Il Cantico dei Cantici visto da Marie Malherbe

Inaugurazione Mostra ‘SONG OF SONGS’ Domenica 7 luglio ore 19,00 Cannareggio 1145 CAMPO GHETTO VECCHIO – VENEZIA

L’ultima chiave

Beato chi comprende e canta i cantici delle Sacre Scritture!

Ma più beato chi canta e comprende il Cantico dei Cantici …

Origene di Alessandria

Tra una Shin e una Mem, che quasi si sfiorano – come la Sposa e lo Sposo – stanno i lavori di Marie Malherbe per Shir ha Shirim, il Cantico dei Cantici. Opere incandescenti per mille duecentocinquanta parole ebraiche d’inusitata carnalità, frutti rotondi e colorati, fioritura assoluta. Pieno è il ventre dell’amata, della passione che tutta si canta, del trasporto, della libera naturalità che Marie esprime, al suo modo dolcissimo e ieratico.

Lo specchio degli sguardi, la forza dell’elemento femminile, il tripudio della natura che accompagna i versi fa posto, tuttavia – al di là dell’equilibrio estetico – al Nascosto, all’inesprimibile. Nell’ordine del Giardino s’intravvede, ad uno sguardo appena più prolungato, un’onda di assoluto che lascia attoniti, di fronte a tanta verità. Non è lieve il Cantico dei Cantici, perché l’Amore è duro / Come la Morte. Profuma senza limiti, kol rashé besamim, nardo e zafferano, canna aromatica e incenso, ma è duro, forte, roccioso. Anche la materia di Marie, come esposta ad una luce accecante, iperdefinita nella consistenza, non lascia spazio al dubbio. È una dichiarazione d’intenti che cela, nel suo nucleo più profondo, un tesoro. Forse temibile, come si teme l’impeto vitale, il coraggio di dichiarare quell’amore totale, onnicomprensivo.

Marie Malherbe usa, nel suo procedere (tanto luminoso da sfiorare l’oscurità), la chiave prima, fondamentale, dei versi. Parla il linguaggio tenero degli innamorati, quel dodî lî wa’anî lô (il mio amato è mio e io sono sua): trentun volte è ripetuto nel Cantico, dodî, mio amato. Quasi un’eco a cacciare le tenebre, ogni notte, ogni perdita. È il rito della pura reciprocità che i versi celebrano, e l’artista accompagna con tenerezza. Vi siano profumi e libagioni per i due amanti-amati; vi siano monili, abbondanza, in un turbine circolare che li avvolge come un abbraccio e fa ruotare la visione in un’ebbrezza di tinte sontuose.

L’immagine amorosa è sospesa in un sogno, in un Presente senza ombre, in cui il tempo non è destinato a trascorrere. L’intesa perfetta della bipolarità sessuale è vista, innanzitutto, come immagine di Dio, realtà “molto buona e bella”, come sostiene Genesi 1, 27 e 31. Tondo è il ventre fertile della donna, tondi i seni, alti e pieni. Tuttavia, laddove i versi rivelano un piano di lettura differente, l’artista ci fa scorgere altro oltre la materia “molto buona e bella”. Tramite le sue opere, cogliamo il fascino assoluto della bellezza, l’armonia del reale che desidera, ed è talora un desiderio sconosciuto, inatteso. Più grande dei sensi, più complesso dell’immediatezza.

Ciò che stupisce, nel sogno lucido di Malherbe, è l’abbandono dell’oggettività. Oltre l’esegesi (che pure è puntuale), oltre lo studio della simbologia pittorica, oltre la mimesi raffinata che fa parte da sempre della struttura intellettuale di quest’artista, quello che ci tocca è la trasfigurazione delle parole, la scelta della chiave giusta per accedere al mistero. E il mistero è comunione, amore al di là del desiderio, epifania improvvisa del senso di tutte le cose. Anche durezza, certo, anche dolore, che mai ci si aspetterebbe in quel giardino di delizie in cui Marie pone le sue creature. Anche la morte, come grande incognita dei destini.

Marie Malherbe conosce quell’Oltre in cui l’amore sensuale tra un uomo e una donna si trasforma nel seme dell’amore – eterno e perfetto, questo sì capace di trascendere la morte – con cui Dio accoglie gli esseri viventi. È una trasmutazione simbolica fondamentale per comprendere anche la sospensione onirica del Cantico: amore di carne, amore d’anima, amore di fede che tutto supera e contiene allo stesso tempo.

Per questo Shir ha Shirim, che letteralmente significa “Il più alto fra i Cantici”, con valore rafforzativo, oltre a far parte del Libro dei Libri, è divenuto anche un testo fondamentale per la mistica cristiana: ce lo ricordano i Pensieri sull’amore di Dio di Santa Teresa d’Avila e, soprattutto, il Cantico spirituale di San Giovanni della Croce. Lo grida l’Estasi di Santa Teresa del Bernini, nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria, in cui la vergine amante si abbandona alla sua passione incandescente per Dio. Del mistero Marie coglie invece la pace dichiarata, l’affido totale, la meraviglia. Come il Cantico, le sue opere si svelano in tappe successive: ai nostri occhi, all’anima, alla mente che tutto ordina. Per lasciare l’ultima chiave – la più intima, la più coraggiosa – allo spirito.

Francesca Brandes