“Ieri sera… ho poi consacrato tutto il Vespero, circa tre ore nella lettura della enciclica di Pasqua in preparazione, fattami da mgr. Pavan: ‘La pace fra gli uomini nell’ordine stabilito da Dio e cioè: nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà’. Manoscritto di 111 pagine dattilografate. Ho letto tutto, solo, con calma e minutissimamente e lo trovo lavoro assai bene congegnato e ben fatto. L’ultima parte poi: ‘Richiami Pastorali’ in pienissima risonanza con il mio spirito. Comincio a pregare per la efficacia di questo documento, che spero uscirà a Pasqua e sarà motivo di grande edificazione. Stasera benedico il Signore che mi ha dato i primi 7 giorni del nuovo anno in sanità letizia perfetta”.
Così papa Giovanni XXIII annotava il 7 gennaio 1963 nel suo Diario, a proposito della prima stesura di quella che sarebbe diventata la sua lettera enciclica Pacem in Terris, pubblicata poi l’11 aprile dello stesso anno.
Ci troviamo oggi a sessant’anni dal giorno in cui il santo Papa ha donato al mondo un documento che fu all’epoca molto importante, e che viene considerato uno dei contributi più rilevanti del magistero della Chiesa nel ventesimo secolo. Ancora oggi quelle pagine scritte “sulla pace fra tutte le genti, fondata nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà”, come recita il suo sottotitolo, possono essere di ispirazione per vivere da cristiani – discepoli missionari – in un mondo in rapido cambiamento, scosso da inquietudini e guerre.
Era il Giovedì santo quel giorno di sessant’anni fa, e già a gennaio il papa aveva pensato questo suo messaggio come la sua «enciclica di Pasqua». Nell’ottobre dell’anno prima il mondo aveva sfiorato lo scoppio di una terza guerra mondiale, durante la cosiddetta crisi di Cuba, che vedeva Unione sovietica e Stati Uniti di America contrapposte con la minaccia nucleare. Anche grazie ad un intervento di papa Giovanni la crisi fu superata, ma la preoccupazione per la pace rimase presente al papa, che viveva le condizioni del mondo con autentica trepidazione. Assieme a lui vi erano anche altri che condividevano il senso di un tempo ricco di possibilità ma anche gravato di pericoli.
Il contributo di mons. Pietro Pavan
Tra questi c’era Pietro Pavan, un sacerdote trevigiano, nato a Povegliano nel 1903, studioso di filosofia, teologia ed etica sociale, politica ed economica, che aveva insegnato al Seminario di Treviso dal 1933 al 1946, e che all’epoca dell’enciclica era professore all’Università lateranense a Roma, istituto di cui sarebbe poi stato anche rettore. Papa Giovanni Paolo II lo creò cardinale nel 1985. Morì a Roma nel 1994.
Pavan, che aveva già collaborato alla stesura dell’enciclica di papa Giovanni Mater et magistra, nel novembre 1962 aveva scritto al segretario del papa, mons. Loris Capovilla, per proporgli alcune idee proprio per un testo sulla pace, convinto che la Chiesa avrebbe reso “un servizio di altissimo valore se in campo sociale e politico” avesse indicato “una linea di azione chiara e sicura”; e se l’avesse fatto “in forma positiva, usando un linguaggio piano e modi di argomentare accessibili agli uomini di oggi”. Dopo quella lettera, Pavan scrisse una bozza, che è poi quella di cui scrive il papa nel suo Diario. È bello ricordare che questo grande pensatore è un figlio della nostra comunità cristiana, e che a partire dalla sua fede e sicuramente da tutti i suoi studi, ma anche nutrito dall’esperienza di Chiesa vissuta in questo nostro contesto, egli ha potuto contribuire in modo così rilevante ad un passaggio epocale del magistero della Chiesa universale.
L’eredità che ci lascia è di coltivare la riflessione e l’impegno per continuare a vivere nel mondo di oggi, con le sue esigenze, le sue fatiche e le sue possibilità, in maniera autentica e creativa secondo il Vangelo.
Per la vita del mondo
Un’«enciclica di Pasqua» pubblicata il Giovedì santo, con il contributo determinante di un prete trevigiano, dunque. Ecco perché quest’anno parto da qui per fare a tutta la Diocesi i miei auguri di Pasqua.
Papa Giovanni ha firmato l’enciclica Pacem in terris ripreso dalle telecamere della televisione, e nel suo modo inconfondibile ha espresso la sua doppia emozione per il momento che stava vivendo: “Anzitutto per il tema stesso del documento – la pace – che risponde all’anelito primo della famiglia umana; inoltre per la data che abbiamo voluto assegnargli, cioè il giovedì santo, in «Coena Domini». Oh, come tornano soavi le espressioni di Gesù ai discepoli suoi prima della sua passione e morte, «pro mundi vita», per la redenzione e salvezza di tutti gli uomini!”.
Il messaggio sulla pace che Papa Giovanni stava per consegnare all’umanità si intreccia con il momento in cui si celebra l’istituzione dell’Eucaristia, il dono supremo di Gesù, “pane della vita… carne per la vita del mondo (pro mundi vita)” (Gv 6,51). Anche noi, che celebriamo il Giovedì santo, anche noi ogni volta che celebriamo l’Eucaristia siamo al cuore della vita, alle sorgenti della pace. Ogni nostro impegno per il bene e per la pace trova il suo motivo, la sua forza, il suo motore, la sua possibile autenticità nella presenza di amore del Signore risorto tra noi, con noi e per noi: nell’Eucaristia che dà vita e nella vita che diviene, con Lui, Eucaristia. È dunque «enciclica di Pasqua» non solamente per la data che porta, ma perché vive della forza della Pasqua, del saluto del Signore risorto ai suoi: “Pace a voi!” (Gv 20, 19.26).
E con altre bellissime, semplici e profonde parole, papa Giovanni presenta l’ispirazione profonda del suo testo:
“Sulla fronte dell’Enciclica batte la luce della divina rivelazione, che dà la sostanza viva del pensiero. Ma le linee dottrinali scaturiscono altresì da esigenze intime della natura umana, e rientrano per lo più nella sfera del diritto naturale. Ciò spiega una innovazione propria di questo documento, indirizzato non solo all’Episcopato della Chiesa universale, al Clero e ai fedeli di tutto il mondo, ma anche «a tutti gli uomini di buona volontà». La pace universale è un bene che interessa tutti indistintamente; a tutti quindi abbiamo aperto l’animo Nostro”.
Ecco come dovremmo imparare a conoscere, a capire, ad amare il mondo in cui viviamo: come sulla «fronte dell’Enciclica», così su ogni nostra parola, su ogni dialogo, su ogni ascolto dovrebbe battere “la luce della divina rivelazione, che dà la sostanza viva” della parola, del dialogo, dell’ascolto. Nutriti dalla Parola di Dio anche noi siamo chiamati a guardare al mondo con l’energia che essa ci dona, con l’amore che essa sa suscitare, con la chiarezza che riesce a stimolare, che richiede con forza, e che dona a chi ad essa si affida, fino in fondo.
E poi che belle sono anche quelle “esigenze intime della natura umana”, quelle caratteristiche sulle quali ci possiamo incontrare con tutti perché siamo umani, e perché a tutti siamo debitori di ascolto, di simpatia e di stima. A volte faremo fatica a capirci, ma vale la pena di incontrarsi, ascoltarsi, condividere. Papa Giovanni, per la prima volta con la Pacem in Terris, si rivolge con uno scritto ufficiale “agli uomini di buona volontà”: possiamo elevare barriere quando si cerca il bene, quando ci si impegna per la pace?
Per leggere oggi la “Pacem in Terris”
Faccio mio l’invito che ci ha fatto alla fine dell’anno scorso papa Francesco, di leggere la Pacem in Terris, perché ancora attualissima. Essa ci invita a vederci nell‘ordine dell’universo: facciamolo con in mano, nella mente e nel cuore la bussola dell’enciclica Laudato si’, alla ricerca di passi di «conversione ecologica», per “lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che ci circonda” (LS, 217).
Pacem in terris ci guida poi a cercare la pace nei rapporti tra le persone, tra le persone ed i poteri pubblici all’interno delle singole comunità politiche, nei rapporti delle comunità politiche – degli stati e delle nazioni – tra loro e poi ancora delle persone e delle comunità politiche con la grande comunità universale degli uomini. Lo sguardo parte dalle relazioni con le persone e si allarga sino all’orizzonte del mondo intero, come ci invita a fare l’enciclica Fratelli tutti, nel segno della fraternità universale.
Per vivere l’armonia in questa rete di relazioni papa Giovanni indica un principio – un fondamento – e poi quattro pilastri per la costruzione dell’edificio della pace.
Il fondamento è la dignità della persona umana, il rispetto dei suoi diritti fondamentali (che sono molto concreti: cibo, casa, sanità, sicurezza sociale, partecipazione politica, lavoro dignitoso, salario equo e riposo, libertà religiosa e di scelta dello stato di vita, libertà di movimento e di emigrazione) e dei suoi fondamentali doveri:
“In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili. Che se poi si considera la dignità della persona umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché gli uomini sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e amici di Dio e costituiti eredi della gloria eterna” (Pacem in Terris, 5).
Partiamo da qui, per tornare sempre di nuovo qui. Partiamo dalla dignità di ogni persona, sempre e comunque, dalla sua unicità, dalla sua meraviglia. E per poterlo vivere concretamente nelle nostre relazioni di ogni giorno e nei grandi equilibri internazionali, consideriamo i quattro pilastri indicati dalla Pacem in Terris. Papa Giovanni Paolo II, commentando quest’enciclica nel suo quarantesimo anniversario (un santo che spiega le parole di un altro santo) scrive così:
“Da spirito illuminato qual era, Giovanni XXIII identificò le condizioni essenziali per la pace in quattro precise esigenze dell’animo umano: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà. La verità – egli disse – sarà fondamento della pace, se ogni individuo con onestà prenderà coscienza, oltre che dei propri diritti, anche dei propri doveri verso gli altri. La giustizia edificherà la pace, se ciascuno concretamente rispetterà i diritti altrui e si sforzerà di adempiere pienamente i propri doveri verso gli altri. L’amore sarà fermento di pace, se la gente sentirà i bisogni degli altri come propri e condividerà con gli altri ciò che possiede, a cominciare dai valori dello spirito. La libertà infine alimenterà la pace e la farà fruttificare se, nella scelta dei mezzi per raggiungerla, gli individui seguiranno la ragione e si assumeranno con coraggio la responsabilità delle proprie azioni” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la giornata della pace, 2003).
Attenti ai segni dei tempi
Il fondamento della dignità di ogni persona, i quattro pilastri e il faro del bene comune – alla cui realizzazione ciascuno può e deve partecipare e che deve comprendere tutta la famiglia umana – ci faranno scoprire i segni del nostro tempo che ci indicano la strada da seguire, che dovremo riconoscere, accogliere, promuovere. La Pacem in Terris, infatti, “alla fine di ogni capitolo pone una sezione intitolata «Segni dei tempi», dove indica quelle dinamiche della cultura e della società in cui rintraccia una spinta verso la pace in senso integrale: ad esempio, «l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici» (PT, n. 21), «l’ingresso della donna nella vita pubblica» (PT, n. 22), o l’accesso di tutti i popoli all’indipendenza politica (PT, n. 23). Alla radice di queste dinamiche individua la crescente consapevolezza della propria dignità, che spinge le persone ad agire per esigere che tutti abbiano ciò a cui hanno diritto e a resistere alle prevaricazioni” (Paolo Foglizzo, “Un’idea integrale di pace. I sessant’anni della Pacem in Terris”, in “Aggiornamenti sociali, aprile 2023).
I pilastri debbono esserci tutti e quattro, insieme, mai uno senza l’altro, a portare insieme il peso dell’edificio della pace, la nostra casa comune di cui dobbiamo prenderci cura.
È impossibile riuscirci? È impossibile far valere le ragioni della pace, dell’impegno, della concordia? È sicuramente impegnativo. Ma se il Signore Gesù risorto si manifesta e viene, e sta in mezzo ai suoi discepoli e dice loro “pace a voi” (cfr. Gv 20, 19), allora tutto ciò deve poter essere possibile anche per noi, anche oggi, anche qui, anche in questo nostro mondo complicato e disilluso. È in gioco, e diventa principio di speranza, niente di meno della nostra fede nella Risurrezione di Cristo.
In ogni ambito della nostra vita e della nostra responsabilità il Risorto viene a incontrarci e ci dona la pace. Il mio augurio di Pasqua è di poter ricevere assieme questo dono, e di poterlo condividere con tutti.
Auguro a tutti di diventare testimoni di pace. Possiamo provare a vivere le nostre relazioni personali, in famiglia, sul luogo di lavoro, nelle comunità e nelle parrocchie, costruendole sul fondamento della dignità di ogni persona e appoggiando ai quattro pilastri le nostre piccole o grandi scelte e decisioni, ispirandole dunque a verità, giustizia, amore e libertà?
Cristo è davvero risorto, per la vita del mondo: auguro a noi tutti di poterlo incontrare, Vivente, principe e autore della pace.
Buona Pasqua.
† Michele Tomasi, vescovo