I sacerdoti diocesani hanno vissuto giovedì 22 maggio 2025 la tradizione Giornata di fraternità presbiterale. “Un momento di festa nel quale ringraziamo il Signore, che ci ha convocati – ha detto il vescovo Tomasi all’inizio della celebrazione eucaristica in cattedrale -, e lo ringraziamo e lodiamo perché ci ha chiamati a essere in maniera particolare fratelli tra di noi, uniti da una fraternità sacramentale che va al profondo della nostra identità e ci incammina in percorsi di solidarietà e di amicizia. Ringraziamo il Signore per tutto il bene che nel ministero ci consente di fare con il suo aiuto, testimoni della sua misericordia e del suo amore”.
La mattinata era iniziata in Seminario, da dove i sacerdoti sono partiti, a piedi, per un piccolo pellegrinaggio giubilare in cattedrale, prima della Celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo, Michele Tomasi, alla quale ha preso parte anche mons. Andrea Bruno Mazzocato, arcivescovo emerito di Udine. Tre le tappe vissute, tra ascolto della Parola, riflessione e segni: la chiamata, la professione di fede e la testimonianza.
E’ stato il Vangelo di Giovanni (15,9-11) a guidare la riflessione del Vescovo nell’omelia, ricordando che “l’amore di Gesù per noi è lo stesso che il Padre ha per Lui: senza limiti, senza condizioni, senza riserve. Infinito come l’amore eterno del Padre per il Figlio”. “La posta in gioco nella sequela del Signore non potrebbe essere più alta e preziosa – ha messo in luce mons. Tomasi -: un amore che riesca a saziare la fame e la sete di vita, di pienezza, di realizzazione. Un amore capace di vincere ogni paura, ogni solitudine, un amore che sconfigga la morte e il suo pungiglione, il peccato. Un amore che ci faccia sperimentare gioia piena, gioia vera. Un amore che non dobbiamo conquistarci perché ci è già donato senza riserve da parte di Gesù”. Un amore, però, che “ci chiede di essere accettato, accolto, che ci chiede un’obbedienza: Gesù stesso si è fatto «obbedienza piena» alla Parola del Padre, e ci indica di percorrere la stessa via: quell’obbedienza che è conseguenza immediata, inevitabile, in piena reciprocità, dell’amore che viene dal Padre”, perché – ha aggiunto il Vescovo – “se non ci lasciamo colpire dall’amore, tanto da voler rispondere in piena libertà a quanto esso ci chiede, è come se questo amore non potesse aiutarci, e giungiamo magari ad illuderci che in fondo non ci riguardi. L’obbedienza al comandamento di Gesù è obbedienza alla vita stessa, e all’amore: avviene tramite una resa, una consegna a Dio di chi sa e sente che Dio è soltanto amore”. Ma che cosa chiede concretamente quell’obbedienza? E’ Gesù stesso che ci indica il contenuto del suo comandamento, ha ricordato mons. Tomasi: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. Vedete dove ci incontriamo tra noi? Vedete dove ci incontriamo con i nostri fratelli e sorelle in Cristo? L’obbedienza piena al suo amore, ciò che ci permette di abitare nell’amore di Dio è l’amore reciproco tra di noi, fino al dono della vita gli uni per gli altri. Dimorare in Dio e comunione fraterna sono la stessa realtà. L’unico fondamento per la fraternità riconciliata, per l’amore reciproco, per la realizzazione di una «civiltà dell’amore», è la resa all’amore di Dio. È la vittoria sul dubbio e sul sospetto che Dio non ci ami veramente, è la radicale disponibilità a credere incondizionatamente all’amore di Dio per noi. Se accettiamo di essere immersi in questo amore, nasce per noi l’obbedienza al comandamento, che a sua volta genera relazioni di dedizione e di servizio tra noi e per tutti. La fraternità che oggi stiamo celebrando – ha sottolineato – è la risposta contemporaneamente libera ed inevitabile all’amore di Dio riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo”.
“È risposta libera, e quindi rischiosa: per realizzarsi ha bisogno del nostro consenso, parte da un cuore nuovo, che sappia accogliere stupito l’amore immeritato e pieno di Dio per ciascuno. Non possiamo obbedire al comandamento se non crediamo davvero di essere amati così, non ci potremo sobbarcare le fatiche della fraternità sempre imperfetta tra noi se non riuscendo a guardare alla vita, al mondo, agli altri attraverso la lente del dono di sé di Cristo sulla Croce. Senza ricondurci continuamente a Gesù e al suo amore in pensieri, parole ed opere, noi non possiamo fare nulla. E saremo al massimo soci con molti in una comunione di interessi personali, saremo forse amici di qualcuno, ma mai disposti a dare la vita per gli altri”. Non un sogno o un modello irraggiungibile, questa fraternità, secondo il Vescovo, ma addirittura “inevitabile, se abitiamo nell’amore di Cristo, se mettiamo Lui al centro di ogni scelta e di ogni desiderio, di ogni impegno e di ogni relazione, se riusciamo a cogliere nella Parola del Vangelo la forma piena di una vita che ama”.
Una fraternità che si realizza e si compie nell’Eucaristia, “in questo nostro banchetto, in questa condivisione del Pane spezzato e del vino versato. Anche se talvolta non sembra, anche se talvolta sembra non bastarci ancora, e cerchiamo altrove. È qui che dobbiamo abitare, è a questa realtà che ci dobbiamo arrendere, se solo desideriamo fraternità vera. Nella condivisione del Corpo e del Sangue di Cristo diventiamo i fratelli per i quali è bello e dolce vivere insieme, gli amici che come il Cristo, di cui sono diventati il corpo, donano la vita per il bene dei fratelli, per il bene del mondo”.
“La nostra fraternità sacerdotale che è sacramentale – radicata quindi in Cristo – è libera: chiediamo di desiderarla, di aspirare ad essa, e di accoglierla come dono – l’invito di mons. Tomasi -. La nostra fraternità sacerdotale è però anche inevitabile, se abitiamo nell’amore di Dio: rinnoviamo la gioia di essere stati pienamente accolti in quell’amore, nell’amicizia di Cristo, con l’imposizione delle mani e con l’unzione, la fonte di fraternità che “è come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste”. Chiediamo di essere fedeli sempre alla Parola del Signore, e di non essere mai separati da Lui: la nostra fraternità sarà vera e definitiva, per la nostra gioia, a servizio della venuta del Regno”.
Al termine della celebrazione, il ricordo di tutti i sacerdoti che festeggiano quest’anno un giubileo di ordinazione (vedi l’articolo dedicato), e anche dei vescovi che ricordano l’anniversario della loro ordinazione episcopale. In Seminario, poi, il pranzo condiviso.
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