In occasione della Festa della santa famiglia, lo scorso 27 dicembre, il vescovo Michele ha presieduto la celebrazione eucaristica nella parrocchia di San Giuseppe, a Treviso. Mons. Tomasi ha voluto riflettere in particolare sulla figura di Giuseppe, patrono della comunità, affidando a tutta la diocesi questo santo come “compagno di viaggio”, insieme a Gesù e a Maria, in questo nostro tempo difficile.
Ecco l’omelia di mons. Tomasi:
Celebriamo oggi la festa della Santa Famiglia di Nazareth. Contempliamo. Contempliamo la vita umana e divina, divina e umana che in quella famiglia è accolta, vissuta, custodita, donata. Guardiamo a loro non soltanto oggi, sarebbe troppo poco. Facciamolo durante tutto l’anno, continuiamo a guardare a Gesù, a Maria a Giuseppe. Diventeremo piano piano come loro. Sembra impossibile? Diventeremo come loro. «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? […] chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,33). Ecco la traccia indicata da Gesù stesso. È possibile, ma a patto di fare la volontà del Padre. Di conoscerla. Di amarla. Di renderla feconda nella vita.
Per tutto un anno papa Francesco ci suggerisce di guardare a san Giuseppe, e assieme a lui a Maria, e con loro a Gesù. È un compito importante, serio, decisivo. E molto bello da compiere. Proprio in questo tempo difficile e sospeso in cui risultano sempre più evidenti le ambivalenze della nostra esistenza terrena, e in cui ci rendiamo conto che non esistono risposte facili alle grandi questioni della vita, ancora una volta la Parola di Dio accolta nella Chiesa ci indica una strada possibile di senso. Ci chiede di entrare, in punta di piedi, nel mondo di Dio. Entrare nella famiglia di Nazareth non è un programma ideologico, o lo sviluppo di una teoria della famiglia. È piuttosto contemplare e vivere e agire e portare la propria vita di nuovo alla fonte della rivelazione della vita divina tra noi. Dal Vangelo alla vita, da qui al Vangelo e di nuovo alla vita.
E avanti così, con calma e pazienza, con il gusto di scoprire che puoi andare ad ogni passo un po’ più in profondità, e che anche la tua vita imperfetta, precaria, fragile e complicata è già accolta, compresa ed amata in quella famiglia, Gesù, Maria, Giuseppe.
L’ascolto della Parola, della Chiesa, dei poveri, l’ascolto reciproco e quello della storia – che ho indicato come criteri di cammino per la chiesa di Treviso in quest’anno liturgico – trova nell’indizione da parte di papa Francesco di uno speciale anno di San Giuseppe (dall’ 8 dicembre di quest’anno all’8 dicembre dell’anno prossimo) una casa in cui accadere – la casa di Nazareth e una famiglia in cui crescere, la famiglia di Nazareth. Durante quest’anno si perpetua l’affidamento della Chiesa a san Giuseppe il Custode di Gesù, e ogni fedele è chiamato «sul suo esempio a rafforzare quotidianamente la propria vita di fede nel pieno compimento della volontà di Dio».
Colgo l’occasione di questa Eucarestia celebrata nella parrocchia dedicata a San Giuseppe per affidare questa intenzione di papa Francesco a voi e a tutta la Diocesi.
Non è una cosa in più da fare, o un’iniziativa tra tante.
È invece l’occasione di accorgerci che il cammino di vita che stiamo compiendo insieme, in piena pandemia, ha dei compagni di viaggio fondamentali ed irrinunciabili, pena la perdita della strada, della fiducia, della speranza. Ne va di una necessaria conversione dello sguardo e degli interessi, dall’orizzonte delle nostre paure a quelle del fondamento della nostra speranza.
Fin dalle prime fasi della pandemia abbiamo rinnovato il nostro affidamento a Maria.
A partire dalla Quaresima di quest’anno abbiamo sentito forte la presenza di Gesù risorto nella nostra storia.
Ora papa Francesco ci chiede di guardare anche a Giuseppe, l’uomo giusto e forte, il silenzioso custode, dall’iniziativa coraggiosa e creativa, obbediente ai sogni – soffio della Parola di Dio – ombra protettrice di Dio su Gesù e su Maria, e con loro sulla Chiesa, su di noi.
Vi invito con forza – e con voi invito tutta la Diocesi – a leggere e meditare la lettera apostolica di Papa Francesco Patris corde, scritta proprio per l’indizione di questo anno. È un breve e prezioso gioiello di insegnamento di fede e di vita. Magistero per la vita. Ne colgo ora con voi uno spunto soltanto.
Ma lasciatemi, prima, suggerire un atteggiamento di vita che imparo da una meditazione del beato Charles de Foucauld, che contempla in una notte di Natale di tanti anni fa il presepio, e in esso Maria e Giuseppe. In una riflessione che si fa dialogo orante il beato si rivolge a Giuseppe:
“E tu, san Giuseppe, come ti mostri un vero padre per Gesù, come Lo guardi, come lo adori! e allo stesso tempo come lo curi e lo carezzi! […] tu senti che questo Bambino divino non deve essere più sprovvisto di carezze, di tenerezze di quanto lo sono i bambini ordinari… deve piuttosto riceverne mille volte di più di qualsiasi altro… Così tutti e due lo colmate di esse. O santi genitori… La vostra notte e ormai tutta la vostra vita sono divise in due occupazioni, l’adorazione immobile e silenziosa, e le carezze, le cure sollecite e devote e tenerissime… Fate che la mia vita si conformi alla vostra, o genitori benedetti, che trascorra come la vostra ad adorare Gesù o ad agire per Lui, sempre sprofondati nel suo amore in Lui, con Lui e per Lui”.
«Adoratori e missionari» diceva il programma diocesano di qualche anno fa. Una dimensione del volto della nostra Chiesa di Treviso che rimane, questa, e che deve rimanere, che va riscoperta ed approfondita. Ne abbiamo bisogno proprio ora, che cerchiamo spaesati un orientamento alla nostra vita, alla nostra società.
Contemplativi di Dio e della sua presenza nella storia.
Non avremo modo di affrontare le crisi del tempo se non attingeremo a questa dimensione, alla «dimensione contemplativa» della vita della Chiesa, ma in fondo di ogni esistenza che voglia definirsi autenticamente umana.
Gli spunti di riflessione che il papa regala alla Chiesa nella sua lettera sono tanti, davvero. Troppi per essere ripresi tutti in una breve omelia. Ne offro uno, ora, che ci mostri un atteggiamento di fondo vitale e cruciale per noi, oggi.
Papa Francesco ci mostra san Giuseppe come «padre nell’accoglienza» e, tra l’altro, ci scrive così:
«Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Se non ci riconciliamo con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni.
La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie».
Ecco la pandemia, questo grande avvenimento di cui non comprendiamo il significato. Ed ecco la grande esortazione che il papa coglie dal profondo della sua contemplazione del mistero dell’Incarnazione, e in essa del ruolo giocato da san Giuseppe. Lasciamo da parte ciò che secondo noi dovrebbe essere, e accogliamo invece ciò che è, così come è, assumiamoci le responsabilità che ne derivano e agiamo con speranza.
Cambieremo, dovremo cambiare i modi di vivere insieme, nella Chiesa e nella società, dovremo cambiare il modo di fare politica, di vivere l’economia, dovremo mettere al centro di tutto la vita concreta delle persone, il loro diritto ad essere accolte, il bisogno di essere amate, di vedersi accettate nella propria dignità, di sviluppare la bellezza contenuta in ogni vita, in ogni esistenza. Riconciliati con questa nostra storia, cammineremo finalmente «ad occhi aperti», e senza illusioni, incominceremo ad essere veramente umani, e ricomincerà una nuova storia, che ha l’orizzonte della vita in eterno. Il Papa ci incoraggia subito dopo a essere compagni di vita e di strada affidabili e sereni per tutti, per questo tempo con le sue domande e richieste, e ci suggerisce l’atteggiamento del «coraggio creativo»:
«Esso emerge soprattutto quando si incontrano difficoltà. Infatti, davanti a una difficoltà ci si può fermare e abbandonare il campo, oppure ingegnarsi in qualche modo. Sono a volte proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere».
Ecco un bell’invito, ecco un programma di vita serio e praticabile. Non ci fermiamo, ingegniamoci a far valere le ragioni della fiducia, della solidarietà, della convivenza e del servizio. Abbiamo sicuramente più risorse di quanto siamo disposti a pensare.
E sono sicuramente di più le cose nuove che potremo fare per il bene di tutti, rispetto a quelle vecchie che non ci è più dato di vivere, e anche questo per un bene maggiore, per impedire la diffusione del contagio.
Assieme a Giuseppe, Custode coraggioso e creativo di Gesù, di Maria e della Chiesa, crediamo nel futuro di Dio e diamoci da fare, con speranza, per amore.