Si è aperto venerdì 22 settembre, con una celebrazione molto partecipata, il nuovo anno pastorale diocesano. Nel tempio di San Nicolò sacerdoti, diaconi, religiosi, persone consacrate e laici operatori pastorali si sono radunati intorno al Vescovo per un momento di preghiera, prima di dare inizio, nelle nostre comunità, alle diverse e numerose iniziative pastorali.
La riflessione iniziale è stata affidata a mons. Ezio Falavegna, sacerdote di Verona, docente di teologia pastorale alla Facoltà Teologica del Triveneto.
Mons. Falavegna ha fatto una disamina sul tempo di trasformazione forte, di grande conversione pastorale che stiamo vivendo, evidenziata anche dal brano del Vangelo scelto per la serata, quando Gesù invita i discepoli a “passare all’altra riva”. “E’ questo il momento delle più grandi sfide che ci vengono consegnate – ha ricordato – di fronte a un cambiamento, nella vita sociale, ecclesiale e culturale, che oggi assume quasi i contorni dello «stordimento», della tempesta, provoca ansie, domande, preoccupazioni pastorali, ma anche speranze se lo viviamo come responsabilità e come una sfida comune, che ci viene affidata in questo processo di crescita. Come abitare, allora, questo cambiamento, riconoscendo delle nuove possibilità? Occorre passare, come dice papa Francesco nella Evangelii Gaudium, da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria. Per questo serve assumere la logica dell’esodo e del dono, del camminare sempre e del seminare sempre di nuovo, e oltre.
Tre gli elementi, secondo il relatore, tratti dalla Evangelii Gaudium, che possono aiutarci a rimettere in movimento la creatività che il cristianesimo ha saputo dimostrare molte volte nella propria storia: vivere il discepolato, riscoprendo e coltivando la coscienza della nostra vocazione e identità (come dei “marcati a fuoco”); sperimentare la propria appartenenza alla Chiesa, nello stile della sinodalità, che ci consente di fare esperienza di un modello di Chiesa, fedele al contesto attuale, alla storia e al vissuto dell’uomo, negli spazi ordinari del nostro essere comunità cristiana, facendo – ecco il terzo elemento – del discernimento la modalità del nostro operare. Se la nostra testimonianza, infatti, come ha ricordato il Vescovo nel suo intervento, “non accoglie le sfide dell’esistenza sperimentate dalle donne e dagli uomini del presente, rischia di essere parola che non parla, gesto che non si protende verso l’altro, luce che non illumina nessuno”.
“Noi, discepoli di questo tempo – ha sottolineato mons. Gardin -, possiamo avere la sensazione che sia venuta la sera, che sia giunto il crepuscolo e una certa oscurità avvolga le nostre Comunità cristiane; e ciò potrebbe indurci a sperimentare un senso incertezza o di fallimento. Forse anche la giornata che si chiudeva per Gesù e i discepoli, poteva suscitare la sensazione di un parziale fallimento. Ma il Signore rilancia. Con il linguaggio di papa Francesco, diremmo che provoca la comunità ad “uscire”. C’è sempre un’altra riva che chiede di evangelizzare”.
“L’importante per noi è seguire Gesù, il quale ci guida e ci sostiene anche se, come nella traversata del lago, sembra dormire mentre si abbatte la tempesta. E noi vogliamo camminare come Chiesa, e come singoli, «tenendo lo sguardo fisso su Gesù»” ha ricordato mons. Gardin, richiamando il primo obiettivo del nostro Cammino Sinodale.
Riprendendo l’omelia della celebrazione a Medellin di papa Francesco, il Vescovo ha suggerito tre atteggiamenti dell’essere discepoli di Gesù: «andare all’essenziale», ritrovando il cuore dell’esperienza cristiana; rinnovarsi cercando altri stili di Chiesa rispetto al passato; infine, coinvolgersi, “esserci” nel cammino di questa Chiesa, ma anche coinvolgersi nel mondo: ascoltando il Vangelo e insieme l’uomo d’oggi.
“L’anno pastorale che inizia – l’augurio del Vescovo -, come pure il Cammino Sinodale in corso, ci aiutino a divenire sempre più «saldi e liberi in Cristo»”.
In allegato l’intervento integrale del Vescovo