“Rileggere il pensiero di papa Francesco in prospettiva educativa”: presentazione libro il 28 maggio a Treviso

Rileggere il pensiero di papa Francesco in prospettiva educativa: è ciò che si propone il testo curato da Andrea Pozzobon e Andrea Conficoni, docenti all’Istituto universitario salesiano di Venezia. Il libro, pubblicato da Studium Edizioni, con la prefazione di p. Antonio Spadaro, sotto-segretario del Dicastero per la cultura e l’educazione, sarà presentato mercoledì 28 maggio, alle 18, alla libreria Paoline in piazza Duomo, a Treviso. Saranno presenti gli autori, moderati da don Stefano Didonè.
Abbiamo chiesto ad Andrea Pozzobon di presentarci la nascita e l’obiettivo di questo volume.

Da dove nasce l’idea di analizzare le radici del pensiero di papa Francesco nell’ambito educativo?
Il progetto di ricerca nasce all’interno dell’Istituto universitario salesiano di Venezia (Iusve). Un piccolo gruppo di pedagogisti ha iniziato a interrogarsi sulla ricchezza del pensiero di papa Francesco in chiave educativa. Lo Iusve ha sostenuto il progetto che, nel gruppo di ricerca, ha coinvolto anche una teologa e, poi, nel corso di cinque anni, ha coinvolto molte altre figure (filosofi, teologi, piscologi e psicologhe, pedagogiste e pedagogisti). Ci sembrava importante conoscere innanzitutto le fonti del suo pensiero (in particolare la spiritualità ignaziana, Romano Guardini, la teologia del popolo sudamericana…) per comprenderne meglio l’articolazione, il lessico, i fondamenti. Solo in seconda battuta abbiamo analizzato i suoi scritti che, direttamente o indirettamente, interrogano l’educazione. Jorge Mario Bergoglio, prima da arcivescovo e poi da papa, ha scritto tantissimo e gli spunti educativi sono molteplici.

Che cosa significa educare, per il pensiero e il magistero complessivo di papa Bergoglio?
Non è semplice rispondere brevemente a una domanda così ampia. Provo a esprimere alcuni punti fermi, pur non esaurienti. Per papa Francesco, innanzitutto, l’educazione avviene sempre in un contesto sociale e comunitario, è sempre una relazione tra persona e comunità. Non si tratta quindi solamente di educare una persona, ma di aiutare tutti a costruire un futuro insieme. Una seconda questione è la centralità per Bergoglio di educare a una cultura dell’incontro, fatta di ascolto, di riconoscimento dell’altro, di accoglienza della diversità, di confronto. Incontrare l’altro significa “uscire”, significa vivere insieme, partecipare, aiutarsi. Una terza questione è che educare è possibile solo partendo dalla realtà: incontriamo sempre una persona concreta, con la sua storia, in un preciso tempo e in un dato contesto. Quarto aspetto: educare significa accompagnare le persone ad abitare le tensioni che la realtà ci pone di fronte, senza la pretesa di risolverle; il pensiero tensionante di papa Francesco (il paradigma è l’opposizione polare di Romano Guardini) ci invita ad abitare le tensioni che generano la vita, ad esempio persona-comunità, locale-globale, grazia-libertà, continuità-libertà, maschile-femminile, materno-paterno… Mettere a tacere queste tensioni (per semplificare, per quieto vivere, per la smania di soluzioni efficaci ed efficienti) significa negare la vita e, quindi, il senso dell’educazione.

Quale “eredità” lascia Francesco alla comunità educante? Emergono delle priorità?
Mi sembra che alcune priorità che lascia alla comunità educante siano rintracciabili nelle seguenti quattro pietre miliari per l’azione: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Queste quattro azioni nutrono sia l’approccio educativo della società, sia quello delle comunità locali e delle comunità cristiane, sia della vita in famiglia. Non c’è educazione senza accoglienza (che si declina nell’ascolto dell’altro, nell’ospitalità cioè nel fare spazio), senza protezione (che significa innanzitutto riconoscimento dell’identità dell’altro, in particolare nelle situazioni di vulnerabilità), senza promozione (dello sviluppo umano, dei legami, dell’amore), senza integrazione (nel senso della promozione integrale della comunità locale, della piena partecipazione di tutti alla vita della comunità).

Perché è importante, da educatori, ascoltare, accogliere e valorizzare i giovani?
Francesco ha insistito più volte sull’importanza dell’inquietudine come motore della vita, rifiutando l’addomesticamento o l’adattamento; “dove c’è vita c’è movimento, dove c’è movimento ci sono cambiamenti, ricerca, incertezze, c’è speranza, gioia e anche angoscia e desolazione”. In una società in cui i giovani sono sempre meno e dove anche non pochi adulti scimmiottano comportamenti giovanilisti, è importante recuperare l’inquietudine come motore del cambiamento, ascoltare e riconoscere i giovani come soggetti “necessari” per trovare traiettorie generative per il futuro, per tenere viva la tensione tra generazioni, per rendere vitali le relazioni, la famiglia, la comunità, il lavoro come luoghi di tensione tra stabilità e dinamicità. Porsi “di fronte” ai giovani significa accogliere l’incertezza come fonte della fiducia/fede e dell’amore; significa scalfire le nostre (illusorie) sicurezze di adulti e continuare a lasciarsi interrogare dalla differenza. Significa, per noi adulti, continuare a crescere superando la tentazione che tutto sia già stato detto…