Ho l’impressione che sia diffusa qua e là l’idea che un Seminario sia – per dirla tra il brutale e il burlesco – un “pretificio” nel quale, “catturato” qualche giovane o ragazzo piuttosto ingenuo, gli si pratica una sorta di espianto del cervello (psicologico, s’intende), lo si sostituisce con un cervello “pretesco” e lo si lancia sul mercato del religioso. Mi sono divertito qualche volta, incontrando i giovani entrati in Comunità vocazionale, cioè dopo la maturità, a chiedere loro quali reazioni aveva suscitato nei loro compagni di università o colleghi di lavoro la notizia del loro ingresso in Seminario. In qualche caso ho ascoltato vicende e commenti, diciamo così, pittoreschi. Molti, in effetti, non sono neppure sfiorati dall’idea che – secondo le parole di papa Francesco riprodotte nel poster della Giornata del Seminario 2017 – quell’ingresso in Seminario sia avvenuto per «aver ascoltato la voce di Dio che risuona nei cuori attraverso il soffio dello Spirito».
Sarebbe interessante raccogliere dai nostri preti, di tutte le età, il racconto della loro vocazione. Di solito sono storie avvolte da quella riservatezza che giustamente protegge i segreti più cari, le relazioni più intime: non tutto può essere raccontato e neppure capito nella sua verità e densità interiore. In ogni caso, credo che quei racconti ci farebbero scoprire quanto sia grande la fantasia dello Spirito, che inventa circostanze, provoca incontri, mette in atto sante “seduzioni”, suscita desideri e sentimenti prima sconosciuti, genera atti di coraggio di cui non ci si riteneva capaci.
Tanto per raccontare qualcosa della mia storia, mi chiedo ogni tanto come ho fatto, quasi sessant’anni fa, a lasciare la mia famiglia quando avevo 14 anni per entrare in un Seminario (dei frati) a 180 chilometri dalla mia città, ritornando a casa, per una breve vacanza, solo dopo due anni. Sono convinto che non si è trattato di una decisione né disumana (una deprecabile lacerazione familiare) né eroica; però oggi credo che la determinazione con cui ho compiuto quella liberissima scelta non era solo farina del mio sacco: Qualcuno mi parlava e mi “muoveva” dentro. E’ stata, la mia, una “povera” risposta; però ho sentito di poter rispondere, e a distanza di tanti anni sono contento d’aver detto di sì.
Ma non ho risposto in totale solitudine, in una relazione con il Chiamante dove nessuno ha potuto “mettere il naso”. E’ stata una riposta accompagnata (non pilotata) da parte di chi mi ha aiutato a capire se quella voce fosse frutto soltanto di suggestioni passeggere e “autoprodotte”, se la decisione di un ragazzo poteva maturare in una decisione da adulto, se quello che io intendevo con la mia risposta era ciò che intendeva Colui che mi chiamava, se quello che io desideravo coincideva con i desideri della Chiesa che riconosce e sancisce ogni chiamata al ministero…
Ecco, allora, perché io benedico il dono del Seminario diocesano. Perché consente agli alunni che lo abitano di fare chiarezza su di sé e di comprendere meglio ciò che è davvero chiamata di Dio (magari giungendo a scelte diverse), di imparare a scegliere con libertà e responsabilità, di crescere dentro conoscendo in profondità Gesù e il suo Vangelo, di irrobustire il desiderio e l’impegno di farsi discepolo, servo, missionario, pastore, uomo del dono di sé, umile buon samaritano. Non è impegno da poco quello che svolge il Seminario: richiede energie fresche e dedizione sincera, persone capaci di stare accanto con discrezione e maturità, di accompagnare con rispetto e chiarezza di idee. C’è da ringraziare sinceramente chi vi lavora, con compiti diversi.
Ma il Seminario non è collocato in una terra irreale, “altra” rispetto a quella in cui si svolge la vita ordinaria dei cristiani della nostra Diocesi: è profondamente legato alle nostre parrocchie e ne raccoglie i frutti; è legato alle nostre famiglie, alle nostre associazioni, ai cristiani – soprattutto adulti – che “fanno” le nostre comunità, e pongono le condizioni perché «la voce di Dio che risuona nei cuori» non sia zittita, non sia sovrastata da altre voci, non sia resa “innocua” dalla convinzione che farsi prete sia una scelta stravagante e poco redditizia.
Da sempre le “sane” vocazioni al presbiterato nascono perché si scorgono modelli avvincenti di preti, perché qualcuno si fa mediatore della voce di Dio, perché la preghiera di tutti invoca il dono di “operai per la messe”. Se il Seminario svolge un prezioso lavoro nel far sì che alla Chiesa non manchino preti, non meno importante è il compito delle singole comunità cristiane, alle quali è chiesto di essere terreno buono che rende possibile il fiorire di “sì” generosi e fiduciosi a Colui che non cessa di chiamare “pescatori di uomini”.
Gianfranco Agostino Gardin
Vescovo di Treviso