E’ un elogio della mitezza, della forza della mitezza come programma di vita, come via della santità, l’omelia pronunciata questa mattina in cattedrale dal vescovo di Treviso, Michele Tomasi, in occasione della solennità di tutti i Santi.
La riflessione di mons. Tomasi partiva dal Vangelo di Matteo proclamato in questa solennità: “Beati i miti, perché avranno in eredità la terra”.
Una virtù che sembra lontana, la mitezza, da quelle che riteniamo necessarie per vivere “nel nostro tempo, così litigioso e violento” quando sappiamo che dobbiamo “lottare per prevalere”, e che la vita è “un combattimento”.
“Sì, la vita è davvero un combattimento – ha ammesso il Vescovo -. Ma non è necessario che questo venga condotto con la violenza, con la forza bruta dell’arbitrio e dell’ingiustizia. E l’inimicizia, la discordia, la lite non sono l’unica possibilità per stare in rapporto tra noi, e nemmeno l’unico modo di condurre le cose della vita, non quelle personali, non quelle familiari, e nemmeno quelle pubbliche o internazionali”.
“Forse dovrai usare la forza per difendere il debole dal violento – ha aggiunto mons. Tomasi -. Ma anche in questa risposta puoi essere mite, puoi limitarti, puoi tentare di ridurre il danno ed essere poi pronto di nuovo a vedere, ad ascoltare, a dialogare. Puoi resistere – e devi farlo, credo – al male dell’aggressione ingiusta e della violenza, senza però cedere all’istinto di annientare l’altro, anche se lui era disposto a fare lo stesso con te”. Perché “l’uomo e la donna miti, il popolo mite, la politica mite, la società mite sono forti e coraggiosi”, sul modello del “vero mite che è Gesù. Lui dice di sé: “Imparate da me, che son mite e umile di cuore” (Mt 11,29). È forte, il mite Gesù, nelle sue invettive contro chi abusa del potere religioso, ed è forte quando si lascia tradire, catturare, condurre come un malfattore, crocifiggere ed uccidere. È la forza suprema, quella che sopporta la distanza anche dal Padre per poter donare la vita a chi lo rifiuta: forza immensa, forza mite”.
“E se siamo suoi discepoli, se con Lui vogliamo essere santi, ecco il cammino, ecco il modo, ecco il programma di tutta una vita: “beati i miti”. Papa Francesco parla di «tenerezza», che non è altro che il volto luminoso della mitezza. Tenerezza che debbono vivere i discepoli, tenerezza che debbono vivere i santi”.
“Riconoscerci piccoli ed amati, piccoli e meravigliosi, piccoli e solidali è il fondamento della mitezza e della tenerezza. È il fondamento dell’amore. Perché, ascoltando ancora Papa Francesco, la tenerezza – la mitezza “è l’amore che si fa vicino e concreto. Questa è la tenerezza: abbassarsi al livello dell’altro.
Ma come può essere forte un popolo mite? Come può avere successo la tenerezza nelle relazioni umane? Come può vincere l’amore? si è chiesto il Vescovo. “Se non ci proviamo, non lo sapremo mai – la risposta -. Ma se ci proviamo, lo facciamo investendo tutta la nostra vita sulla Parola di vita del Signore, crocifisso, certo, ma risorto. Risorto davvero. Risorto nella storia degli uomini. Risorto a vita eterna. È il grande rischio della fede. Il grande rischio della santità vera. Assieme a tanti che in questa scommessa, in questo supremo rischio ci hanno preceduti, e che ci sono di modello, di guida e di sostegno”.
Nel pomeriggio, nel cimitero di San Lazzaro, a Treviso, il Vescovo ha celebrato la liturgia della Parola, insieme ai parroci della città e alla presenza di molte persone. “Come Gesù ha detto a Maria di Magdala di andare a raccontare che ha visto vincere la vita sulla morte, anche noi, se ascoltiamo il silenzio, accanto ai luoghi di mestizia, siamo chiamati a raccontare che la vita è più forte, e che nelle pieghe della nostra esistenza abbiamo visto il Signore” ha detto il Vescovo commentando il brano del Vangelo. “Come lei, apostola degli apostoli, anche noi diventiamo annunciatori di speranza e di fede nella resurrezione”, l’invito di mons. Tomasi, che è poi passato lungo i viali a benedire le tombe dei fedeli defunti.