Ai fedeli della Diocesi di Treviso
Care sorelle e cari fratelli in Cristo,
non avete certo bisogno che vi scriva per dirvi che viviamo in un tempo difficile e strano. Riceviamo e ricevete tanti messaggi, tante riflessioni. Alcuni ci fanno molto bene, altri meno, altri ancora niente affatto.
Non è ancora il tempo di bilanci. Non so e non voglio ancora dare indicazioni, linee guida, programmazioni.
Vi chiedo di fidarvi di Gesù Cristo.
Che è stato crocifisso.
Che è risorto.
Che vive, ci ama e non ci abbandona.
Questa nostra vita è mistero. Forse ci eravamo sinceramente illusi di averla in mano, di poter superare prima o poi tutti i limiti della nostra condizione umana. Se solo avessimo avuto tempo a sufficienza avremmo trovato una soluzione per tutto. Possibilmente da soli.
Poi è venuto il silenzio di queste lunghe settimane.
Il silenzio in un mondo sempre in movimento, indaffarato, di corsa. Un silenzio che abbiamo dovuto abitare in qualche modo, lasciando da parte, all’improvviso tutti i nostri soliti ritmi, cercando questa volta dentro di noi la forza per vivere un tempo così strano da non sembrare quasi reale. Per qualcuno era il silenzio di chi è stato ricoverato, senza contatto con i propri cari, e senza che loro ne potessero più sentire la voce, vedere il volto, sfiorare la mano. E nemmeno salutare, alla fine.
Per quelli tra voi che lavorano negli ospedali e nelle case di riposo è stato un carico di lavoro quasi sovrumano, e il bisogno di trovare dentro di voi la forza, i gesti e le parole che rompessero quel silenzio, che aprissero ad una lieve voce di speranza, vivendo la distanza dalla casa, dagli affetti, mossi dalla responsabilità di un lavoro svolto con dedizione estrema, convivendo con il timore di essere fonte di contagio.
Per chi ha continuato a lavorare nei servizi essenziali è stato il silenzio del percorso verso il lavoro o di ritorno a casa, nelle strade innaturalmente vuote e accompagnati sempre da un pensiero: «porterò a casa il virus?»
Per i sacerdoti è stato quasi assordante il silenzio nelle chiese in cui non hanno potuto accogliere la comunità, negli oratori vuoti. Neppure hanno potuto assistere i morenti e i soli e accompagnare i cari defunti, se non con riti essenziali e austeri, sempre comunque dignitosi e partecipi.
Alcuni tra voi avevano il peso di decisioni da prendere, o da far rispettare. Per altri c’era il peso di non poter aiutare, di sentirsi inutili e soli. Altri hanno continuato a raccontare quello che succedeva, immagini e parole contro il silenzio dell’estrema insicurezza. La scuola ha continuato a distanza, almeno per chi era collegato in rete (ma troppi mancano, ancora, a questo appello). La solidarietà ha tentato di superare ostacoli vecchi e paure ed incomprensioni nuove.
Ora siamo ripartiti, alcuni più lenti, altri più veloci.
Non c’è più quel silenzio, siamo ritornati a vederci e a parlarci.
Ma abbiamo veramente vinto il silenzio?
Le celebrazioni delle Messe sono tornate in presenza del popolo, come devono essere. Ci sono limitazioni che ci pesano, anche se vi ringrazio di cuore per la grande responsabilità che state dimostrando, con grande spirito civico e cristiano. Riusciamo però a sentire una Parola che vinca il silenzio che abbiamo vissuto? C’è una Parola che risuona ora con più forza nel nostro cuore e nella nostra mente, che ci sostiene, o ci stimola a un cambiamento, o ci sorprende, o ci consola?
Gesù che è stato crocifisso, che è risorto, che vive,
ci ama e non ci abbandona, sta davvero accanto a noi,
tu lo senti accanto a te, noi ci fidiamo insieme di lui?
Lui ha vinto la morte.
Ci credo davvero?
E questa fede cambia la mia vita, la nostra vita?
Ho il profondo desiderio che questo grande ed opprimente silenzio venga vinto nella comunità cristiana almeno – ma che bello sarebbe se accadesse in tutta la società – da un nuovo dialogo e non da vecchio rumore.
Dalla preghiera da soli o in famiglia, dalle Messe a distanza, dalle letture che abbiamo riscoperto, dai faticosi scambi a distanza, dai nostri pensieri in questo tempo dilatato portiamo con noi qualcosa che non vorremmo dimenticare?
L’unico modo per non dimenticare è raccontare. Parlarci e raccontare.
Perché se io racconto e c’è qualcuno che mi ascolta, lui o lei mi sta accogliendo, dimostra che sono importante per lei, per lui e io contraccambio, donando ciò che mi è diventato importante, che mi è servito per vivere. Perché è così che ha fatto Gesù. Per salvarci ci ha raccontato come è il Padre nostro che è nei cieli. Gesù ha portato il cielo sulla terra raccontando le parabole, parlando dei gigli nei campi, dell’amministratore disonesto, del buon samaritano, del figliol prodigo e così via. Ma il grande racconto dell’amore del Padre sono i suoi gesti: Lui che guarisce, Lui che ridona la vista, Lui che allieta una festa di nozze con un vino nuovo, Lui che lava i piedi degli apostoli, Lui che muore sulla croce.
Anche noi possiamo raccontare così l’amore di Dio.
Ed è quello che vi chiedo di fare quest’estate.
Viviamo con serietà e impegno il mestiere e la professione,
siamo attenti e generosi verso chi è più in difficoltà tra noi.
Viviamo l’estate come un tempo di Chiesa. Nel lavoro e nel riposo. Prendendoci cura gli uni degli altri, e tutti insieme dei più deboli, dei più fragili, perché nessuno debba rimanere indietro.
Abbiamo spazi e possibilità per prenderci cura dei ragazzi e dei giovani, degli anziani, delle famiglie.
Dobbiamo farlo in modo intelligente, paziente, responsabile e coraggioso.
Le comunità siano creative e si aiutino tra di loro.
Ora viviamo il tempo d’estate nelle attività possibili, ma anche prendendoci spazi e tempi per il racconto e l’ascolto.
Per le indicazioni su come vivere il periodo di attività che seguirà l’estate ho chiesto lo stesso sforzo di racconto e di ascolto ai consigli e agli organismi della Diocesi. Il Consiglio presbiterale raccoglierà il punto di vista dei sacerdoti, il Consiglio pastorale diocesano quello delle comunità, delle parrocchie e delle collaborazioni pastorali. La Commissione per l’accompagnamento del cammino sinodale sta riflettendo su cosa possiamo prendere con noi di buono del lungo cammino sinodale che la Diocesi ha percorso negli ultimi anni per continuare davvero tutti insieme, come discepoli di Cristo in questo nostro tempo. Sarà importante il contributo dei laici associati e dei fedeli tutti. Ci farà bene sentire l’esperienza delle consacrate, dei consacrati e dei diaconi permanenti. Sarà un guadagno se riusciremo a dare ascolto all’esperienza che stanno facendo i missionari e le missionarie della nostra Diocesi che vivono la pandemia in contesti ben più critici del nostro e che potranno anche condividere lo sguardo e la voce di altre chiese, di altre povertà. Gli Uffici di curia aiuteranno a raccogliere i frutti di questo ascolto.
Se avremo la pazienza di questi passi, senza tornare a correre come se nulla fosse stato, potremo davvero prenderci cura insieme di una società che più che di ri-partire ha bisogno di ri-generarsi, di mettere al mondo vita nuova. Di diventare sempre più umana.
Non possiamo ripartire da vecchi schemi bensì da nuove solidarietà,
non da visioni dell’interesse personale che hanno fatto il loro tempo,
ma dalla comune responsabilità verso questo mondo meraviglioso
e fragile.
Ma tutto questo sarà possibile soltanto, e lo chiedo ancora a tutti noi, se ci fidiamo di Gesù Cristo. Che è stato crocifisso. Che è risorto. Che vive, ci ama e non ci abbandona. E che è fondamento sicuro di una speranza che non delude.
Uniti nella preghiera e nell’amore di Cristo
Treviso, 18 giugno 2020
✠ Michele, Vescovo