Quello che sta iniziando per la Chiesa italiana è “un Sinodo aperto – dentro e in sintonia con il Sinodo universale -, un cammino che non sarà solo dei vescovi, dei presbiteri, delle parrocchie, degli operatori pastorali, ma che inviterà e ascolterà anche quelle voci che spesso non si sentono nelle nostre comunità”. Mons. Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola e Carpi, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, giovedì 7 ottobre ha proposto una riflessione sulla “spiritualità sinodale” ai sacerdoti diocesani di Treviso, riuniti con il vescovo Michele Tomasi nel tempio di San Nicolò per il loro ritiro spirituale.
Il vescovo Michele, nel suo saluto iniziale ha voluto ringraziare tutti coloro “che mi hanno rivolto saluti, auguri, incoraggiamenti” durante il tempo della convalescenza dopo l’incidente in montagna, “i tantissimi che hanno pregato in maniera particolare per me. Un grazie sincero a quanti si sono presi cura di me con generosità e abnegazione commoventi”. Il Vescovo ha anche ringraziato i componenti del neonato Consiglio episcopale, il vicario generale, don Giuliano Brugnotto, il vicario per il clero, don Donato Pavone, il vicario per la Pastorale, don Mario Salviato e il cancelliere, don Fabio Franchetto.
Un’occasione, il ritiro dei sacerdoti diocesani, per una meditazione sul significato profondo della sinodalità e per aprire alcune “finestre” sulle modalità di svolgimento del Sinodo dei Vescovi (2021-2023) e del Cammino sinodale della Chiesa italiana (2021-2025).
Che cosa significa per i ministri ordinati, per i Vescovi, per i diaconi, per gli operatori pastorali mettersi in Sinodo? – si è chiesto mons. Castellucci. “Per i presbiteri significa soprattutto curare il presbiterio e curare la comunione nelle proprie comunità, là dove si è inviati – la risposta -. Per convinzione e in parte per necessità stiamo recuperando una dimensione meno funzionale e più affettivamente carica nel rapporto tra noi preti”. Ministri che non riescono a pensarsi come singoli, ma che vedono aumentata la gioia del loro ministero (“una gioia plurale”) nel “noi” che “scatta” di fronte a una comunità, dentro un “noi ministeriale”, che si gioca in una realtà che vede superata la visione sacrale del ministero, in cui il ministro veniva considerato come mediatore tra cielo e terra, un “ponte” sollevato sopra il popolo di Dio, favorendo anche una certa solitudine teologica e spirituale del presbitero. Visione, questa, che è andata di pari passo con “l’annebbiamento del sacerdozio battesimale”. “Fare sinodo” nel presbiterio non significa, allora, fare cose straordinarie, ma dedicare attenzione, negli incontri che già ci sono, “per chiederci se siamo una Chiesa sinodale o no, e cosa fare per esserlo di più, alla luce della Parola di Dio, più che con un approccio sociologico o “parlamentare”, in una comunicazione nella fede tra confratelli che non è solo un esercizio di sinodalità, ma un esercizio spirituale profondo, perché significa dare e ricevere fiducia, creare uno spazio profondo di legami”. Ecco perché è importante farlo non tanto nelle grandi assemblee, ma in piccoli gruppi, a livello interparrocchiale o vicariale, “con dei volti concreti davanti, consapevoli che il presbiterio non è solo una grandezza funzionale (dove l’unione fa la forza), ma teologica e pastorale”.
Oggi in questa crisi (“La Chiesa è sempre in crisi perché il mondo è in continua crisi, ossia in crescita, e la Chiesa è impastata in questo mondo”), in questo cambiamento d’epoca – come l’ha definito papa Francesco a Firenze –, la Chiesa italiana deve prendere atto che non esiste più la cristianità, quella saldatura tra valori evangelici, sociali e culturali che pure abbiamo vissuto. “Ma questo non significa che se tramonta la cristianità tramonti la fede cristiana. Tramonta una forma, e lo Spirito santo ci invita a leggere la realtà con occhi più profondi, senza più confidare in una riserva aurea, ma reinvestendo ciò che abbiamo, ciò che siamo, ciò che lo Spirito stesso suscita nel cuore delle persone, perché le domande profonde, di fede, di senso, ci sono sempre nel cuore delle persone, anzi, sono state sollecitate ancora di più dalla pandemia, che ci ha messi di fronte al dolore, alla sofferenza, alla morte, ma anche a tanti gesti di generosità, di cura, di eroismo” – la sottolineatura del vescovo Castellucci -. Non possiamo più però rilevare queste domande in maniera “industriale”, dobbiamo diventare artigiani, insieme alle nostre comunità, mettendo in atto strumenti di ascolto anche nuovi, nel territorio, nella convinzione che lo Spirito parla nel cuore di ciascuno, come ci ricorda il Papa quando si riferisce al sensu fidei del santo popolo fedele di Dio”.
Ecco l’importanza, per il Sinodo, di partire dall’ascolto, senza l’ansia di dover fare chissà che cosa, senza la macchinosità di strutture, dando la priorità alle esperienze di incontro e ascolto, mettendo al centro le persone e le relazioni. A cominciare dai presbiteri tra di loro, e dei laici tra loro e insieme ai ministri, in modo trasversale, recuperando il senso originario di corresponsabilità, che è un “rispondere insieme”. Perché è questa la dimensione di una Chiesa sinodale, la corresponsabilità – ha ricordato Castellucci -, che non significa confondere le responsabilità, ma assumere insieme una risposta: i laici non vanno coinvolti solo a livello di traduzione di ciò che si è deciso (secondo il modello della “collaborazione”, che a sua volta aveva superato i modelli della “supplenza” e della “delega”), ma anche nel discernimento, a partire dagli organismi di partecipazione (i diversi Consigli) che, “al di là di ciò che dice il Codice, dovrebbero funzionare in maniera sinodale, perché i laici hanno delle antenne più sensibili rispetto alle nostre, sicuramente più varie”, in una fiducia reciproca che permette di essere lievito nelle comunità, ciascuno secondo i propri doni e propensioni. “Possiamo dire che questo Papa non ha convocato un Concilio Vaticano III, ma ci chiede di farlo “a pezzi”, mettendoci in cammino – ha concluso mons. Castellucci -. Francesco sta mettendo la Chiesa ‘in Sinodo’ a tutti i livelli”.
Il vescovo Tomasi, nel suo saluto, ha ricordato anche il momento degli avvicendamenti nelle parrocchie che, incominciato dopo la scelta dei nuovi vicari, si sta allungando, perché è una fase sempre delicata: “Si tratta della vita dei confratelli, come anche della vita di molte comunità cristiane”, e per questo caratterizzato dalla necessità di “tempo, riflessione, ascolto e dialogo”, perché ogni situazione è intrecciata a tante altre e “ciascuna va trattata con l’attenzione, la sincerità, la delicatezza e la discrezione che merita”, nel “rispetto pieno alla persona e al grande valore del ministero che ciascuno svolge, che tutti insieme viviamo”.
“Vi chiedo fiducia nei miei confronti e nei confronti dei miei più stretti collaboratori – ha concluso il Vescovo -, fiducia che sarà “un nostro comune contributo alla sinodalità, strada che ci viene indicata profeticamente da papa Francesco, e sulla quale cammineremo, convinti, fiduciosi, insieme”. (A.C.)