“Uomo di Dio, uomo della Parola”: il ricordo del Vescovo per l’ultimo saluto a mons. Antonio Marangon

Un grazie corale per la sua vita per i doni che ha potuto elargire a tante persone: il funerale di mons. Antonio Marangon, venerdì pomeriggio, nella chiesa di San Nicolò, a Treviso, ha riunito molte persone, che volevano stringersi alla sua famiglia e al Vescovo e, con lui, a tutto il presbiterio diocesano. Mancato lo scorso 6 giugno a 90 anni, nella Casa del clero, don Antonio è stato per molti anni docente di Sacra Scrittura allo Studio teologico interdiocesano di Treviso e Vittorio Veneto, di cui è stato anche preside.

Oltre duecento i sacerdoti che hanno concelebrato – della nostra diocesi, ma anche della diocesi di Vittorio Veneto, e della Facoltà teologica del Triveneto, rappresentata anche dal preside, don Andrea Toniolo. Il Vescovo Michele Tomasi ha presieduto la celebrazione. Insieme a lui i vescovi Gianfranco Agostino Gardin e Paolo Magnani, emeriti di Treviso, Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto, Giuliano Brugnotto, vescovo di Vicenza, Cesare Bonivento, vescovo emerito di Vanimo (Papua Nuova Guinea) e Alberto Bottari de Castello, già nunzio apostolico in Ungheria. Mons. Andrea Bruno Mazzocato, vescovo di Udine, ha inviato una lettera di ricordo personale e di vicinanza ai famigliari e ai presenti, della quale il vescovo Michele ha letto qualche stralcio all’inizio della celebrazione. Il Vescovo si è anche fatto voce del cordoglio del presidente della Regione, Luca Zaia.

Mons. Tomasi, nell’omelia, ha ricordato don Antonio come “l’uomo della Parola”. “Perdiamo un prete buono e appassionato, un maestro che ha guidato nella conoscenza delle Scritture, che ha insegnato a cercare e a trovare in esse davvero Parola di Dio. Un uomo che ha insegnato a generazioni di seminaristi, di presbiteri, di religiosi, religiose e di laici, a cercatori di Dio e a pensanti, credenti e non credenti, nella nostra Diocesi e in ogni parte del mondo, a scrutare le Scritture con tutti gli strumenti di una competente e puntuale esegesi scientifica e con uno sguardo sapienziale che dal dato sapeva condurre verso il mistero sempre più profondo ed inesauribile, fonte viva di vita e di speranza”. Con la morte di don Antonio, ha sottolineato il Vescovo, “si va chiudendo un’epoca grande e significativa della nostra Chiesa trevigiana, ma la sua testimonianza, assieme a quella di tanti altri che hanno condiviso con lui il cammino, ci rimane come lascito e come compito: continuiamo ad appassionarci al Vangelo e alla Persona di Cristo, professiamo integro il nostro credo ecclesiale, lasciamoci toccare oggi dall’amore di Dio per esserne – oggi e domani – strumenti, testimoni e ministri”.

Pubblichiamo l’omelia integrale del Vescovo:

La Parola di Dio sempre ci nutre, ci alimenta, ci guida, ci consola, ci sostiene. Oggi ci affidiamo fiduciosi ad Essa in maniera particolare, nel momento in cui diamo il nostro ultimo saluto a don Antonio Marangon.

Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119, 105) abbiamo appena cantato con il salmista. Il tratto di cammino che ci è chiesto ora ha proprio bisogno di questa lampada, di questa luce, certi di essere guidati di passo in passo dalla forza mite, potente e buona delle Scritture, della Parola di Dio amica ed efficace. Abbiamo bisogno di un po’ di luce chiara, dolce e vera, per camminare ancora, pur con la sensazione netta di essere un poco più soli.

Perdiamo un prete buono e appassionato, un maestro che ha guidato nella conoscenza delle Scritture, che ha insegnato a cercare e a trovare in esse davvero Parola di Dio.

L’uomo della Parola”, è stato definito.

L’uomo che ha insegnato a generazioni di seminaristi, di presbiteri, di religiosi, religiose e di laici, a cercatori di Dio e a pensanti, credenti e non credenti, nella nostra Diocesi e in ogni parte del mondo, a scrutare le Scritture con tutti gli strumenti di una competente e puntuale esegesi scientifica e con uno sguardo sapienziale che dal dato sapeva condurre verso il mistero sempre più profondo ed inesauribile, fonte viva di vita e di speranza.

Il mistero di Dio possiamo solo balbettarlo”: ecco una frase che molti di voi hanno rievocato in questi giorni di ricordi che giungono da tante parti, da chi ha un debito grande o piccolo nei confronti di don Antonio nella propria storia di vita e di fede.

Consapevole di questo nostro limite, don Antonio non ha però mai rinunciato a questo “balbettare”, che è stato un dialogo franco e appassionato con il suo Creatore e con il Figlio amato: un «balbettare» che non era incertezza di chi fosse inconsapevole del suo dire, ma piuttosto riverenza di chi riconosce la sempre maggior grandezza del Dio che si fa piccolo e vicino all’umanità, ad ogni persona. Vero «timor di Dio», insomma.

Don Antonio in questo suo dire ha tessuto una rete fitta ed estesa di relazioni, di rapporti di amicizie. Da queste ha visto alimentata la sua conoscenza, il suo studio, anche la sua fede.

Nel suo breve ed essenziale testamento spirituale egli afferma infatti:

In particolare, mi dichiaro debitore verso tutti coloro – laici e sacerdoti, credenti e non credenti, noti a me o a me estranei, vicini o lontani – che hanno contribuito ad appassionarmi al Vangelo e alla Persona di Gesù Cristo”.

Sentite che bello, questo suo ricordo. Quanto ampia sia la cerchia di coloro che egli riconosce come fonte della sua passione per il Vangelo e per la Persona di Gesù Cristo: pare proprio che ogni incontro, ogni occasione, ogni lettura o dibattito, o lezione, o anche ogni fugace accenno; ogni conferma ricevuta ed anche ogni stimolo e forse ogni provocazione, siano stati per lui luogo ed occasione di ascolto vero della Parola e di incontro con Gesù il Vivente.

Quanto si era speso, partendo dalla sua intensa spiritualità biblica, per essere compagno, amico e spesso riferimento di sostegno e di cura per tanti confratelli presbiteri, che di lui si fidavano, e alla sua compagnia si affidavano. Quanto gli ho chiesto e quanto di questa dimensione della sua vita ha voluto condividere con me, quando cercavo

di definire un ruolo possibile per un Vicario del clero in Diocesi. E di questo gli resto profondamente grato.

Accanto a Gesù «Figlio dell’ascolto» don Antonio si è messo in ascolto della Parola del Padre, ha obbedito al bel comando che il pio israelita proclama nelle sue quotidiane preghiere e che anche a noi è donato come esortazione, meglio come programma di vita: “Ascolta Israele”.

I precetti, i comandi, ogni Parola di Dio sono stati fissi nel suo cuore, ed egli li ha ripetuti a tutti coloro che nello Spirito sono diventati suoi figli. Ne ha parlato in ogni occasione, opportuna od inopportuna, in casa o nei molteplici spostamenti fatti per spezzare il pane della Parola, lungo tutta la giornata e in ogni tempo, al momento di coricarsi e di alzarsi nuovamente.

E ha cercato Gesù, e Lui ha trovato per ricercarlo ancora, ed ha accolto tutti in questo suo rapporto di amore, mai da solo, mai solamente per sé, sempre nella condivisone e nell’annuncio.

Tutto egli ha venduto per il tesoro nel campo, e per la perla preziosa. Ha gettato reti per interessare alla Parola, consapevole che “l’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo” come insegna San Girolamo citato dal Concilio Vaticano II, nella costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum: non voleva che nessuno fosse escluso dall’annuncio di salvezza.

Nello scrutare continuo e fedele delle Scritture don Antonio è stato davvero lo scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, che ha saputo plasmare il suo linguaggio sul parlare di Dio, che ha reso nuove, per tanti, le parole antiche che rinnovano la vita, e che a tanti ha donato parole nuove per dire e narrare e dare significato alla propria vita, alle vicende, alla storia.

Voglio condividere con voi un ultimo grande dono che ci fa don Antonio, ancora nel suo testamento spirituale.

Nel momento in cui egli, infatti, si contempla di fronte alla morte – momento dunque di lucida verità – egli scrive, con mano sicura, con lettere chiare e nette:

Davanti a Dio, mio Padre e mio Giudice supremo, professo integro il credo ecclesiale in cui sono vissuto, accettando tutto quanto la Chiesa crede, spera e vive, come tradizione ricevuta dal Signore nostro Gesù Cristo”.

Ecco un atto di fede puro, limpido, umile e grande, di un teologo che tanto sapeva perché tanto aveva studiato, ma che si affida con umiltà grande ad una fede ricevuta dalla Tradizione che ci consegna le Scritture, e che accetta e professa quanto la comunità dei credenti “crede, spera e vive”, nella tradizione vivente che scaturisce da Cristo e che è donata alla Chiesa.

Accogliamo con gratitudine questa testimonianza fresca e cristallina da un uomo di Dio, dall’uomo della Parola. Lo affidiamo alla misericordia del Padre cui ha sempre creduto, all’incontro con il Figlio che ha sempre amato, all’alito vitale dello Spirito da cui si è lascito guidare.

Con la morte di don Antonio si va chiudendo un’epoca grande e significativa della nostra Chiesa trevigiana, ma la sua testimonianza, assieme a quella di tanti altri che hanno condiviso con lui il cammino, ci rimane come lascito e come compito: continuiamo ad appassionarci al Vangelo e alla Persona di Cristo, professiamo integro il nostro credo ecclesiale, lasciamoci toccare oggi dall’amore di Dio per esserne – oggi e domani – strumenti, testimoni e ministri.