Il ciclo di affreschi che si trova nella Sala del Capitolo, dell’ex convento di San Nicolò attualmente Seminario Diocesano di Treviso,
è posto sotto il soffitto ligneo, al di sotto di una fascia decorativa a fogliami, ricopre per intero la parte superiore
di tre pareti e parte della quarta ove al centro è raffigurata una Crocifissione che risale al 1250.
Il Ciclo che rappresenta quaranta personaggi illustri dell’Ordine Domenicano fu commissionato a Tomaso da Modena dai
Domenicani molto probabilmente nella persona di fra’ Fallione che desiderava celebrare l’Ordine in occasione del Capitolo
Generale dell’Ordine che si pensava si sarebbe tenuto a Treviso, cosa che poi non avvenne.
Incaricato dunque nel 1351, Tomaso completò l’opera nel giro di un anno, esattamente nel 1352, come attesta l’iscrizione, purtroppo
oggi molto rovinata, posta, una volta entrati nella sala, sul lato destro del portale ove compare anche il nome dell’artista:
ANNO DOMINI MCCCLII PRIOR TARVISINUS ORDINIS PREDICATORUM DEPINGI FECIT ISTUD CAPITULUM ET THOMAS PICTOR DE MUTINA PINXIT ISTUD
A sinistra dell’entrata è scritta sempre in caratteri gotici un’altra iscrizione nella quale in maniera molto sintetica viene raccontato
sia dell’arrivo dei Domenicani a Treviso nel 1221 sia dell’edificazione del Convento di San Nicolò:
ANNO DOMINI MCCXXI FRATRES PREDICATORES PRIMO TARVISIUM VENERUNT ET EODEM ANNO COMMUNITAS TARVISINA EISDEM AEDIFICAVIT CONVENTUM S. NICOLAI IN QUO NUNC AD LAUDEM DEI ET SUAE MATRIS VIRGINIS GLORIOSAE ET S. NICOLAI AC UTILITATEM POPULI TARVISINI COMMORANTUR
Tomaso da Modena inizia molto probabilmente il suo lavoro dalla parte destra della Crocifissione. I Domenicani raffigurati all’interno delle loro celle, che convergono tutte verso la scena della Crocifissione, a sottolinearne il profondo significato, sono tutti colti non in un atteggiamento di preghiera ma intenti alle attività tipiche dello studioso che isolato nel suo studiolo può, come ben suggerisce Petrarca nella sua opera “De Vita Solitaria”, dedicarsi alla meditazione e allo studio. Tale rappresentazione conoscerà nel Quattrocento molta fortuna.
La cella è costituita da due pareti lignee che sono saldate insieme una allo scrittoio, che si presenta con una prospettiva invertita, e l’altra al sedile; esse inoltre sono caratterizzate l’una, quella di fondo, dalla presenza di una tenda che o di color rosso granato o di color verde serve come espediente all’artista per ottenere la terza dimensione utilizzando mezzi coloristici piuttosto che prospettici, l’altra da scaffali o rientranze.
Sul colore giallo del legno dei mobili ben emergono le figure dei Domenicani vestiti tutti con la stessa cappa bruna sulla bianca veste.
L’addobbo delle celle è standardizzato, compaiono infatti un certo numero di libri disposti o sotto gli scrittoi in piedi di traverso, o di faccia, o di dorso oppure posti sugli scaffali dove con i diversi colori delle rilegature vivacizzano lo sfondo giallo dei mobili.
Tomaso da Modena dunque ci rivela la sua grande capacità di osservare e descrivere nel dettaglio la realtà, evidenziando i tratti fisionomici e rendendo unici i personaggi ritratti, che sono molto probabilmente tratti dal vero e, anche se non corrispondono ai ritratti dei nomi indicati nelle lesene, esprimono i loro stati d’animo, i loro pensieri, i loro umori. Si tratta dunque di persone reali, colte nel vivo di una azione fisica o psicologica.