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L’arte non va in vacanza

Il Museo Diocesano di Treviso è promosso dal Centro Guide turistiche del Veneto (www.guideveneto.it) che, dal 2011, finanzia la sua visibilità attraverso articoli, eventi, mostre e visite guidate. Il servizio di apertura ed accoglienza viene invece garantito dai volontari della Tarvisium Associazione Pro Loco di Treviso (www.prolocotreviso.it). 

Il Museo, per offrire idonea accoglienza ai turisti e ai cittadini di Treviso in visita alla città, resta aperto tutta la settimana di Ferragosto.  Con l’occasione sarà aperto anche il Battistero del Duomo.

Per dettagli ed orari telefonate al 342.6138992


Il Museo tra i banchi di scuola

COME FAR CONOSCERE IL MUSEO? 

I beni culturali materiali e immateriali rappresentano l’identità e la memoria storica di un territorio e di una comunità. Al contempo costituiscono una formidabile risorsa per incontrarsi, riconoscerci, confrontarsi, aprendosi al dialogo e alla tolleranza. Obiettivo delle attività programmate è comprendere il ruolo e le funzioni del museo nella società contemporanea.
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IL MUSEO TRA I BANCHI DI SCUOLA.

L’analisi di un’opera d’arte implica l’utilizzo di più chiavi di lettura. Tutte le attività sono finalizzate a promuovere un apprendimento attivo, esplorativo, collaborativo e riflessivo. Contestualmente vengono sviluppate abilità e competenze trasversali alle varie aree disciplinari (arte e immagine, italiano, storia, geografia, religione cattolica, educazione alla cittadinanza).
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COME?

Avvicinare gli studenti all’istituzione museale, facendo cogliere le peculiarità di un museo diocesano. Acquisire strumenti per un approccio all’opera d’arte che utilizzi più chiavi di lettura. Ritrovare nel patrimonio culturale radici storiche

e spirituali appartenenti alla totalità del genere umano. Conoscere ed utilizzare termini specifici dei linguaggi disciplinari. Sperimentare diverse tecniche artistiche per creare opere personali.

La Grande Guerra: Arte e Devozione

dal 31 marzo al 21 maggio 2017 - Museo diocesano

La Tarvisium Pro Loco di Treviso in occasione della 90° Adunata degli Alpini, vuole rendere omaggio a questo valoroso corpo militare curando un’ adeguata ospitalità e raccogliendo ricordi ed espressioni artistiche che testimoniano la storia della Grande Guerra. La mostra vuole anche rendere omaggio al pittore trevigiano Gino Borsato che dedicò buona parte della sua espressione artistica al tema degli eventi bellici.
il presidente Tarvisium Associazione Pro Loco di Treviso
arch. Lucia Maria Benedetti
Presso il Museo diocesano Treviso via Canoniche, 9 – Treviso orari visite: da lunedì a giovedì 10.00-13.00 domenica 14.00-18.00 Altri giorni e orari su richiesta. Per gruppi è sempre necessaria la prenotazione. info@prolocotreviso.it – 342.6138992

Il giardino della misericordia: la mostra

Un dialogo con la contemporaneità: è l’obiettivo che si pone il museo diocesano di arte sacra ospitando la mostra delle opere di Marie Malherbe, l’autrice del ciclo pittorico che in questi mesi ha “vestito” le colonne della nostra chiesa cattedrale per valorizzarne la Porta santa in occasione del Giubileo della misericordia. L’opera è stata intitolata significativamente “Il Giardino della Misericordia”. In continuità con il percorso pensato dalla Diocesi di Treviso per celebrare il Giubileo, il Museo Diocesano presenta, quindi, la mostra: “Il giardino della Misericordia, il Giubileo visto da Marie Malherbe, le colonne ed altre opere”, che si terrà dal 15 ottobre al 27 novembre. “Se per un museo diocesano la salvaguardia del patrimonio di fede, trasmessoci da chi ci ha preceduto, è certamente un dovere imprescindibile – spiega il direttore, don Luca Vialetto – questo non va, però, inteso semplicemente come la gelosa e chiusa custodia di un patrimonio, ma come lo sforzo di rendere quell’eredità capace di parlare anche a noi oggi. Per questo il museo diocesano con le sue opere non vogliono essere percepiti solo come la bella cornice che raccoglie la mostra di Marie Malherbe ma intendono dialogare con le opere di questa artista perché nella reciproca relazione si arricchiscano vicendevolmente. In un momento come quello attuale in cui spesso, all’interno delle nostre chiese, fatichiamo a dialogare con il contemporaneo – aggiunge don Luca -, rifugiandoci in forme d’arte che probabilmente ci fanno sentire più tranquilli e sicuri, ma che spesso si limitano ad imitare o riproporre il passato, proporre una mostra come quella di Marie Malherbe vuole essere un invito al coraggio, alla ricerca e alla sperimentazione. Sperimentare nuovi linguaggi, accettando il rischio che non siano immediatamente compresi, ma, sicuramente, anche coinvolgere e affascinare, per dire all’uomo di oggi la fede di sempre”. Apertura mostra: dal 15 ottobre al 27 novembre (feriali e domenica 15-18, sabato 10-13 / 15-18).
INCONTRO CON L’ARTISTA: il 29 ottobre, alle 11.15, l’artista sarà presente al museo, per “raccontare” la mostra e il progetto del “Giardino della misericordia”.

San Liberale la statua ritrovata

Cercando tra i documenti d’archivio, quasi per caso, ci siamo imbattuti in una vecchia foto, della fine degli anni Venti, che ritraeva l’arca di San Liberale. Questa immagine mostrava come al di sopra dell’arca fosse collocata una statua in pietra del santo, che non era più presente. La foto ha subito acceso il nostro interesse e la nostra curiosità, ci siamo chiesti che fine potesse aver fatto quell’opera: era andata distrutta o dispersa, magari a seguito degli eventi bellici? Oppure era semplicemente nascosta, da qualche parte, in qualcuno degli ambienti della Cattedrale? Fortunatamente, si è scoperto che la statua c’era ancora, inventariata nella banca dati diocesana e custodita nella sacrestia della cripta, quindi molto vicino alla sua collocazione originale, ma ormai trascurata e non più riconosciuta per ciò che era. Questo sia perché le varie ridipinture e i segni lasciati dal tempo ne offuscavano il reale valore artistico, sia perché, ormai abituati a pensare al patrono di Treviso vestito come un soldato romano, non era più spontaneo riconoscerlo nel santo qui scolpito. In realtà l’abito della scultura, un’elegante tunica cinta ai fianchi dalla cintura e il mantello, la fa assomigliare maggiormente alle rappresentazioni più antiche di Liberale, come ad esempio quella che troviamo sull’arca del beato Enrico da Bolzano (attualmente usata come altare della celebrazione in Cattedrale) o ancora quella della pala d’oro di Torcello. Quest’abito effettivamente corrisponde meglio a quello di una persona appartenente a una famiglia dell’ordine equestre del periodo tardo antico, com’era san Liberale. Con il passare dei secoli il vestito del santo seguirà la moda del tempo, e il suo essere cavaliere lo porterà a portare la spada o addirittura a essere raffigurato con l’armatura, fino a quando si imporrà l’uso della rappresentazione di Liberale con la lorica (armatura tipica del soldato romano) così come lo vediamo, ad esempio nella statua d’argento, ex voto per la liberazione dalla peste del 1630 (quella dei “Promessi sposi” per capirci), che viene portata in Cattedrale nei giorni della festa del patrono e che probabilmente è per la maggior parte di noi l’immagine che spontaneamente associamo a san Liberale. Identificata l’opera si è proceduto a farla restaurare, affidando il lavoro al laboratorio di Antonio Costantini. Questo restauro si è mostrato ricco di sorprese, sotto i vari strati delle ridipinture si sono trovate le tracce di varie dorature, segno dell’importanza e della grande devozione da parte dei trevigiani nei confronti delle reliquie del loro celeste patrono. Possiamo immaginare l’effetto fortemente coinvolgente che, nella semioscurità della cripta, questa statua splendente d’oro, magari illuminata da molte candele, doveva avere sui fedeli dell’epoca. Le tracce di policromia emerse legano ulteriormente la scultura al resto dell’arca e il paziente lavoro di restauro ha rivelato la mano sapiente dello scultore, purtroppo anonimo, che nel primo Quattrocento ha dato vita a questo capolavoro. Non sappiamo quando e per quale motivo la scultura abbia perso le mani, forse è stato proprio a causa di queste mancanze che in passato si decise di toglierla dall’arca, possiamo immaginare che con la destra sorreggesse un modellino della città di Treviso, mentre lo stendardo che portava sulla sinistra è stato ritrovato nei depositi della Cattedrale e ricollocato al suo posto. Il restauro ha ridato maggiore integrità all’arca che custodisce le reliquie del patrono della città e ci ha restituito un frammento della storia religiosa e culturale della nostra diocesi, speriamo possano esserci studiosi che si dedichino alla ricerca e all’approfondimento di quest’opera che sicuramente lo merita per il suo valore artistico.

L’Adorazione dei pastori di El Greco

Lontano sulla collina, in mezzo ad un piccolo gruppo di povere case, alcuni uomini stanno fissando il cielo, il gregge che custodiscono riposa tranquillo, non ha percepito nulla di strano, mentre il cane pastore è allertato, il suo istinto l’ha avvertito e punta, deciso, il luogo da cui sta giungendo l’angelo per portare il lieto annuncio del Natale. E’ l’immagine del quadro della Natività nella parrocchia di San Michele di Piave, fino ad aprile esposta nel museo diocesano nella mostra dedicata a “Il primo El Greco e l’icona veneto cretese”. Accanto al messaggero celeste un gruppo di altri tre angeli reggono un cartiglio ormai muto, ma che facilmente intuiamo potesse raccogliere l’inno natalizio del “Gloria”. Più che volare sembrano quasi danzare, la loro armonia e il loro numero sono probabilmente un richiamo al mistero trinitario di Dio. Sotto di loro la vicenda si svolge in uno strano edificio composto in parte da antichi resti, solenni ma ormai in rovina, sui quali si innesta una semplice capanna di legno, con il tetto in paglia. E’ finita un’epoca, quella del mondo antico, con Cristo ne sta nascendo una nuova la quale troverà non più nella potenza e nella forza ma nella povertà, nella semplicità e nell’umiltà i suoi nuovi, sorprendenti, punti di forza. Leggendo l’immagine da sinistra, seguendo il verso della scrittura, l’asino e il bue sono i primi protagonisti a farci entrare nella scena, sappiamo bene che non sono citati nei testi evangelici, ma la loro è una presenza L immancabile in ogni nostro presepe da quando i padri della chiesa, riprendendo un versetto del profeta Isaia (Is 1,3), li hanno interpretati come simbolo l’uno del popolo ebraico (il bue) e l’altro dei pagani (l’asino), chiamati entrambi a riconoscere il loro Signore. La figura vigile di Giuseppe appare quasi allontanata dal centro della scena, per sottolineare che è un altro il vero Padre del bambino, ma la postura pronta e lo sguardo attento ce lo mostrano come solerte custode della santa famiglia, accanto a lui, Maria inginocchiata, incrocia le braccia al petto in segno di adorazione. A noi questo può apparire un atteggiamento troppo distaccato da parte di una madre nei confronto del proprio figlio, ma la pittura ci mostra così colei che nel frutto del suo grembo contempla anche il suo stesso creatore. Il pittore rinuncia al simbolismo suggerito dai vangeli, che parlano di un bambino avvolto in fasce, e lo dipinge completamente nudo per ricordarci la vera umanità di Gesù, Dio che si è fatto uomo accettando di essere anche bambino. Gli fanno da culla dei covoni di paglia, dorme sui resti del grano Lui che nato a Betlemme, la “casa del pane” (questo il significato del nome Betlemme), si donerà come pane per l’umanità, e la cui vita sarà seme che muore per produrre molto frutto. Il corteo dei pastori giunge da destra con i loro doni, essi che facevano parte degli ultimi nella società del tempo, sono i primi a vivere l’incontro con il Signore, segno di quella logica “rovesciata” del Regno espressa dalle beatitudini. Vestiti poveramente, i loro gesti esprimono stupore, riverenza e adorazione, portano con sé semplici doni da offrire a Gesù, in modo particolare davanti al bambino un pastore depone un agnello, legato e già pronto per il sacrificio, ci invita così a riconoscere in quel bambino l’agnello che toglie il peccato del mondo, segno pasquale che lega il mistero dell’incarnazione a quello della redenzione. Chiude la scena, il tronco tagliato di un albero da cui fiorisce un nuovo germoglio, richiamo alla profezia di Isaia sul virgulto che nascerà dal Tronco di Iesse: in questo mondo ormai morto rinasce la speranza. E’ merito del prof. Eugenio Manzato l’aver riconosciuto in questa tavola un’opera giovanile dell’artista di Candia che, lasciati gli schemi tipici del suo ambiente di provenienza, comincia a guardare alla pittura veneta e vi attinge a piene mani un nuovo linguaggio pittorico e simbolico. Il tempo ha lasciato i suoi segni su quest’opera in modo particolare lo smaltino con cui era dipinto l’azzurro del cielo è diventato trasparente dandocene così una percezione molto diversa da come doveva essere appena uscita dalle mani dell’artista, resta però una eccezionale testimonianza di quel percorso artistico di metamorfosi del genio di El Greco ed insieme, quasi una sorta di finestra attraverso la quale immergersi nel mistero del Natale.
don Luca Vialetto direttore del Museo diocesano

La statua in argento di San Liberale

Il 27 aprile 1639 la statua di San Liberale fu benedetta e portata in solenne processione con la partecipazione unanime della città, grata con il suo santo patrono per aver contribuito a sconfiggere il flagello della peste. Qualche anno prima, infatti, nel 1631, la famosa “peste manzoniana” era dilagata nelle terre della Serenissima e il podestà di Treviso, Angelo Trevisan, si era prodigato in ogni modo per salvaguardare la salute pubblica, risoluto a “non lasciare indietro rimedio alcuno, che potesse venire da humana providenza”, certo però, una volta vinto il contagio in tempi brevi, che un esito così felice fosse dovuto principalmente al “favor di Dio coadiuvato dall’intercessione del Santo protettore a cui anche si dedicarono per voto della città tre statue d’argento”. Delle tre statue nominate dal podestà, l’unica di cui è rimasta memoria è questa del Tesoro del Duomo, attualmente conservata nel Museo diocesano. San Liberale vi è raffigurato nelle vesti di un giovane soldato, con spada ed elmo appesi al fianco, fieramente eretto a chiedere l’intercessione divina reggendo il vessillo con lo stemma della città. Ai suoi piedi sono posti un putto orante e una targa incisa con l’iscrizione che attesta l’occasione della committenza, vale a dire il voto espresso al santo dai Trevigiani e da Angelo Trevisan nel 1631 per la cessazione dell’epidemia. Su un lato della base lignea su cui poggia la scultura è fissato anche il modellino della città, rappresentata in forma stilizzata attraverso alcuni elementi distintivi: la cinta muraria, a sottolineare il suo ruolo di piazzaforte; il gonfalone della Repubblica di Venezia su un alto pinnacolo e la torre civica, emblemi del potere politico; tra le chiese si può individuare il Duomo, a lato della tozza torre con cella campanaria, e la chiesa di San Nicolò ridotta ad un alto campanile cui è addossata un’abside di dimensioni accentuate. Nel modellino si nota anche la mole imponente del palazzo della nobile famiglia dei Bettignoli da Brescia, demolito nell’Ottocento, e una ruota da mulino sull’acqua, l’elemento distintivo di molteplici attività produttive sviluppate entro il centro urbano. Statua, spada e vessillo di raffinata fattura, in argento sbalzato e cesellato, sono opera dell’argentiere Andrea Balbi, operante nella bottega veneziana posta all’insegna del “Cappello”. Alla bottega del “Coraggio”, anche questa attiva a Venezia nel Seicento, spetta invece l’elmo che porta la data del 1706. Modellino, targa e putto non presentano alcun punzone di bottega. Il putto pare rifarsi ai modi di Niccolò Roccatagliata, uno scultore genovese attivo a Venezia fino al 1636. Merita un cenno, infine, un antico intervento di restauro della statua avvenuto nel 1778 per mano dall’orefice trevigiano Paolo Lazzarin. (Chiara Torresan, Scheda di catalogo; Peste e devozione nel Seicento: Treviso si rappresenta offerente a san Liberale, in Treviso. La città rappresentata, catalogo della mostra, a cura di M. E. Gerhardinger e E. Lippi, Treviso 2009, pp. 25, 106-108, con bibliografia precedente).

Santa Bona tra i santi Sebastiano e Rocco

Il dipinto, proveniente dalla chiesa parrocchiale di Santa Bona di Treviso, è opera di un tardo epigono di Giovanni Bellini, operoso soprattutto nell’entroterra veneto. Il suo linguaggio è caratterizzato dalla ripresa di modelli belliniani composti secondo schemi piuttosto tradizionali adatti a una comittenza di provincia, meno aperta alle più aggiornate evoluzioni dell’arte. Girolamo utilizza colori piuttosto brillanti che risaltano in una luce tersa che mette in evidenza i dettagli. In quest’opera è degno di nota anche l ‘elemento paesaggistico connotato da una minuzia descrittiva che riguarda altresì le nuvole cangianti che solcano l’azzurro intenso del cielo. La presenza dei santi Rocco e Sebastiano è legata all’intercessione che veniva invocata a questi due santi contro le frequenti epidemie di peste, che da Venezia si diffondevano nell’entroterra. Il dipinto, databile al secondo quarto del Cinquecento, è firmato sulla destra secondo la soluzione al trompe l’oeil del foglio di carta che divenne consueto nella pittura veneziana del Rinascimento dopo il passaggio di Antonello da Messina in laguna nel 1475-1476. (Testo di Paolo Ervas)