“Perché in compagnia del mite vittorioso sulla morte, siamo ancora – noi ora come loro allora – a discutere di spade, di armi, di ferite inflitte, di morte donata con folle generosità?”.
C’è l’eco degli avvenimenti più recenti, c’è l’eco della guerra in Ucraina e dei tanti crocifissi della storia nell’omelia che il vescovo Tomasi ha pronunciato questa mattina in cattedrale, nella solenne celebrazione eucaristica della domenica delle Palme e della Passione del Signore.
L’inizio fuori, in piazza Duomo, con la benedizione dei rami di ulivo e con la processione, la prima dopo la pandemia, alla presenza di numerosi fedeli.
Alla lettura del Vangelo della Passione e morte di Gesù è seguita l’omelia del Vescovo, che ha espresso una lunga serie di interrogativi, di “perché”, a chiedersi il motivo per cui non facciamo scelte di vita, ma di morte.
“Nella prospettiva evangelica, – con le parole del teologo ortodosso Olivier Clement – il vero potere è quello del Dio crocifisso: […] il potere assoluto – quello di Dio, del Pantokràtor –, s’identifica con l’assoluto del dono di sé, con il sacrificio che comunica la vita agli uomini e fonda la loro libertà” ha detto il Vescovo. “Stiamo celebrando questa Parola di Dio – il primo entusiasmo accogliente di Gesù a Gerusalemme, e poi, improvvisa, la passione, il tradimento, la cecità di tutti, accecati ciascuno a modo suo dal potere, e la morte dell’innocente che accetta su di sé tutto questo per smascherare la follia e l’insensatezza del male – celebriamo tutto questo alla presenza e al cospetto del Risorto. Lo celebriamo assieme a colui che è passato attraverso tutto questo e così ha vinto la morte, e vive in mezzo a noi. Ma perché siamo ancora qui a celebrare tutto questo? Perché non riusciamo a fidarci davvero di lui, a crederlo davvero vivo, vivente in eterno, e noi con lui, solo a volerlo? Perché siamo accecati dalle lusinghe di piccoli e grandi poteri – tutti piccolissimi, in fondo, per quanto apparentemente grandiosi, tutti meschini?” si è chiesto mons. Tomasi. E ancora: Perché non comprendiamo “la sterilità di un’esistenza che uccide il giusto, espelle ogni onore, pensa di essere giusta e distrugge il legno verde? Perché non riusciamo ad essere come il buon ladrone, noi che sappiamo della vittoria della vita sulla morte, della verità di quel paradiso promesso e non gli chiediamo davvero, convinti, di donarci lui vita? Perché non ci crediamo ancora, e ci costringiamo ancora a far subire al Cristo la passione, e con lui ai tanti crocifissi della storia? Perché siamo ancora qui a celebrare tutto questo? Perché non riusciamo a fidarci davvero di Lui, a crederlo davvero vivo, vivente in eterno, e noi con lui, solo a volerlo?”.
Ed ecco la possibile risposta: “Forse perché non crediamo davvero alla risurrezione. Forse perché non amiamo ancora abbastanza la vita, e non l’amiamo perché non crediamo ancora che l’unico modo di guadagnarla sia quello di donarla. Senza se e senza ma. E questo solo e unicamente perché lui l’ha donata: sudando sangue ha accettato di donarla, l’ha donata per amore. E donandola ha vinto, ha vinto davvero la morte. Credere questo cambia la vita. Unicamente credere questo. Basta questo, ma questo è necessario”.