ha ricordato Paolo – è «la primizia» (1Cor 15,20) di ogni Vita vera, è la Via che ci conduce al Padre, è la Verità che illumina la nostra esistenza”.

† Gianfranco Agostino Gardin

 

 

 

 

 


Chiusura anno pastorale: venerdì 14 giugno a San Nicolò

Si avvia a conclusione l’anno pastorale. Come da tradizione, la nostra diocesi si ritrova in preghiera nel tempio di San Nicolò. L’appuntamento è fissato per venerdì 14 giugno, alle 20.30. “È l’appuntamento nel quale Vescovo, sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e fedeli laici fanno memoria di quanto vissuto nell’anno pastorale, ringraziando il Signore e affidando a lui i passi compiuti” sottolinea mons. Mario Salviato, vicario per il coordinamento della Pastorale. “Quest’anno pastorale, insieme alle consuete e molteplici iniziative e proposte, è stato caratterizzato in modo tutto speciale dal Cammino Sinodale, coinvolgendo soprattutto i Consigli pastorali parrocchiali e di Collaborazione. A loro è stato chiesto nei mesi scorsi un supplemento di impegno, ma credo ne sia valsa la pena per procedere verso gli obiettivi posti dal Cammino Sinodale e per promuovere un rinnovato stile di Chiesa” aggiunge mons. Salviato. Proprio i membri dei Consigli delle Collaborazioni e dei Consigli pastorali parrocchiali, i membri delle associazioni e dei movimenti e tutti gli operatori pastorali sono particolarmente invitati.

Raggiunti da una promessa grande: cinque giovani saranno sacerdoti

La Chiesa di Treviso è in festa. Il nostro vescovo Gianfranco Agostino, sabato 25 maggio, in Cattedrale, ordinerà preti cinque giovani del Seminario di Treviso. Davide e Giacomo, fratelli gemelli, sono entrati in Seminario all’età di 11 anni. Riccardo ha deciso di entrare in Comunità giovanile in terza superiore. Luca e Nicola hanno iniziato il loro cammino in Comunità vocazionale rispettivamente a 19 e 27 anni.

Recentemente la giornalista, un po’ stupita del fatto che ci sono 73 seminaristi, mi ha chiesto: “Come fa un ragazzo o un giovane a decidere di entrare in Seminario e diventare prete?”. Non è facile rispondere in maniera del tutto “comprensibile” ad una tale domanda! Vi sono implicati almeno tre soggetti in questa decisione: il ragazzo o il giovane, il Signore risorto e il popolo di Dio in cammino verso il regno che è la Chiesa.

Può accadere a varie età e in modi diversi che uno si senta raggiunto da una promessa grande per la sua vita. Avverte che entrare in Comunità ragazzi a undici anni – come hanno fatto Davide e Giacomo di San Zenone degli Ezzelini – può rendere la vita più ricca di gioia per la possibilità di fare un cammino con altri ragazzi che mangiano, dormono, studiano, giocano e pregano insieme. Ma è una scelta possibile anche nell’età più effervescente e improbabile come quella dell’adolescenza.

Riccardo di Spercenigo è proprio in seconda superiore che si è “sentito cercato” da Qualcuno ed ha conosciuto la Comunità giovanile del Seminario: una comunità di adolescenti che vivono da fratelli, condividendo il servizio, lo studio, la preghiera, il tempo estivo e l’itineranza verso luoghi abitati da grandi testimoni.

Anche quella vita è una vita promettente. Per altri la scelta giunge nel tempo della giovinezza, una volta concluse le scuole superiori, come per Luca di Zenson di Piave. Oppure al termine di un titolo universitario e di una esperienza di lavoro come per Nicola da Castello di Godego. Luca e Nicola sono entrati a 19 e 27 anni nella Comunità vocazionale, sentendo nel proprio intimo una possibile realizzazione della vita come preti. Questi cinque giovani hanno avuto il coraggio di muoversi verso una promessa.

Ma è fondamentale Colui che pone una tale promessa di vita nel cuore di un ragazzo o di un giovane. Se Cristo non fosse il Vivente – il Signore risorto, non si accenderebbero di passione coloro che Lui stesso chiama. Non è facile spiegare come ciò avviene. Talora è una espressione del Vangelo che fa vibrare le viscere come è avvenuto per Luca quando ha letto “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà…”; o la domanda “Mi vuoi bene?” che Gesù rivolge a Pietro udita come personalmente rivolta a sé da Riccardo. Altre volte è la passione verso i giovani e i loro sogni, come è avvenuto in Nicola, a far sentire la voce del Signore “Vieni e seguimi”. Il Signore risorto, in modo misterioso ma reale, si è fatto vicino a ciascuno, ha fatto sentire il suo sguardo di amore, e li ha interpellati personalmente invitandoli a donare la vita senza riserve come preti. Se Cristo non fosse risorto sarebbe vana la nostra fede, ha affermato l’apostolo Paolo. E noi possiamo aggiungere: se Cristo non fosse risorto neanche questi cinque giovani avrebbero mai deciso di entrare in Seminario iniziando un cammino che li sta conducendo verso l’ordinazione sacerdotale.

Vi è, infine, un terzo soggetto implicato nella loro scelta. All’inizio del rito di ordinazione, quando chiederò al Vescovo che questi cinque giovani possano essere ordinati presbiteri, lui mi porrà la seguente domanda: “Sei certo che ne siano degni?”. La mia risposta sarà: “Dalle informazioni ricevute presso il popolo cristiano e secondo il giudizio di coloro che ne hanno curato la formazione posso attestare che ne sono degni”. Il popolo cristiano è quello che li ha visti impegnati nelle esperienze pastorali delle parrocchie e realtà associative di vario tipo e che ha manifestato stima nei loro confronti. Coloro che ne hanno curato la formazione sono gli educatori e i professori del Seminario, i parroci e i vicari parrocchiali che li hanno accompagnati. Stiamo parlando di lunghi anni di formazione, durante i quali è maturata la convinzione da parte della comunità ecclesiale che questi giovani hanno le qualità per essere e vivere da preti. Non sono giovani perfetti e non sono già preparati a tutto; entrando nel ministero continueranno la formazione con l’aiuto di altri preti e delle comunità cristiane. Ma la Chiesa conferma nella fiducia che saranno adatti a svolgere il ministero. E perciò la Chiesa non li può più abbandonare, prendendosi cura di loro, specialmente quando vivranno fatiche e difficoltà.

Loro stessi, Cristo vivo e la Chiesa hanno permesso ai cinque giovani di comprendere la giusta direzione della vita: questo è ciò che conta veramente per ogni ragazzo e per ogni giovane. Padre Pino Puglisi lo ricordava con forza: “Venti, sessanta, cento anni… la vita. A che serve se sbagliamo direzione? Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come lui, annunciare il suo Amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, pagando anche di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo”.

(mons. Giuliano Brugnotto, rettore del Seminario)