Anche quest’anno il santuario trevigiano di Santa Maria Maggiore (Madonna Granda) era gremito di fedeli e autorità nella solennità dell’Assunta. Il vescovo, mons. Gianfranco Agostino Gardin, che ha presieduto la celebrazione, ha salutato i presenti, tra i quali il sindaco Giovanni Manildo, che all’inizio della celebrazione ha donato il tradizionale cero alla Madonna da parte dell’Amministrazione comunale. Insieme al sindaco hanno partecipato alla celebrazione il vicesindaco e diversi membri della Giunta e del Consiglio comunale.
Il Vescovo, nell’omelia, ha ricordato come i fatti, lontani nel tempo, a cui fa riferimento l’omaggio del cero, “non abbiano ormai più un grande significato ai nostri occhi; ma forse possono essere un richiamo a vivere le situazioni e gli eventi della vita e della storia, sapendo riferirci a Dio e alla paternità che Egli esercita sulla nostra vita e sulle nostre vicende”.
Ecco l’omelia integrale di mons. Gardin:
“Carissimi sacerdoti, distinte autorità, fedeli tutti qui convenuti, siamo qui, nella festività dell’Assunzione al cielo di Maria, a ripetere un antico gesto di gratitudine da parte di questa città, un gesto di gratitudine rivolto a Maria, e attraverso di lei a Dio onnipotente. Le ragioni di questo atto di omaggio e di riconoscenza vanno ritrovate in due episodi che si collocano all’inizio del XIV secolo: il conseguimento – diciamo così – della vittoria in una piccola battaglia dovuta ad una contesa territoriale ai confini orientali del comune di Treviso; e, 12 anni dopo, la deposizione di un signore della città che tiranneggiava gli abitanti di Treviso.
Si tratta di eventi assai lontani nel tempo, i quali – credo si debba riconoscere – non hanno ormai più un grande significato ai nostri occhi; ma forse possono essere un richiamo a vivere le situazioni e gli eventi della vita e della storia, sapendo riferirci a Dio e alla paternità che Egli esercita sulla nostra vita e sulle nostre vicende.
Certo non è facile, per noi piccole creature, scorgere e comprendere l’azione di Dio sul mondo e sull’esistenza delle persone. Soprattutto la presenza del male, quello dovuto alla costitutiva fragilità di ogni creatura, e più ancora quello prodotto dalla cattiva volontà o dalla malvagità umana, ci pone interrogativi ardui circa la maniera in cui Dio interviene (o forse non interviene affatto?, si domanda qualcuno) sulle vicende umane.
Le letture bibliche che abbiamo appena ascoltato ci aiutano a riflettere su questo. Con il suo linguaggio molto simbolico e bisognoso di adeguate interpretazioni, l’Apocalisse ci ha posti di fronte all’immagine drammatica della donna che sta vivendo il travaglio del parto e del il drago che vuole divorare il bambino che da lei nasce; ma alla fine trionfa «la salvezza, la forza, e il regno del nostro Dio e la potenza dl suo Cristo (Ap11,10).
Paolo ricorda ai Corinzi che l’esperienza della morte, provocata dal peccato di Adamo, sedotto dal maligno, segna l’umanità intera; ma su di essa si erge la persona di Cristo, egli stesso vittima della morte, ma una morte che è un atto di amore così immenso che produce la risurrezione, e con essa la vita nuova per ogni creatura.
L’inno di lode di Maria (Lc 1,4-55), «colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45), riconosce l’intervento misericordioso di Dio, il quale tuttavia condanna il prevalere dei superbi, che disperde; dei potenti, che rovescia dai troni; dei ricchi, che rimanda a mani vuote; mentre innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati, soccorre Israele, suo servo.
Che cosa ricava il credente da questi scenari, evocati dai testi biblici odierni? Ricava la convinzione che il progetto di Dio disegna la vittoria del bene sul male: la donna dell’Apocalisse, infatti, partorisce il figlio, il quale «fu rapito verso Dio e verso il suo trono» (Ap 12,5); Cristo – ci ha detto Paolo – annulla il male originario che ha prodotto la morte: «come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita» (1Cor 15,22); e Maria dichiara che Dio avvolge di misericordia i suoi servi (cf. Lc 1,54).
Maria assunta in cielo è il primo frutto della risurrezione, dopo la primizia che è Cristo. Oggi celebriamo, per così dire, la Pasqua di Maria. La Pasqua è il segno più evidente di quale sia il progetto di Dio.
Questo fondamentale convinzione cristiana guida la nostra condizione di cristiani in cammino nella storia. Questa storia degli uomini che si colloca nel tempo tra la Pasqua di Cristo e la sua seconda venuta: tempo di accoglienza della salvezza, ma anche di lotta nei confronti di una presenza non ancora totalmente debellata del male. Paolo ci ha detto: prima Cristo e poi quelli che sono di Cristo (cf. 1Cor 15, ). Il credente sa di camminare nella fede verso un compimento che verrà, ma che deve ancora giungere alla sua attuazione piena.
Ma vorrei che osservassimo ciò che caratterizza questa festa: la tradizione del pensiero cristiano, autorevolmente confermata dal dogma mariano dell’assunzione di Maria, ci parla di Maria assunta «alla gloria del cielo in anima e corpo» (preghiera iniziale della Messa).
Il corpo è destinato alla salvezza, non meno che l’anima. Dio non ama e non salva semplicemente anime, ma persone. Ma il corpo ci richiama anche il nostro essere creature dentro il mondo; ci richiama le relazioni, ci richiama le esperienze del nascere e del morire, del soffrire e dell’amare; ci richiama l’impegno del lavoro, della costruzione di società che devono diventare l’habitat favorevole allo sviluppo, alla dignità, alla felicità – per quanto possibile – di ogni persona.
Il cristiano che crede nel Figlio di Dio incarnato, che ha preso un corpo, che è entrato nella storia umana, riconosce la storia non come tempo e spazio di semplice, e magari inerte, attesa del cielo. La salvezza che ci raggiunge non ci strappa dalla storia, come non ci strappa dal corpo, ma ci immette ancora più profondamento dentro le vicende del mondo, da assumere e interpretare secondo lo spirito del vangelo e secondo il magistero di Cristo.
Perciò lo sguardo al cielo, che questa festa ci invita a rivolgere, non ci distoglie dallo sguardo alla terra. Cogliendone con verità le luci e le ombre, le conquiste positive, il bene perseguito da molti con tenacia e convinzione, ma anche le lacerazioni, le ingiustizie immani, le sofferenze assurde, le prevaricazioni egoistiche.
Quei superbi, quei ricchi e quei potenti che non incontrano il favore di Dio, di cui parla il canto di Maria, ci sono anche oggi, e producono poveri e affamati, perseguitati, offesi nei diritti fondamentali, o come ama dire papa Francesco “scarti dell’umanità”.
Voglio ancora citare il Papa, il quale denuncia con coraggio i mali prodotti dagli uomini. Potrebbero riassumersi solo in questa sua affermazione, del resto sotto gli occhi di tutti: «Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice» (Evangeli gaudium 56).
Ma cito anche un’altra sua diagnosi allarmante, per certi aspetti cruda, ma profondamente realistica: «Oggi da molte parti si reclama maggiore sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità [cioè le condizioni non eque, non rispondenti a giustizia] nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. (…) Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice» (Evangeli gaudium 59).
E allora dobbiamo anche dire che quanti lavorano per una maggior equità nel mondo; che non chiudono gli occhi e il cuore di fronte ai disgraziati dell’umanità, che – almeno – con loro soffrono, quasi avvertendo nella propria carne le offese alla loro dignità; che costruiscono società solidali e fraterne; che si impegnano, anche pagando di persona, perché si attenui il divario immane tra chi ha molto o moltissimo e chi ha poco o nulla: ebbene costoro sono quei servi che il Signore ama e avvolge di misericordia.
A tutti costoro, quanti agiscono con incarichi di responsabilità pubblica, ma anche quanti agiscono semplicemente nell’umile spazio della loro vita di tutti i giorni, va anche il nostro grazie e la nostra benedizione.
Ci aiuti la Madre di Dio, che ha raggiunto la gloria, a camminare con libertà interiore e con cuore puro verso quell’incontro con Dio, che ogni giorno siamo chiamati a costruire qui, su questa terra che Dio ama e guarda con una misericordia che non viene mai meno”.
Al termine della celebrazione il Vescovo ha pronunciato la preghiera di affidamento davanti all’immagine della Madonna.
La parrocchia ha poi ospitato tutti i fedeli nel chiostro per un piccolo momento conviviale