Il Museo conserva alcune interessanti sculture a memoria dell’apparato lapideo che ornava l’antica Cattedrale medievale, il cui pezzo più significativo, il portale duecentesco, da alcunii anni è stato riassemblato e collocato all’ingresso del tempio attuale. Del periodo romanico va ricordato un tondo con il busto di Sant’Ulderico vescovo entro una cornice a tortiglione; la Croce stazionale con Gesù crocifisso e la mano benedicente, in origine collocata nell’area cimiteriale adiacente al Duomo; e ancora, il Leggio in pietra con lettorile formato dalle ali di un’aquila, ora acefala, che afferra due agnelli tra gli artigli. Più numerose sono le opere trecentesche: alcuni sarcofagi, tra cui quello con la figura del vescovo di Treviso Ubaldo Gabrielli in trono; il paliotto con Gesù Cristo redentore e i santi Pietro e Paolo; un tondo con Gesù Cristo benedicente; un Angelo reggicartiglio; un fregio con i Simboli dei quattro Evangelisti; le figure di Gesù Cristo Crocifisso, della Madonna e di San Giovanni Evangelista, frammenti di grande intensità espressiva, superstiti di un’originaria composizione raffigurante la Crocifissione. Il paliotto d’altare in legno scolpito e dorato, raffigurante il Giudizio Universale, è un capolavoro della scultura veneziana dell’ultimo quarto del Trecento. Questo pezzo unico fa parte del tesoro della Cattedrale, insieme a due esempi più tardi di arte scultorea quattrocentesca, i rilievi in alabastro con la Resurrezione di Gesù Cristo e Gesù Cristo deposto nel sepolcro usciti da bottega inglese. Infine, meritano un cenno due statue del XVIII secolo, la Madonna con Bambino proveniente dal Duomo e San Prosdocimo vescovo, che insieme ad altre tre statue di vescovi, oggi nella Biblioteca Capitolare, ornava lo scalone del Palazzo episcopale.
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Tesoro della Cattedrale
Le opere di questa raccolta, conservate per secoli in Cattedrale, costituiscono un Tesoro che si colloca tra le più importanti collezioni di oreficeria sacra del Veneto. Tra gli oggetti più antichi, dal XIII al XV secolo, rari per tipologia e preziosi per l’alta esecuzione tecnica, ci sono alcuni esemplari unici e altri pezzi enumerati tra i pochi presenti nei maggiori musei europei. Primi per collocazione cronologica: il bacolo pastorale eburneo con l’Agnello Divino sul riccio che difende la croce dal drago serpente; una coppia di legature in argento di testi liturgici, sbalzate e cesellate con la Crocifissione e figure di santi; due singolari pezzi in bronzo, l’acquamanile a foggia di leone di ambito germanico e il secchiello con decorazioni ageminate di provenienza orientale. Nel Trecento vanno collocati: il reliquiario della Passione, sapiente connubio di argento e cristallo di rocca, opera di un argentiere trevigiano; il pastorale gotico ornato di smalti con le figure in miniatura del vescovo ai piedi della Vergine sul riccio e una rara pisside lignea. Due oggetti di raffinata fattura, l’ostensorio a coppa e la pisside quattrocentesca con la statuetta del Cristo passo sul coperchio, sono stati raffigurati dal Pordenone tra le mani dei magi nell’affresco della Cappella Malchiostro in Duomo. Pezzo di straordinaria arte orafa è anche la croce processionale della Cattedrale con il Crocifisso tra i santi patroni della Chiesa trevigiana e san Pietro tra gli Evangelisti, ritratti con sorprendente evidenza plastica. Ormai nel Rinascimento, prossime a modelli di Jacopo Sansovino, si collocano le due paci con la Pietà e la Madonna con il Bambino. Infine, di assoluta evidenza per qualità artistica e valore storico e religioso, è la statua in argento di San Liberale dell’orafo veneziano Andrea Balbi, offerta in voto nel 1631 al suo santo protettore dalla città di Treviso e dal suo podestà per aver ottenuto la cessazione dell’epidemia di peste.
Tessuti
La sezione del Museo riservata ai tessili vanta un pezzo di straordinaria rilevanza: il telo da parato che avvolgeva la cassa funebre di san Parisio, il monaco camaldolese residente nel convento trevigiano di Santa Cristina morto nel 1267. Il tessuto, eseguito con la tecnica dello sciamito, presenta una decorazione di derivazione orientale sommata ad elementi simbolici del cristianesimo medievale, quali le coppie di pappagalli affrontati nell’atto di bere da un calice che si susseguono al centro degli orbicoli. Per antichità segue il paliotto in velluto della seconda metà del Quattrocento, di probabile manifattura veneziana, appartenente alla cosiddetta tipologia “a melagrana” con disegno a maglie romboidali in cui si inserisce una ricca decorazione a motivi vegetali. I paramenti liturgici esposti offrono la possibilità di ammirare diverse tipologie di questi manufatti, molti dei quali ormai entrati in disuso dal secolo scorso dopo il Concilio Vaticano II. Tra i piviali va ricordato quello con ricami in oro del vescovo Giovanni Antonio Lupi (1645-1668), il cui stemma compare nello stolone, ma anche l’esempio più recente del piviale del Capitolo dei Canonici, realizzato per il Giubileo dell’Anno Santo 1933, minuziosamente ricamato con uccelli variopinti tra fiori di passiflora. Numerosi sono i pezzi settecenteschi, tra questi le tunicelle, pianeta e stola rosse in damasco broccato con decorazione policroma “a bizare” di manifattura veneziana, mentre francese, di Lione, è il completo con pianeta, stola, velo di calice e borsa di corporale in taffetas di seta verde broccato, con una decorazione a ricercati motivi orientaleggianti distribuiti intorno a una fontana zampillante. Va infine citata la pianeta donata alla Cattedrale di Treviso da papa Pio X, che a sua volta aveva ricevuto in dono dalle suore missionarie francescane di Maria nel 1908. Le scene ricamate sulla pianeta con la Crocifissione e la Pietà di raffinato effetto pittorico sono state riprese da dipinti del pittore tedesco Friedrich Overbeck.
Affreschi
Il nucleo di opere più interessanti di questa sezione è costituito dagli affreschi staccati negli anni Sessanta del secolo scorso dal Palazzo Vescovile. I due lacerti più antichi datano al 1260 circa, sono di ambito veneziano e si richiamano ai mosaici della basilica di San Marco: uno raffigura il Martirio di san Tommaso Becket insieme all’Ingresso di Gesù in Gerusalemme e l’altro la Discesa agli inferi. Un’eccellenza è rappresentata dal Cristo passo di Tomaso da Modena della metà del Trecento. Quattrocenteschi sono, invece, due Ritratti ideali a monocromo e una singolare Veduta di Roma, oltre ad alcuni fregi con motivi fitomorfi. Di particolare interesse è anche il frammentario San Sebastiano, proveniente dall’Istituto Carolina Polacco, raro esempio della fortuna di Gentile da Fabriano a Treviso. Il Museo diocesano offre anche la singolare opportunità di ammirare nella loro originaria collocazione alcuni esempi di pittura murale profana, molto diffusa negli interni delle case trevigiane durante il Medioevo, tra XIII e XIV secolo. Sulle pareti delle sale superiori delle Canoniche Vecchie si dispiegano numerosi lacerti sopravvissuti alle varie ristrutturazioni dell’edificio: decorazioni a tappezzeria, fregi con girali, figure umane e animali fantastici. Il tema sacro è presente solo su una lunetta della parete a ridosso della Cattedrale, dove è rimasto un affresco settecentesco di Giambattista Canal con l’Immacolata tra i santi Liberale, Pietro e il beato Enrico da Bolzano, i santi protettori della Chiesa e della città di Treviso.
Pinacoteca
La Pinacoteca riunisce opere provenienti da chiese della città e del territorio della Diocesi, oltre che dal mercato antiquario. Il tema sacro nei suoi diversi aspetti trova spazio in questa raccolta attraverso un percorso che va dalla fine del XV fino al XVIII secolo. Alcuni dipinti si distinguono per il notevole valore storico-artistico, basti citare la tavola tardo quattrocentesca con il Cristo coronato di spine attribuita al siciliano Pietro de Saliba, nipote di Antonello da Messina, o la Sacra Famiglia con san Giovannino della metà del Cinquecento riferita a un seguace del toscano Domenico Beccafumi. Il Cinquecento trevigiano e veneto è rappresentato dai dipinti assegnati ai pennelli di Francesco Beccaruzzi, Francesco Dominici, Girolamo da Santacroce, Leonardo Corona, Palma il Giovane e Ludovico Pozzoserrato. Il Seicento è presente con opere di Carlo Ridolfi, Ascanio Spineda, Padovanino, Andrea Celesti e del messinese Domenico Maroli. I maestri Nicola Grassi, Antonio Arrigoni e Giambettino Cignaroli offrono infine alcuni esempi di ambito ormai settecentesco. Un capolavoro, il Ritratto di Francesco Benaglio, è l’unico dipinto di soggetto profano entrato a far parte della collezione attraverso il Capitolo della Cattedrale. Il canonico Rambaldo Avogaro degli Azzoni l’aveva acquisito per lascito testamentario dallo stesso Benaglio, il letterato magistralmente effigiato dal pittore lucchese Pompeo Batoni (1708 – 1787), tra i più importanti ritrattisti del Settecento europeo.
Archeologia
La sezione archeologica è costituita da reperti lapidei di età romana databili a partire dal I secolo dopo Cristo. La maggior parte del materiale venne in luce negli anni Quaranta del secolo scorso, nell’area delle Canoniche e in vicolo del Duomo, in occasione di lavori di ristrutturazione edilizia. Si tratta di reperti di pertinenza funeraria reimpiegati in epoca medievale nelle fondazioni degli edifici. Tra questi va citata la stele a pseudoedicola con due busti raffiguranti probabilmente una coppia di coniugi, una testa virile scolpita a tutto tondo e il fastigio di monumento a tempietto bifronte ricostruito in base ai frammenti rinvenuti. Al II secolo d. C. va riferito il sarcofago a cassa di Tito Elio Materno, veterano dei soldati della Seconda Legione Italica, e al secolo successivo l’interessante frammento di sarcofago con suonatore di siringa. Una lapide con iscrizione onoraria, già riempiegata come imposta di arco sopra il capitello di una colonna nel coro del Duomo, rinvenuta nel Settecento e poi murata nel campanile, è ora presente nel Museo quale prezioso documento per la storia della Treviso romana, a testimonianza della munificenza di quattro seviri che avevano fatto lastricare una strada con marciapiedi dal quadrivio alle mura. Degni di nota sono, infine, i due altari funerari cilindrici, in particolare quello già inglobato in un altare nella chiesa di Pero di Piave, certamente il pezzo più rilevante dal punto di vista artistico per la finezza esecutiva dei rilievi con festoni vegetali e protomi umane.