Archivi della categoria: Evidenza Vescovo

Messaggio: gli auguri del Vescovo

“Nel Natale di Gesù la radice di ogni nostro rinascere”

Per il Natale 2021, vi auguro di diventare voi stessi un augurio di Natale. Un augurio è l’espressione del desiderio che alla persona a cui viene rivolto accada qualcosa di bello (non voglio nemmeno prendere in considerazione auguri di male…). Ci auguriamo, quindi, semplicemente di passare bene la festa del Natale. È già molto, ci sembra quasi difficile da esprimere in tempi così complicati come i nostri, soprattutto se incontriamo persone che in vario modo vivono la precarietà dell’esistenza a causa della malattia, della solitudine, di qualche difficoltà o crisi familiare, sociale, economica. Sentiamo, a partire dalla nostra fede, che quello che si festeggia è veramente importante, e quindi desideriamo che il contenuto celebrato possa riverberarsi sull’esistenza di chi lo festeggia. A volte ci basterebbe un po’ di serenità e di quiete. Ma no, non basta ancora. Allora desideriamo per gli altri che i loro desideri più cari possano realizzarsi in quel giorno. Auguriamo in fondo che accada qualcosa che scaldi il cuore, che dia luce e calore, che regali alla vita un colore e una musica carichi di affetti, di pace, che aprano al sorriso le persone care, soprattutto quelle più provate dalla vita. Poi ci diciamo subito che la pace e la gioia non possono limitarsi ad un giorno solo.

Qualcuno ne trae la conseguenza di rinunciare del tutto agli auguri.

Andiamo invece avanti. Andiamo in profondità del nostro desiderio di bene, per noi e per gli altri. Andiamo alle radici della possibilità di questo bene: il Signore Dio prende parte alla nostra vita, diventa uno di noi, il bambino Gesù, l’uomo vero. Lui prende le nostre parti. Quelle dello scartato, del debole, del piccolo. Quelle di ciascuno di noi, di tutti. Non ci lascia più da soli, ci sostiene, ci accompagna, ci guida. Si dona. Diventa dono. Abbandonato in croce, abbraccia tutti. Risorto è veramente presente, per sempre, e apre la vita all’eternità. Lui si fa Natale, Lui si fa dono, Lui assume e realizza ogni desiderio. Lui è garanzia, fonte e meta di ogni augurio. Se metto il mio desidero di bene per chi riceve i miei auguri nel cuore del Signore Gesù, Lui è caparra di ogni mio augurio. Ed è Lui che raggiunge l’altro nel mio augurio, che non è più soltanto una formula consueta, ma diventa parola vera, che sgorga dal cuore.

E l’augurio non è più nemmeno soltanto parola, ma respiro dell’anima che mette in moto la mia disponibilità, il mio cuore e le mie mani, la mia fantasia e tutto il mio desiderio per vedere realizzato il tuo desiderio di bene.

E troverò il modo, magari semplice e discreto per farmi presente, veramente persona con te, con tutti, affinché ti possa accadere davvero qualcosa di bello, un’emozione, una luce calda, un sorriso nuovo ed insperato.

 

Nel Natale di Gesù di Nazareth, il Cristo, vero Dio e vero uomo, ci sia la radice di ogni nostro rinascere, ci sia il motivo di ogni sorriso, di ogni aiuto, di ogni gesto piccolo o grande di fraternità, ci sia il desiderio che si realizzi ogni desiderio di bene.

Auguro a noi tutti che possiamo diventare un augurio vero, incarnato.

Buon Natale!

“Viviamo l’estate come un tempo di Chiesa, un tempo di cura reciproca, di racconto e di ascolto”: lettera del Vescovo

Ai fedeli della Diocesi di Treviso

Care sorelle e cari fratelli in Cristo,

non avete certo bisogno che vi scriva per dirvi che viviamo in un tempo difficile e strano. Riceviamo e ricevete tanti messaggi, tante riflessioni. Alcuni ci fanno molto bene, altri meno, altri ancora niente affatto.

Non è ancora il tempo di bilanci. Non so e non voglio ancora dare indicazioni, linee guida, programmazioni.

Vi chiedo di fidarvi di Gesù Cristo.

Che è stato crocifisso.

Che è risorto.

Che vive, ci ama e non ci abbandona.

Questa nostra vita è mistero. Forse ci eravamo sinceramente illusi di averla in mano, di poter superare prima o poi tutti i limiti della nostra condizione umana. Se solo avessimo avuto tempo a sufficienza avremmo trovato una soluzione per tutto. Possibilmente da soli.

Poi è venuto il silenzio di queste lunghe settimane.

Il silenzio in un mondo sempre in movimento, indaffarato, di corsa. Un silenzio che abbiamo dovuto abitare in qualche modo, lasciando da parte, all’improvviso tutti i nostri soliti ritmi, cercando questa volta dentro di noi la forza per vivere un tempo così strano da non sembrare quasi reale. Per qualcuno era il silenzio di chi è stato ricoverato, senza contatto con i propri cari, e senza che loro ne potessero più sentire la voce, vedere il volto, sfiorare la mano. E nemmeno salutare, alla fine.

Per quelli tra voi che lavorano negli ospedali e nelle case di riposo è stato un carico di lavoro quasi sovrumano, e il bisogno di trovare dentro di voi la forza, i gesti e le parole che rompessero quel silenzio, che aprissero ad una lieve voce di speranza, vivendo la distanza dalla casa, dagli affetti, mossi dalla responsabilità di un lavoro svolto con dedizione estrema, convivendo con il timore di essere fonte di contagio.

Per chi ha continuato a lavorare nei servizi essenziali è stato il silenzio del percorso verso il lavoro o di ritorno a casa, nelle strade innaturalmente vuote e accompagnati sempre da un pensiero: «porterò a casa il virus?»

Per i sacerdoti è stato quasi assordante il silenzio nelle chiese in cui non hanno potuto accogliere la comunità, negli oratori vuoti. Neppure hanno potuto assistere i morenti e i soli e accompagnare i cari defunti, se non con riti essenziali e austeri, sempre comunque dignitosi e partecipi.

Alcuni tra voi avevano il peso di decisioni da prendere, o da far rispettare. Per altri c’era il peso di non poter aiutare, di sentirsi inutili e soli. Altri hanno continuato a raccontare quello che succedeva, immagini e parole contro il silenzio dell’estrema insicurezza. La scuola ha continuato a distanza, almeno per chi era collegato in rete (ma troppi mancano, ancora, a questo appello). La solidarietà ha tentato di superare ostacoli vecchi e paure ed incomprensioni nuove.

Ora siamo ripartiti, alcuni più lenti, altri più veloci.

Non c’è più quel silenzio, siamo ritornati a vederci e a parlarci.

Ma abbiamo veramente vinto il silenzio?

Le celebrazioni delle Messe sono tornate in presenza del popolo, come devono essere. Ci sono limitazioni che ci pesano, anche se vi ringrazio di cuore per la grande responsabilità che state dimostrando, con grande spirito civico e cristiano. Riusciamo però a sentire una Parola che vinca il silenzio che abbiamo vissuto? C’è una Parola che risuona ora con più forza nel nostro cuore e nella nostra mente, che ci sostiene, o ci stimola a un cambiamento, o ci sorprende, o ci consola?

Gesù che è stato crocifisso, che è risorto, che vive,

ci ama e non ci abbandona, sta davvero accanto a noi,

tu lo senti accanto a te, noi ci fidiamo insieme di lui?

Lui ha vinto la morte.

Ci credo davvero?

E questa fede cambia la mia vita, la nostra vita?

Ho il profondo desiderio che questo grande ed opprimente silenzio venga vinto nella comunità cristiana almeno – ma che bello sarebbe se accadesse in tutta la società – da un nuovo dialogo e non da vecchio rumore.

Dalla preghiera da soli o in famiglia, dalle Messe a distanza, dalle letture che abbiamo riscoperto, dai faticosi scambi a distanza, dai nostri pensieri in questo tempo dilatato portiamo con noi qualcosa che non vorremmo dimenticare?

L’unico modo per non dimenticare è raccontare. Parlarci e raccontare.

Perché se io racconto e c’è qualcuno che mi ascolta, lui o lei mi sta accogliendo, dimostra che sono importante per lei, per lui e io contraccambio, donando ciò che mi è diventato importante, che mi è servito per vivere. Perché è così che ha fatto Gesù. Per salvarci ci ha raccontato come è il Padre nostro che è nei cieli. Gesù ha portato il cielo sulla terra raccontando le parabole, parlando dei gigli nei campi, dell’amministratore disonesto, del buon samaritano, del figliol prodigo e così via. Ma il grande racconto dell’amore del Padre sono i suoi gesti: Lui che guarisce, Lui che ridona la vista, Lui che allieta una festa di nozze con un vino nuovo, Lui che lava i piedi degli apostoli, Lui che muore sulla croce.

Anche noi possiamo raccontare così l’amore di Dio.

Ed è quello che vi chiedo di fare quest’estate.

Viviamo con serietà e impegno il mestiere e la professione,

siamo attenti e generosi verso chi è più in difficoltà tra noi.

Viviamo l’estate come un tempo di Chiesa. Nel lavoro e nel riposo. Prendendoci cura gli uni degli altri, e tutti insieme dei più deboli, dei più fragili, perché nessuno debba rimanere indietro.

Abbiamo spazi e possibilità per prenderci cura dei ragazzi e dei giovani, degli anziani, delle famiglie.

Dobbiamo farlo in modo intelligente, paziente, responsabile e coraggioso.

Le comunità siano creative e si aiutino tra di loro.

Ora viviamo il tempo d’estate nelle attività possibili, ma anche prendendoci spazi e tempi per il racconto e l’ascolto.

Per le indicazioni su come vivere il periodo di attività che seguirà l’estate ho chiesto lo stesso sforzo di racconto e di ascolto ai consigli e agli organismi della Diocesi. Il Consiglio presbiterale raccoglierà il punto di vista dei sacerdoti, il Consiglio pastorale diocesano quello delle comunità, delle parrocchie e delle collaborazioni pastorali. La Commissione per l’accompagnamento del cammino sinodale sta riflettendo su cosa possiamo prendere con noi di buono del lungo cammino sinodale che la Diocesi ha percorso negli ultimi anni per continuare davvero tutti insieme, come discepoli di Cristo in questo nostro tempo. Sarà importante il contributo dei laici associati e dei fedeli tutti. Ci farà bene sentire l’esperienza delle consacrate, dei consacrati e dei diaconi permanenti. Sarà un guadagno se riusciremo a dare ascolto all’esperienza che stanno facendo i missionari e le missionarie della nostra Diocesi che vivono la pandemia in contesti ben più critici del nostro e che potranno anche condividere lo sguardo e la voce di altre chiese, di altre povertà. Gli Uffici di curia aiuteranno a raccogliere i frutti di questo ascolto.

Se avremo la pazienza di questi passi, senza tornare a correre come se nulla fosse stato, potremo davvero prenderci cura insieme di una società che più che di ri-partire ha bisogno di ri-generarsi, di mettere al mondo vita nuova. Di diventare sempre più umana.

Non possiamo ripartire da vecchi schemi bensì da nuove solidarietà,

non da visioni dell’interesse personale che hanno fatto il loro tempo,

ma dalla comune responsabilità verso questo mondo meraviglioso

e fragile.

Ma tutto questo sarà possibile soltanto, e lo chiedo ancora a tutti noi, se ci fidiamo di Gesù Cristo. Che è stato crocifisso. Che è risorto. Che vive, ci ama e non ci abbandona. E che è fondamento sicuro di una speranza che non delude.

Uniti nella preghiera e nell’amore di Cristo

Treviso, 18 giugno 2020

✠ Michele, Vescovo

 

 

Una preghiera per tutti coloro che sono morti durante questo tempo

Una preghiera per tutti coloro che sono morti durante il periodo di sospensione, durante il lungo blocco di ogni attività e delle celebrazioni eucaristiche comunitarie, tra cui i funerali. Sarà recitata domenica nelle parrocchie, dai sacerdoti e dalle comunità cristiane.

Il Vescovo Michele, infatti, ha ritenuto di porre un segno diocesano, disponendo che nelle messe di domenica 14 giugno, solennità del Corpus Domini, in tutta la Diocesi si ricordino i morti di questo tempo di pandemia, affidandoli al Signore con una preghiera di intercessione. Lui lo farà in cattedrale, durante la celebrazione delle 10.30.

Lo scorso 27 marzo mons. Tomasi aveva fatto una preghiera particolare nel cimitero cittadino di San Lazzaro, da solo (nella foto). Una preghiera e la recita del Rosario meditando la morte in croce e la risurrezione di Cristo, e affidando al Padre tutti coloro che ci hanno lasciato senza che i propri cari e la comunità tutta potesse accompagnarli con la preghiera e la vicinanza. Mons. Tomasi aveva poi invocato lo Spirito perché portasse consolazione a quanti restano nel pianto e nel dolore. Infine, la benedizione delle tombe.

Un gesto di pietà e di preghiera che il vescovo aveva compiuto, in comunione con gli altri Vescovi italiani e con il Papa, e in particolare comunione di fede e di preghiera con la Diocesi di Bergamo, tanto colpita da questo male.

Ecco la preghiera che sarà recitata domenica 14 giugno

 

Solennità del santissimo corpo e Sangue di Cristo

14 giugno 2020

 

O Padre,

noi ricordiamo e ti affidiamo tutti coloro che sono morti e che hanno lasciato questo mondo nel lungo periodo di sospensione.

Preghiamo per i nostri cari che, colpiti dal Coronavirus, non hanno avuto accanto nessun familiare o amico.

Ti lodiamo per tutte le persone – medici, infermieri, operatori socio sanitari – che accanto a loro sono stati professionali e generosi, delicati e pietosi, vicini, talvolta con una preghiera o un segno di benedizione. Sempre profondamente umani.

Ti affidiamo tutti coloro che in questo tratto di strada non hanno potuto avere a salutarli che poche persone. La comunità – anche se distante – era presente in preghiera, e sempre con il sacerdote pastore.

Consola ed accompagna con la tua tenera misericordia chi è rimasto e non ha potuto rinnovare un saluto, chi è stato solo nelle lacrime e nel dolore, e nel rimpianto almeno di uno sguardo, di un tocco, di una carezza.

“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Essi ti rivolgono il grido stesso del tuo Figlio crocifisso.

Dona loro la grazia di sentire vicino il tuo Figlio risorto, e lo Spirito consolatore ci unisca tutti, nella beata speranza della Risurrezione: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

 

✠ Michele, Vescovo

 

L’eterno riposo dona loro Signore, e splenda ad essi la luce perpetua, riposino in pace. Amen

Io sono la risurrezione e la vita.
Chi crede in me anche se muore vivrà;
e chiunque vive e crede in me,
non morrà in eterno.

Accresci in noi la fede: la richiesta dei discepoli a Gesù al centro dell’omelia del vescovo Michele

Una cattedrale gremita per l’ingresso del nuovo pastore della diocesi di Treviso, mons. Michele Tomasi. Circa 1500 le persone riunite in cattedrale e fuori, in piazza Duomo, a seguire la celebrazione sul maxischermo allestito per l’occasione. Tra loro anche una folta rappresentanza di sacerdoti e fedeli della diocesi di Bolzano – Bressanone. E molte sono state le persone che si sono collegate da casa a Telechiara e ai siti web diocesani (anche i nostri missionari dall’estero).

Un’omelia centrata sul Vangelo della XXVII domenica del Tempo ordinario, quella di mons.Tomasi, sviluppata attorno alla richiesta dei discepoli a Gesù: “Accresci in noi la fede”. Ecco il testo dell’omelia:

Cari confratelli nell’episcopato,

nel presbiterato

nel diaconato,

cari fratelli e sorelle religiosi,

cari sorelle e fratelli in Cristo,

“Accresci in noi la fede”: una bella domanda, questa dei discepoli: una domanda che ci appare questa volta sì, adeguata, giusta. Essi non chiedono, infatti, posti di privilegio o di potere, non pretendono questa volta di stare alla destra e alla sinistra del Signore. Essi gli chiedono che dia loro un “di più” di fede.

Partono da una mancanza, dalla sana consapevolezza che pur avendo seguito Gesù, pur avendo concretamente affidato a lui la loro stessa vita, ancora non sono in grado di fare il salto. Quel salto che permetta loro di dire di credere sul serio. Questa mancanza non è un bisogno da soddisfare, un vuoto da colmare con qualche atto, con un progetto, con un qualche “fare” pastorale o sociale, così che si possa poi acquietare con una risposta definita, seppur transitoria: una volta che sono sfamato sono a posto almeno sino alla prossima volta che quel vuoto si ripresenta, prepotente; una volta che la mia vita è organizzata con cura, sono a posto, tranquillo, realizzato, almeno fino alla prossima crisi.

No, questa mancanza è in una dimensione differente, si presenta ai discepoli come qualcosa di nuovo, di inedito, di sinora mai visto ma ormai chiaramente percepito: essa segnala loro qualcosa che in modo leggero, discreto, sottile tocca il profondo della loro vita: essi vivono un momento che attraverso questa domanda così improvvisa, così netta e secca rivela loro che il gioco si è fatto serio ed è decisivo: dobbiamo fare un salto di qualità, Signore, perché quanto ci chiedi ci spaventa e ci mette in grande difficoltà ma al tempo stesso non cessa di attirarci, di affascinarci.

Ecco che il Vangelo – nostra vera ed autentica guida – ci propone di fare questa richiesta: “Accresci in noi la fede”.

La domanda è posta con urgenza dai discepoli, perché poco prima il Signore li aveva richiamati con una certa durezza alla decisione radicale di non dare scandalo ai piccoli, a preferire il bene di questi anche alla propria stessa vita e poi, in rapida successione, all’esigenza altrettanto e forse ancor più radicale della continua, perseverante disponibilità al perdono, anche quando il fratello dovesse senza sosta insistere nel farci del male.

È come se ai discepoli fosse chiara la distanza tra l’esigenza evangelica e la percezione della capacità da parte loro di realizzarla: “accresci in noi la fede”, facci credere che sia possibile vivere come vuoi tu, anche se, sotto sotto, siamo convinti che non sia proprio possibile. Vorremmo crederti, Signore, ma come si fa? Non puoi pretendere davvero ciò che ci chiedi, e forse non puoi darci davvero ciò che desideriamo: davvero il bene dell’altro è così importante da diventare norma delle mie scelte e della mia vita intera? Davvero la vita dell’altro è così importante che devo sempre di nuovo permettergli nuovi spazi di esistenza, di vita?

In definitiva: posso credere in un “di più” di vita, in una profondità di senso che abbia il sapore non soltanto della soddisfazione, ma piuttosto della gioia, dell’amore?

Che cos’altro avrebbero allora potuto chiedere i discepoli?

Che altro dovremmo a nostra volta poter chiedere noi?

Non certo perché tutte le altre cose che ci viene in mente di chiedere non siano importanti – la salute, il lavoro, il bene dei figli, la consolazione per i genitori anziani, un poco di tranquillità, la serenità con i vicini. Anzi tutte queste e tante altre preoccupazioni che muovono le persone ogni giorno, che le spingono – che ci spingono – a lavorare, ad impegnarci, in una parola, a vivere, sono proprio il luogo in cui il Signore viene a visitarci e viene ad abitare con noi.

Io stesso vorrei chiedere al Signore – e glielo chiedo, ve lo confesso, in questo momento così particolare della mia vita – di poter svolgere il compito che mi viene affidato di essere vostro Vescovo con saggezza, con salda mitezza, con mite fermezza, di poter essere una buona guida per una chiesa viva e fedele qual è questa Chiesa di Treviso; voglio chiedere e chiedo di poter superare i miei limiti, o almeno di poterli rendere quanto più innocui possibile, e di poter impiegare al meglio i doni che il Signore mi ha fatto e continua a farmi.

Ma per quanto anche questa richiesta – come tante altre – sia buona, sia giusta, sia forse anche doverosa, essa non è ancora giunta al cuore di ciò che sento decisivo ed irrinunciabile, di ciò che questo momento mi chiede, ci chiede.

Fammi credere di più; fammi cogliere con la mente e con il cuore che in ogni preoccupazione, in ogni responsabilità, in ogni momento per quanto banale della vita mia e dei fratelli e delle sorelle ci sei tu che mi ami, che ci ami, tu che per ciascuno e per tutti hai donato tutto te stesso, la tua stessa vita. Fammi credere che tu sei il Signore della mia vita, della Chiesa, della storia. “Mio Signore, mio Dio”.

A questa domanda che sapientemente hai fatto affiorare, tu dai una risposta ancora più provocatoria: “Se aveste fede quanto un granello di senape”… basta così poco, dunque? E sono così debole nella fede, così povero? Quel “di più” pesa quanto un granello di senape, un nulla – del resto anche il tuo passaggio è “voce di un tenue silenzio”. Ed io non posseggo nemmeno quello. Ed è bene così, è proprio bene che non lo possegga, perché ce lo hai tu, e tu me lo doni. Perché sei tu la forza, tu il perdono, tu porti su di te il peso dello scandalo, dello scacco, del fallimento, della morte. Tu sei colui che sta in mezzo a noi come colui che serve, tu ti sei cinto il grembiule e ti sei chinato a lavare i piedi degli apostoli, nell’ultima cena. Tu sei il servo che inutile – non però uno buono a nulla, ma uno che non insegue un utile, che è gratuità pura – tu sei il servo della nostra Chiesa, della nostra gente, della nostra vita, della vita di ogni uomo.

Io, da solo, non sono neppure capace di essere un servo inutile, di essere solo e semplicemente un servo.

È tutto “inutile” allora?

No, tu ti sveli e ti riveli nella tua tenue Parola; ti lasci consumare da noi nell’Eucaristia; ti fai splendore nel volto dei piccoli e dei poveri, ti mostri all’opera nella comunità, dai luce di orientamento ai cammini della storia.

E noi? Riesci a catturarci ancora? O siamo ormai troppo pieni di noi stessi?

Ci doni oggi quel “di più” di fede?

Lascia che esso irrompa nella nostra vita, vieni a cercarci, stanaci dalle nostre paure, fa‘ che siamo “rapiti dalla tua bellezza” (“Domini pulchritudine correpti”: permettimi padre Agostino di affidarmi ora al tuo motto episcopale);

fa’, Signore, che amati riamiamo, semplicemente, cercando come sola ricompensa il tuo amore.

Signore, “Accresci in noi la fede”.